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Leopardi a Roma

Avendo ricordato nella precedente news il mio viaggio a Pisa del 2010, in occasione di un “corto” su Giacomo Leopardi, non si può fare a meno di ricordare il famoso poeta di Recanati nel breve suo soggiorno a Roma.

 

Nel libro “ROMA ROMANTICA”, pubblicato nel 1935 a Milano dai fratelli TREVES EDITORI, Diego Angeli, a pag. 111, nel divertentissimo capitolo “Come Leopardi non vide Roma“, scrive del Segretario di Stato, Ercole Consalvi Brunacci, che fa di tutto, ma inutilmente, per aiutare l’eterno insoddisfatto Leopardi:

 

A tutti questi elementi negativi bisogna aggiungere le disillusioni che il Leopardi dovette provare nella ricerca di una posizione sociale. A Roma egli era venuto principalmente per questo scopo e questo scopo non aveva ottenuto nessun risultato pratico.

Bisogna dire che egli – terrorizzato dall’idea di dovervisi stabilire – aveva messo quel tanto di cattiva volontà per allontanare un simile pericolo.

A occuparsi di lui fu specialmente sollecito il Niebuhr, che lo raccomandò di persona e con molto calore al Consalvi, come uno degli italiani che più onoravano il suo paese e più promettevano un avvenire di gloria.

E il Consalvi aveva accolto abbastanza bene quella raccomandazione, consigliando al Leopardi di <prendere l’abito di Corte, il quale gli avrebbe aperto la strada ad impieghi ed onori>.

Ma questo consiglio lo lasciò perplesso.

Alla fine, il Leopardi conchiuse per un rifiuto.

Pensò allora ad un impiego secolare, e fissò gli occhi su quello di Cancelliere del Censo, e per una nuova raccomandazione in proposito si recò dal Niebuhr che, anche questa volta, lo favorì con grande calore.

E pur troppo tutto quell’armeggio si ridusse a niente.

Il soggiorno romano del recanatese fu dunque ciò che oggi si chiamerebbe <un insuccesso>.

Insuccesso pratico e insuccesso sentimentale; ché non riuscì ad avere un impiego e Roma non gli piacque.

Tre anni dopo, infatti, essendo di nuovo ritornato alla carica per un impiego governativo e questa volta appoggiato dal Bunsen, si ebbe l’offerta del Segretario di Stato di una cattedra a Roma.

Ma il pensiero di ritornare in quella aborrita città, fu così insostenibile, che ringraziò e rifiutò.

 

A proposito del padre di Giacomo Leopardi, Monaldo, in questo sito avevo già inserito delle info su di lui nel Cardinale che abolisce l’uso del latino.

 

Dalle: “Opere di Giacomo Leopardi”, di Antonio Ranieri, pubblicato a Napoli nel 1860, leggiamo a pag. 277 la nota biografica scritta dallo stesso Leopardi:
«Nato dal conte Monaldo Leopardi di Recanati, città della Marca di Ancona, e dalla Marchesa Adelaide Antici della stessa città ai 29 giugno del 1798 in Recanati. Vissuto sempre nella patria fino all’età di 24 anni. Percettori non ebbe se non per li primi rudimenti, che apprese da pedagoghi, mantenuti espressamente in casa da suo padre. Bensì ebbe l’uso di una ricca biblioteca raccolta dal padre, uomo molto amante delle lettere. In questa biblioteca passò la maggior parte della sua vita, finché, a quanto gli fu permesso dalla salute, distrutta da suoi studi; i quali incominciò indipendentemente dai precettori in età di 10 anni, e continuò poi sempre senza riposo, facendone la sua unica occupazione. Appresa, senza maestro, la lingua greca, si diede interamente agli studi filosofici e vi perseverò per 9 anni: finché rovinatasi la vista , e obbligato a passare un anno intero (1819) senza leggere, si volse a pensare; e si affezionò naturalmente alla filosofia; alla quale, ed alla bella letteratura che le è congiunta, ha poi quasi esclusivamente atteso fino al presente. Di 24 anni passò in Roma, dove rifiutò la prelatura e le sperante di un rapido avanzamento offertegli dal Cardinal Consalvi, per le vive istanze fatte in suo favore dal consigliere Niebuhr, allora Inviato straordinario della corte di Prussia in Roma. Tornato in patria, di là passò a Bologna. Pubblicò nel corso del 1816 e 1817 varie traduzioni ed articoli originali nello Spettatore, giornale di Milano; alcuni articoli filologici nelle Effemeridi romane del 1822.”