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Aversa e il Cimarosa
di Domenico D’aniello
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Articolo preso dall’inserto LA LETTURA del Corriere della Sera
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Anno 1929
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Aversa: Cimarosa.
Alfine, la vetusta città normanna, rinnovata dal soffio vivificatore dei tempi, ha pagato il secolare debito verso il glorioso figliuolo.
Interrotta da 30 anni, ripresa dalla fede illuminata del prof. Filippo Saporito, vanto della scienza criminale, finalmente, per l’ardore e il cospicuo contributo di Luigi Andreozzi, il dinamico podestà di Aversa, l’opera è compiuta.
Quanti, artisti, storici, giornalisti, rivolsero i loro strali all’ingrata patria del Maestro, abbiano pace. Il 16 giugno, il velo è caduto davanti all’immagine del musicista, quale Francesco Jerace l’ha veduta, con vera anima d’artista.
Non si tratta d’uno dei soliti personaggi, grandi o no, ritti su di una piazza, che furon così o diversi, è lo stesso, e chi guarda, guarda e passa.
Il Maestro è colto nel suo carattere essenziale, nell’attimo primo della creazione, e così senza difficili simbolismi: si vede.
Egli s’appoggia a un verone, e il suo Genio l’ispira: il volto appare trasfigurato dall’estro con un’evidenza che tocca i limiti delle possibilità plastiche.
C’è, nella figura nell’abbigliamento nella posa, le molte eleganze settecentesche. Ma intorno, c’è la natura, la natura serena e gioconda, schietta e luminosa: par che lì, dal verone sospeso sul giardino, il Maestro n’oda i sussurri i fremiti i sospiri gli aliti: tutte le mille voci indistinte, che diverranno in lui le melodie semplici e schiette, volubili e gaie, limpide e innocenti, senza vene d’amaro, senza incrinature di sarcasmo.
A glorificare un’arte, e l’arte del Cimarosa, occorreva vera arte: a questo è stata pari l’opera dello Jerace.
Domenico Cimarosa nacque dal popolo: questo Aversa ricorderà con una borsa di studio presso il Conservatorio di San Pietro a Maiella, cosa che, almeno nel valore ideale, mantiene il più bel numero dell’antico programma, che, parallelo alle onorificenze viennesi, era un programma superbo, di risonanza internazionale.
E’ di questi tempi l’Album Cimarosiano, una pubblicazione commemorativa oggi rara quanto preziosa.
E’ un elegante volume ricco d’incisioni e di tavole a colori: una varia e squisita antologia di musiche poesie e prose dei migliori autori (D’Annunzio, Pascoli, Verga, Fogazzaro, Deledda, M. Serao, Croce, Panzacchi, Pastonchi, Chiarini, Rapisardi, per far qualche nome dei 150): una glorificazione del Cimarosa sapientemente inquadrata nella rievocazione dei fasti aversani, da uno, quale il Rosano, che al grande amore univa un alto intelletto.
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Il Cimarosa passò per napoletano tout court finchè il Parente, un dotto storico aversano, non ne trovò la fede di nascita nella Parrocchia di S. Audeno in Aversa.
Qui, in un terraneo al Vico II Trinità, egli era nato, il 18 dicembre 1749, da un muratore e da una lavandaia, e fu battezzato col nome di Domenico Nicola Cimarosa (1).
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(1) Variante che si spiega essere cimma il corrispondente vernacolo di cima.
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A Napoli il piccino andò a 7 anni, col padre che vi aveva trovato lavoro nella costruzione della Reggia di Capodimonte.
Colà, alle scuole gratuite dei P.P. Conventuali, divenne, per la sua vivacità e bellezza, il prediletto dell’organista, padre Polcano, che l’istruiva e gli insegnava la musica, e morto, vittima del lavoro, il muratore, tenne ancora con sé quel prodigio di bimbo, finchè a 12 anni non lo collocò nel Conservatorio della Madonna di Loreto.
Ivi il Cimarosa ebbe a maestri il Manna, il Fenaroli, il Sacchini.
Uscitone a 24 anni, trova una protettrice in Madama Ballante, di cui sposa la figliola.
Dà allora la prima opera, Le stravaganze del Conte, con discreto successo. Altre nuove opere applaudite seguono in sei anni.
La via è aperta: egli la segue. Va a Roma, ove conosce il Card. Consalvi, il suo futuro mecenate e fanatico ammiratore.
A proposito di questo fanatismo, un episodio quasi ignorato trovasi in una lettera del maestro G. Pacini, in cui questi narra come giunto la prima volta a Roma e presentatosi per aiuti al Ministro di Pio VII, subito costui gli chiese: – Chi preferite, Cimarosa o Paisiello? – Egli cercò di schermirsi, l’altro insistette, deciso. – … Cimarosa, – fece infine perplesso, il Pacini. Il Cardinale s’alzò di scatto, e presolo per mano, lo condusse nell’Archivio, pieno di musica del Cimarosa. – Inginocchiati: – fece all’altro – col tempo farai qualcosa.
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Da Roma l’aversano andò alla Corte di Amedeo VII, ove lascia un vivo desiderio della sua arte e del suo brio, per tornarsene a Napoli.
Intanto, con ben oltre 32 opere, il suo nome ha passato le Alpi.
Firenze, Parma, Varsavia, Vienna, son quattro tappe d’un cammino trionfale prima di giungere alla Corte russa, ove è stato chiamato al posto di Paisiello.
Al Cimarosa Caterina II non scriverà lettere confidenziali, non regalerà ville, non metterà addosso, vedendolo tremare dal freddo, il suo manto d’ermellino, come aveva fatto con Paisiello: ma il Cimarosa non aveva il carattere un po’ mellifluo e servile di Paisiello.
Onoratissimo fu però sempre; prescelto, tra l’altro, a padrino battesimale dell’Infante.
Dopo tre anni il Maestro passa a Vienna.
E’ di quest’epoca il Matrimonio segreto, il suo capolavoro che resiste al tempo. Fu dato nel 1792, al Teatro di Corte. Il successo fu così travolgente, che Leopoldo II, dopo lo spettacolo, invitò a cena con sé gli artisti ancora in belletto e costume, e dopo li rimandò in teatro per il bis integrale, filato, dell’opera.
Ciò nel ’92, anno in cui alla Corte di Vienna non avevan troppe ragioni per stare allegri, in una città su cui sfolgorava l’astro di Mozart. Questa prima fruttò all’autore, dall’Imperatore, 500 doppie d’oro napoletane.
Dopo Vienna, il Matrimonio cominciò il giro trionfale dei teatri d’Europa. A Napoli fu dato 103 sere di seguito.
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Nel ’97 il Cimarosa torna a Napoli. Cominciano i tempi tristi e fortunosi per questo puro usignolo tratto dal suo canto nel vischio di questi tempi feroci in cui: eroe o pecora, via di mezzo non c’era.
Sulle vicende politiche e la fine del Maestro, il nucleo della verità tratto dal sviluppo della leggenda non è ancora di dominio popolare per la resistenza d’una larga e suggestiva quanto facile letteratura.
Che dall’origine plebea e dalla sventura paterna derivassero al Maestro sentimenti giacobini, è puerile il credere: egli visse sempre in perfetta aderenza alla sua vita fastosa e avventurosa, che fu come l’umus della sua arte quanto mai viva e sincera.
L’indole egli ebbe poi pacifica e tranquilla, lontana dagli estremi, tutta pervasa di quella napoletana umanità che è forse un lontano riflesso della’antica origine ellenica.
E allora? Si dirà. Allora resta il puro artista, resta un’immaginazione fervida, facile ad accendersi di sincero quanto effimero fuoco.
Ricordate, a questo proposito, uno dei Sette savi di Bontempelli? Così dunque il Cimarosa nel ’99 rivestì di belle note l’inno ufficiale repubblicano; ma tornato il Borbone, la fiammata è caduta ed egli riprende l’ufficio di Maestro di Cappella e scrive per il Re una cantata e una messa. Il Re, che sapeva, s’adira e ordina di imprigionare il fedifrago, che vien preso il 9 dicembre.
Tutto ciò è sicuramente documentato da L. Conforti e dallo Spinazzola.
Leggenda quanto leggesi nel Botta e nel Florinio, che il Cimarosa fosse preso e la sua casa saccheggiata e il ‘gravicembalo gittato dalla finestra a rompersi sulle dure selci’, alla prima entrata del Ruffo, o ch’egli se ne sia stato nascosto con un cadavere sotto il palcoscenico del Teatro Fondo, donde dovette costituirsi per fame.
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Il Cimarosa fu preso più tardi, in tempi relativamente tranquilli, autodenunciandosi al Re colla sua … come dire? col suo zelo eccessivo.
Fu liberato quattro mesi dopo dagli ufficiali della Legione russa venuta a Napoli.
‘Fui salvato dall’orso” diceva il Maestro. Memore forse d’Arione salvato dal delfino.
Liberato, va esule a Venezia, ove muore otto mesi dopo.
Niente forca, dunque. E forse neanche veleno di Maria Carolina. Per il Florinio fu l’aggravarsi dell’oplessia nervosa, secondo l’atto di morte una colica biliosa.
Inoltre un certificato assai postumo, del medico pontificio, d’evidente ispirazione borbonica, parla di tumore.
Nessuno può dire, però, se con esso si volle coprire un vero delitto o non piuttosto tagliar corto a insistenti fantastiche dicerie.
Tuttavia la triplice versione lascia nell’ombra la causa della morte del Maestro.
Il Cimarosa s’era spento l’11 gennaio 1801 nel Palazzo Duodo, allora adibito ad albergo. Ebbe funerali a Venezia, e poi a Roma, ove fu cantata una sua messa.
L’ultima opera appena terminata, l’Artemisia, fu data a Venezia, sette giorni dopo la morte.
Purtroppo le ossa del grande artista andaron disperse colla demolizione della Chiesa di Sant’Angelo, ov’eran sepolte.
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Domenico Cimarosa ebbe indole aliena dal servilismo ma lontana dagli eroismi, un sano amore della realtà, semplicità buona e gioviale. L’arte, del resto, è il migliore specchio dell’uomo. Agli intrighi, alle gelosie della sua classe fu sempre estraneo.
Non invanì mai. Si narra che a un pittore che per lusingarlo lo paragonava a Mozart, rispose: – Che direste voi a chi vi paragonasse a Raffaello?
In generale si può dire fortunato. Bello, colto, conversatore brillante, idolo di folle e di potenti, ebbe triste solo la fine, assai immatura, invero, a soli 50 anni.
La vita di quest’astro cosmopolita è narrata qua e là, un po’ dovunque. Egli ebbe vari biografi, ma il numero non assicurò l’esattezza della biografia.
Ispirò pure molti poeti, che gli mantennero sulla fronte luminosa il pesante serto dell’eroe giacobino. Ora la storia ne l’ha alleggerito ed egli resta grande lo stesso.
La sua figura fu tanto popolare che fu portata anche sul Teatro tra gli altri dal poeta Boenilly, su musica del Maestro Niccolò, nell’opera buffa Cimarosa, non indegna, pare, del protagonista.
Fu ritratto in marmo (Canova), a olio, in stampe, in medaglie. Benchè non tutte sincrone e dirette, queste molteplici immagini sono così dissomiglianti che a stento si riconosce in esse il medesimo Cimarosa.
Il quale ebbe dalla seconda moglie una figlia, suora, e un figlio, Paolo, musicista, che curò le opere del padre e le cedette al Collegio di musica.
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Cimarosa è considerato il foriero del secolo d’oro della musica: più propriamente, è posto tra Mozart, a cui si riteneva tanto inferiore, e Rossini, che anche lui, giovane, non sognava di sorpassare l’aversano, se a Sthendal che gli chiese quale delle sue opere preferisse, rispose: il Matrimonio segreto.
Nella scuola comica napoletana egli è certo il più geniale. Nelle sue opere buffe egli sostituì alla convenzione il cuore – chistu cca, diceva – un sano realismo, una tenerezza sincera e onesta, una festevolezza brillante e volubile, senza fondo d’amaro e senza sorrisi mefistofelici.
Secondo il Tari, ebbe una personalità decisa, per cui mantenne un mirabile equilibrio in tutto: tra le opposte scuole, tra melopea e armonia, tra canto e orchestra e tra le parti dell’orchestra.
Se a una cosa diede la preferenza, dice il Tari, fu al canto. E’ noto in proposito, il plastico giudizio del Grétry.
Col Matrimonio il Cimarosa resiste alla marea delle mode.
E non si vede che debba esserne sommerso, giacchè egli fu un rappresentante della più vera, genuina tendenza della razza, a cui bisognerà pur sempre rivolgere gli occhi ogni volta che l’arte italiana starà per sperdersi fuori delle proprie vie.
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DOMENICO D’ANIELLO
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IL MONUMENTO AL CIMAROSA DI CUI SI PARLA IN QUESTO ARTICOLO SI TROVA TUTT’ORA NELLA PIAZZA ANTISTANTE LA STAZIONE FERROVIARIA DI AVERSA.
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Ho trovato su internet che l’Album Cimarosiano è stato ristampato nel 2010:
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Ho trovato su internet che l’Album Cimarosiano è stato ristampato nel 2010: