Pubblicazione: 04/07/2024
Ultima modifica: 08/09/2024
Avendo ricordato nella precedente news il mio viaggio a Pisa del 2010, in occasione di un “corto” su Giacomo Leopardi, non si può fare a meno di ricordare il famoso poeta di Recanati nel breve suo soggiorno a Roma.
Nel libro “ROMA ROMANTICA”, pubblicato nel 1935 a Milano dai fratelli TREVES EDITORI, Diego Angeli, a pag. 111, nel divertentissimo capitolo “Come Leopardi non vide Roma“, scrive del Segretario di Stato, Ercole Consalvi Brunacci, che fa di tutto, ma inutilmente, per aiutare l’eterno insoddisfatto Leopardi:
“A tutti questi elementi negativi bisogna aggiungere le disillusioni che il Leopardi dovette provare nella ricerca di una posizione sociale. A Roma egli era venuto principalmente per questo scopo e questo scopo non aveva ottenuto nessun risultato pratico.
Bisogna dire che egli – terrorizzato dall’idea di dovervisi stabilire – aveva messo quel tanto di cattiva volontà per allontanare un simile pericolo.
A occuparsi di lui fu specialmente sollecito il Niebuhr, che lo raccomandò di persona e con molto calore al Consalvi, come uno degli italiani che più onoravano il suo paese e più promettevano un avvenire di gloria.
E il Consalvi aveva accolto abbastanza bene quella raccomandazione, consigliando al Leopardi di <prendere l’abito di Corte, il quale gli avrebbe aperto la strada ad impieghi ed onori>.
Ma questo consiglio lo lasciò perplesso.
Alla fine, il Leopardi conchiuse per un rifiuto.
Pensò allora ad un impiego secolare, e fissò gli occhi su quello di Cancelliere del Censo, e per una nuova raccomandazione in proposito si recò dal Niebuhr che, anche questa volta, lo favorì con grande calore.
E pur troppo tutto quell’armeggio si ridusse a niente.
Il soggiorno romano del recanatese fu dunque ciò che oggi si chiamerebbe <un insuccesso>.
Insuccesso pratico e insuccesso sentimentale; ché non riuscì ad avere un impiego e Roma non gli piacque.
Tre anni dopo, infatti, essendo di nuovo ritornato alla carica per un impiego governativo e questa volta appoggiato dal Bunsen, si ebbe l’offerta del Segretario di Stato di una cattedra a Roma.
Ma il pensiero di ritornare in quella aborrita città, fu così insostenibile, che ringraziò e rifiutò.“
A proposito del padre di Giacomo Leopardi, Monaldo, in questo sito avevo già inserito delle info su di lui nel Cardinale che abolisce l’uso del latino.
Dalle: “
Opere di Giacomo Leopardi”, di Antonio Ranieri, pubblicato a Napoli nel 1860, leggiamo a pag. 277 la nota biografica
scritta dallo stesso Leopardi:
«
Nato dal conte Monaldo Leopardi di Recanati, città della Marca di Ancona, e dalla Marchesa Adelaide Antici della stessa città ai 29 giugno del 1798 in Recanati. Vissuto sempre nella patria fino all’età di 24 anni. Percettori non ebbe se non per li primi rudimenti, che apprese da pedagoghi, mantenuti espressamente in casa da suo padre. Bensì ebbe l’uso di una ricca biblioteca raccolta dal padre, uomo molto amante delle lettere. In questa biblioteca passò la maggior parte della sua vita, finché, a quanto gli fu permesso dalla salute, distrutta da suoi studi; i quali incominciò indipendentemente dai precettori in età di 10 anni, e continuò poi sempre senza riposo, facendone la sua unica occupazione. Appresa, senza maestro, la lingua greca, si diede interamente agli studi filosofici e vi perseverò per 9 anni: finché rovinatasi la vista , e obbligato a passare un anno intero (1819) senza leggere, si volse a pensare; e si affezionò naturalmente alla filosofia; alla quale, ed alla bella letteratura che le è congiunta, ha poi quasi esclusivamente atteso fino al presente. Di 24 anni passò in Roma, dove rifiutò la prelatura e le sperante di un rapido avanzamento offertegli dal Cardinal Consalvi, per le vive istanze fatte in suo favore dal consigliere Niebuhr, allora Inviato straordinario della corte di Prussia in Roma. Tornato in patria, di là passò a Bologna. Pubblicò nel corso del 1816 e 1817 varie traduzioni ed articoli originali nello Spettatore, giornale di Milano; alcuni articoli filologici nelle Effemeridi romane del 1822.”
—
Un’altra “chicca” su un incontro del Leopardi con il Manzoni a Firenze.
(copiato da facebook)
GIACOMO LEOPARDI E ALESSANDRO MANZONI:
L’ INCONTRO A FIRENZE
Era il 3 settembre 1827, lunedì.
Alle ore 19.00 Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni ebbero l’occasione di incontrarsi personalmente presso il Palazzo Buondelmonti in piazza Santa Trinità, sede allora del gabinetto di Giovanni Battista Vieusseux: fu lui a organizzare una serata di accoglienza dedicata a Manzoni, invitando alcuni tra i maggiori letterati dell’epoca, come Giovanni Battista Niccolini, lo stesso Leopardi e il suo amico-mentore Pietro Giordani.
Fu il loro primo incontro.
Alessandro Manzoni, 42enne, era venuto a Firenze, com’è noto, per “risciacquare i panni in Arno“, ossia rivedere linguisticamente la prima edizione de “I Promessi Sposi”.
Giacomo Leopardi, 29enne, era partito per Firenze il 20 di giugno. Veniva da Bologna, dove l’editore Stella gli aveva commissionato una prima Crestomazia: un’antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento.
Il poeta era attratto dal gruppo di letterati appartenenti al Gabinetto Vieusseux e il 21, su consiglio di Giordani e di Pietro Brighenti, trovò una sistemazione all’albergo della Fontana nei pressi del Mercato del grano e di Palazzo Vecchio.
Il suo stato d’animo, però, non era dei migliori, tanto che il 16 agosto aveva scritto all’amico Francesco Puccinotti di Macerata:
“Sono stanco della vita, stanco della indifferenza filosofica, ch’è il solo rimedio de’ mali, e della noia, ma che in fine annoia essa medesima. Non ho altri disegni, altre speranze che di morire. Veramente non metteva conto il pigliarsi tante fatiche per questo fine.”
Dunque, la sera del 3 settembre alle ore 19.00 venne organizzata nella sede del Gabinetto letterario, la presentazione ufficiale del Manzoni agli intellettuali fiorentini.
Pietro Citati, nel suo libro dal titolo Leopardi, racconta così l’episodio:
«… Manzoni era giunto a Firenze con la madre, la moglie, i figli e quattro domestici, scendendo in un grande albergo, le 4 Nazioni, come un potente della terra.
La sera del 3 settembre fu invitato al Gabinetto Vieusseux. C’era anche Giacomo Leopardi, dapprima nel suo cantuccio abituale.
I due si parlarono a lungo. Non sappiamo cosa si dissero, ma Leopardi amò quell’uomo dolce, modesto e amabile, che parlava balbettando e arrossendo, e a tratti si animava e diventava eloquente. Forse pensò di assomigliargli, almeno nella nevrosi e nella timidezza. Avevano la stessa grazia del cuore: un dono rarissimo, che incanta tutti coloro che lo conoscono».
La serata si rivelò piacevole, visto che alle 21 Manzoni si ritirò nel suo albergo con aria soddisfatta, come testimoniato da una lettera della figlia Giulietta indirizzata al cugino Giacomo Beccaria:
“Il Lunedì c’è soirée priée dal direttore del Gabinetto letterario dove Papà va ogni giorno, ebbe l’invito in istampa e ieri vi passò la sera e siccome il biglietto vale per varii Lunedì conta andarci sempre, vedi che è molto per lui.”
Qualche giorno dopo, Leopardi descriveva l’evento al padre Monaldo:
Firenze, 8 settembre 1827
“… Del rimanente, grazie a Dio, sto bene, eccetto incomodi leggeri di flussioni e di stomaco. Ella indovina assai bene che io non posso curarmi molto di certe alte conoscenze, dalle quali anche non potrei sperar nulla. Me la passo con questi letterati, che sono tutti molto sociali, e generalmente pensano e valgono assai più de’ bolognesi. Tra’ forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l’Italia parla, e che ora è qui colla sua famiglia.”
Nello stesso giorno, in una lettera all’amico Pietro Brighenti, scrive
“Io qui ho avuto il bene di conoscere personalmente il signor Manzoni, e di trattenermi seco a lungo: uomo pieno di amabilità, e degno della sua fama.”
Anche se era ben nota la loro rivalità, possiamo ipotizzare che questo incontro fu piacevole per entrambi.
E cosa pensava Manzoni di Leopardi?
L’unica testimonianza ci viene dal filologo Svizzero De Sinner.
Quando, nel 1830, lasciando l’Italia, lo studioso passò per Milano e chiese al Manzoni se conoscesse Leopardi e le sue Operette morali, lo scrittore rispose entusiasta:
“Voi conoscete Leopardi … avete letto i suoi saggi di prosa? Noi l’abbiamo fatto … basta prestare attenzione a questo piccolo volume; in quanto a stile, non si poteva scrivere niente di meglio nella prosa italiana dei nostri giorni …”
(In questo post ho, in parte, ripreso un articolo di Tuscany People, scritto da Vieri Tommasi Candidi)