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Domenico Cimarosa ultima lettera ai figli

In verità questo titolo non è propriamente esatto.

Sicuramente questa lettera, ritrovata all’estero, non è stata l’ultima inviata dal Cimarosa ai suoi figli.

Quindi, il titolo esatto potrebbe essere: Ultima lettera, a noi conosciuta, inviata dal Cimarosa ai propri figli.

Sicuramente ve ne saranno state altre, se non scritte proprio da lui, magari scritte dai suoi amici sotto dettatura, causa dolorosa malattia.

Ieri, 5 settembre 2024, ho avuto la sorpresa ed il piacere di essere contattato da una persona di cultura, non residente in Italia, la quale ha passato tutta la sua vita a salvare dalla distruzione prima, e dall’oblio poi, importantissime testimonianze del passato, utilissime per studiosi e storici.

Questa persona, di cui per il momento non posso qui comunicare il suo nome senza il suo consenso, mi ha inviato copia di una lettera del famoso musicista Aversano / Napoletano, Domenico Cimarosa, inviata da Venezia il 3 gennaio 1801, poco prima di morire (11.01.1801), ai suoi figli (Raffaele, Paolo e Costanza) ed all’amico Ferdinando, con il permesso di poterla pubblicare in questo sito, mettendola così a disposizione, appunto, di studiosi e storici.

Il 26 ottobre prossimo, in occasione di quest’anno consalviano, si terrà in Aversa un Convegno sull’Amicizia tra il Cimarosa ed il Consalvi e lì sveleremo il cognome dell’amico Ferdinando.

Oltre alla lettera del Cimarosa, il mio contatto mi ha comunicato di essere in possesso di numerosi autografi originali del Consalvi.

Si tratta di documenti molto importanti che potrebbero arricchire di molto la biografia del nostro antenato Ercole Consalvi Brunacci.

Sperando in una continua e proficua collaborazione in nome della cultura, ringraziamo il proprietario dell’ultimo autografo, a noi conosciuto, del Cimarosa, che qui di seguito pubblichiamo.

LETTERA DEL CIMAROSA

INDIRIZZO DELLA LETTERA

 

 

Abbiamo provato a copiare il testo della lettera fedelmente, esattamente come è stata scritta dal Cimarosa.

 

Mio Caro figlio, e mio Caro Ferdinando

Venezia, 3 Gennaro 1801

Relazione e stato di mia salute.

Stomaco indebolito, viscere rilassate e gonfiate da continui torbioli, o siano venti, inappetenza inarrivabile ed in conseguenza forze indebolite, e nottate non tranquille.

Avvilimento di spirito, giacché il coraggio pare mi voglia abbandonare, anche per la massima ragione di ritrovarmi lontano dalla mia Famiglia e da i miei Amici.

Vengo assistito a puntino dal mio Collega e da Lorenzo e da due Medici.

Per quasi 20 giorni ho preso un decotto composto di China, Reabarbaro, Acqua di finocchio e la sera Unzione sopra tutta la Pancia di una certa robba che ci entra anche del volatile; ma il fatto si è che giorni sono mi si aprì il ventre, ed ho sofferto una diarea che tuttavia non è affatto tutta terminata; li Medici dicono che è stato buono, spogliandosi così le viscere di quelle materie impure.

Ieri sera appunto hanno fra di loro consultato, e di accordo hanno risultato di darmi ogni matina un certo vino medicato nel quale ci entrano molte cose toniche, e fino anche il ferro, essendo persuasi che detto vino rimetterà in forze le viscere facendogli fare le necessarie, solite divisioni dei sughi, cioè del Chilo, della Bile, operazione che non fanno presentemente le suddette mie viscere.

Il primo dell’Anno stiedi malissimo, ma con tutto ciò per buono augurio mi levai dal letto alle 3 dopo il mezzo giorno.

Già il tutto è derivante da quell’antica maledetta durezza, la quale me la vogliono far credere diminuita, ma io non ne sono persuaso.

Lo smagrimento pare che si avanzi ogni giorno di più, ed in tale stato di cose non solo tutti gli Amici, ma anche i due Medici suddetti mi assicurano che di questo male non ne morirò, anzi che guarirò sicuramente, essendo un male lungo, tormentoso, e noioso, e se l’Iddio mi da Tempo fino alla buona stagione, anch’io sono persuaso che coll’aiuto suo e con dei rimedi delle acque, o siano bagni che stanno sul vicentino, potrò recuperare la pristina mia salute.

Non vi parlo del dispendio che mi porta questa malatia, perché il primo scopo è quello di vincere la causa.

Iddio così vuole, così sia.

Relazioni rapporto alla Professione.

Al tavolino non ci sono più accostato; l’Opera è mancante di poco; Mattucci birbone non è mai più qui comparso; l’Impresario per disperazione domani sera anderà in Scena con una compagnia di Cani; la Storace, e suo Marito stanno qui, hanno avuto la loro parte e sento ne siano molto contenti, ma essendo arrivati alla Piazza, come vi scrissi non prima del giorno di Natale a causa dei chiusi passi, il Cavos gli vorrebbe levare dalla paga 130 Zecchini fra tutti e due e se ne sta facendo la causa.

Io però sono di parere, e lo sono moltissimi con me, che l’Impresario ha torto; intanto si sta così ed Iddio sà se la mia povera Musica con qual ripiego di Musico dovrà andare in scena.

Il sommo mio desiderio sarebbe quello di presto andare a Trieste per respirare un’aria migliore di questa, ma poi pensando al freddo che fà colà, all’impegno che mi assiste, ed al male che mi tormenta, mi scoragisco, ed Iddio sà come dovrà finire; intanto finora non ho avuto un verso del libro.

L’Opera Buffa che devo dare a Berto non se n’è parlato più, ma io l’ho tutta all’ordine per consegnarcela, e mettersela in Scena quando crederà.

Fra 15 giorni al più riceverò da Sua Eminenza Consalvi la risposta in rapporto alla decisione di Mattucci, la quale già me la figuro inutile, perché inconcludente, e per il Carnevale di già avanzato.

L’ultima vostra, che ricevo in data 23 dicembre, mi dice che in due ordinari siete rimasti senza mie lettere, io non so ciò come possa succedere, quantoché io, con tutti i guai miei, non manco di scrivervi in ogni ordinario, sicché dubito che sia ritardo di Posta, e forse riceverete tre, o quattro lettere insieme.

Sua Eminenza la Principessa non è in Venezia (Virginia Chigi al n.7), ma sento che si sia portata verso Verona per cui non sono andato ad abitare da lei, ma bensì ìn dove sono alloggiato, sto quieto e tranquillo; a tutti gli Amici mille saluti, non essendoci tempo di nominarli ad uno ad uno, saluto però particolarmente tutta la Famiglia Buclin e con distinzione Donna Caterina, e Donna Maria Antonia vostra Consorte, anche da parte di Lorenzo.

Iddio vi rimunererà di tutto ciò che fate per codesti miei Figli, ed io ve ne sarò eternamente tenuto, ai medesimi raccomando la saviezza, l’obbedienza e lo studio, acciò possa sempre, come fò, benedirli col cuore, abbracciando teneramente anche voi caro il mio Amico, vi dico addio addio.

Addio Raffaele, quantunque non hai scritti sotto la lettera di Ferdinando due versi, addio Paolino, addio Costanza, addio Donna Maria Antonia, addio Ferdinando.

Pregate Iddio per me.

Vostro affezionatissimo Padre che vi ama.

Mimino

P.s.

Come abbiamo letto, nella lettera il Cimarosa invia saluti alla Famiglia Buclin (Paolino sposerà Teresa Buclin) ed anche a Maria Antonia (Vona), che si unirà in matrimonio con Raffaele, dopo la morte del padre. Il Cimarosa scrive, però, “vostra Consorte“, il che significa che Raffele e Maria Antonia probabilmente già convivevano “more uxorio“.