Poco fa ho appreso dalla televisione che i morti nel Lazio e nelle Marche sono saliti a 247. Preghiamo per loro!
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Apprendo sempre dalla televisione che già nel 1639 Amatrice era stata rasa al suolo dal terremoto e poi ricostruita.
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Speriamo che si faccia di tutto anche per salvare la memoria storica di questi paesi così duramente colpiti, salvando i registri parrocchiali e comunali.
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In particolare, vorrei ricordare il busto di Camillo Orsini di Mentana che si trovava nella Chiesa di San Francesco.
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Speriamo che non venga gettato nelle discariche dalle ruspe.
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Tempo fa feci un viaggio ad Amatrice, dove riscoprii proprio quel busto di 500 anni fa.
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La
Basilica di San Francesco si trova a pochi metri dal
Palazzo del Comune ed insieme all’annesso convento costituisce il complesso edilizio storico più importante di
Amatrice.
La chiesa, dedicata in origine a Santa Maria Vergine, sorge al confine meridionale della città ed è stata edificata tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo.
L’interno si presenta a navata unica e fino al XVI secolo era completamente affrescato. Gli attuali dipinti, che sono stati riportati alla luce nel 1914 e 1934 da parte della Soprintendenza ai Musei e Gallerie di Roma, restituendo alla città un considerevole patrimonio artistico del quale si era persa memoria, illustrano le storie della Vergine, del Cristo e dei Santi Francescani.
Su una parete laterale possiamo ammirare un sontuoso altare seicentesco intagliato in legno dall’artista locale Giovan Battista Giglio e dipinto poi in oro e azzurro. Dedicato alla Madonna di Filetta, venne eretto per custodire il reliquiario di un cammeo, cesellato nel 1472 dall’orafo ascolano Pietro Vannini. Di notevole interesse anche il busto marmoreo di Camillo Orsini, opera del cinquecento, ed il pulpito barocco intagliato in legno.
L’esterno è caratterizzato da una monumentale facciata che accoglie un elegante rosone e lo stupendo portale gotico, in travertino bianco, nella cui lunetta spicca un gruppo di statue in terracotta della Vergine in trono col Bambino. Si tratta di una soluzione tipica dell’architettura abruzzese. Di ascendenza umbra è, invece, l’utilizzo di lesene per la muratura esterna.
Il Convento, invece, è stato costruito nella seconda metà del XIII secolo dai Frati Minori, ordine fondato da San Francesco d’Assisi. Importanti gli interventi che ha subito nel corso dei secoli, in particolare nel Cinquecento.
Venne soppresso nel 1809, insieme ad altri ordini monastici di Amatrice, per effetto del Regio Decreto di Gioacchino Murat che cancellava un considerevole numero di conventi nel Regno di Napoli e ne trasferiva tutti i beni al Demanio.
Accanto alla chiesa, nell’ex palazzo della pretura, già Chiesa di Sant’Antonio risalente alla fine degli anni ’20 del Novecento, oggi troviamo la sede del Polo Agroalimentare del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e la locale caserma dei Carabinieri.
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OGGI, 14 SETTEMBRE, IL COMUNE DI AMATRICE, CHE QUI RINGRAZIAMO, SI E' MESSO IN CONTATTO CON NOI, ASSICURANDOCI CHE, APPENA SARA' POSSIBILE, PROVVEDERANNO AD ASSICURARSI CHE IL BUSTO DI CAMILLO ORSINI VENGA RECUPERATO E, NATURALMENTE, PROVVEDERANNO SUBITO A DARCENE NOTIZIA.
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SPERIAMO CHE IL BUSTO SIA INTEGRO E CHE IL COMUNE DI MENTANA POSSA FARNE UNA COPIA.
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Alcuni giorni fa scrivemmo al CAI di Ascoli Piceno ed anche al Comune di Amatrice le seguenti mail:
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"Buongiorno,
stavamo leggendo nel vostro sito le informazioni sulla Chiesa di San Francesco.
http://www.caiascoli.it/attachments/article/416/Relazione%20escursione%2010%20Aprile%202011.pdf
Abiamo visto ieri in televisione l'interno della Chiesa ripreso da un drone ed abbiamo avuto l'impressione che il Busto di Camillo Orsini di Lamentana (oggi "Mentana") non fosse più nella sua nicchia.
E' possibile, per favore, averne informazioni più precise?
Grazie"
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Buongiorno,
non sapendo a chi poter inviare questa nostra richiesta, Vi preghiamo di inoltrarla a chi possa essere a conoscenza dell'oggetto.
Vorremmo sapere se il busto cinquecentesco di Camillo Orsini di Mentana si sia salvato.
Tale busto si trovava in una nicchia, in alto, nella Chiesa di S. Francesco.
Un cordiale saluto"
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Vita di Camillo Orsini
presa dalla Treccani
Dizionario Biografico
ORSINI, Camillo
Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 79 (2013)
di Giampiero Brunelli
ORSINI Camillo nacque a Roma nel 1492 da Paolo e da Giulia Santacroce.
Dopo la morte del padre, fatto assassinare da Cesare Borgia nel 1503 (1), si trasferì a Napoli. Fu avviato giovanissimo alla carriera militare, sotto Nicola Orsini da Pitigliano e Bartolomeo d’Alviano. Quest’ultimo gli affidò una condotta di uomini d’arme, con cui Orsini esordì alla battaglia di Rusecco, presso Tai di Cadore, il 2 marzo 1508.
Durante la guerra della Lega di Cambrai contro Venezia, militò per i francesi sotto Gian Giacomo Trivulzio. Intorno al 1510 passò al servizio del pontefice: ebbe dapprima una condotta di 50 uomini d’arme da Giulio II; poi, in occasione della guerra di Urbino contro Francesco Maria Della Rovere, fu nominato da Leone X generale della cavalleria. Nel marzo 1517 si distinse con diverse iniziative fra Mondavio e Senigallia, poi entrò nella guarnigione di Pesaro.
I rapporti con Leone X non erano destinati a consolidarsi: dopo aver sposato Brigida Orsini di Bracciano intorno al 1516, nel marzo 1520 Orsini si unì in seconde nozze con Elisabetta di Giampaolo Baglioni, antico signore di Perugia imprigionato da papa Medici. Dopo la decapitazione del suocero (11 giugno 1520), si dimostrò pronto a vendicarlo: giunse in autunno presso Roma obbligando il pontefice a rafforzare il presidio del Vaticano; poi però preferì allontanarsi, cercando condotte presso altri sovrani. All’inizio del 1521 intavolò trattative per entrare agli stipendi di Venezia o di Carlo V.
Alla morte di Leone X (1° dicembre 1521), prese la via dell’aperta ribellione: unitosi ai Baglioni per aiutarli a rientrare in Perugia, entrò con un forte contingente in Umbria e, all’inizio del 1522, sconfisse due volte le truppe pontificie. Chiuso il conflitto tra i feudatari perugini e il Sacro Collegio con una trattativa, ebbe dal governo veneziano la condotta di una compagnia di 100 lancieri a cavallo (luglio 1522). Iniziò così un’esperienza di servizio che sarebbe durata per più di vent’anni.
Tra il 1523 e il 1525, combatté i francesi che tentavano senza successo la conquista del Milanese, distinguendosi in occasione della presa di Garlasco (marzo 1524). Partecipò altresì alla battaglia di Pavia (24 febbraio 1525) e all’assedio di Cremona (agosto 1525). Verso la fine dello stesso anno, fu trasferito a Padova con il compito di supervisionare lo stato delle difese cittadine. Nell’autunno 1526, però, i suoi tentativi di impedire (o almeno di ostacolare) la discesa nella penisola dei lanzichenecchi di Georg von Frundsberg rimasero senza esito. Dopo un breve periodo di attività come governatore militare di Bergamo, all’inizio del 1527 poté tornare a Roma: vi si trovò dunque il 6 maggio, quando i lanzichenecchi le diedero l’assalto.
Mentre infuriava il Sacco di Roma, riuscì a mettersi in salvo e a raggiungere Spoleto. Rientrato al servizio dei veneziani alla fine del 1527, si impegnò nella difesa del Bergamasco e nel supporto alle operazioni contro Lecco. Poi passò all’offensiva in Puglia, insieme alle truppe francesi del maresciallo Odet de Foix, visconte di Lautrec. Partecipò attivamente all’occupazione dei principali centri della regione: il 24 marzo, con Pedro Navarro, conquistò Melfi e all’inizio del mese successivo, con un piccolo contingente, fu mandato da Lautrec contro Barletta e Trani. Come previsto, le due città si diedero spontaneamente ai francesi (solo il castello di Trani resistette per qualche giorno); entro la metà di aprile anche Monopoli, Mola e Polignano si arresero a Orsini. Rimasero nelle mani degli spagnoli quasi soltanto il castello di Brindisi e Manfredonia: l’assedio di quest’ultima continuò per tutta l’estate 1528, ma non ebbe esito favorevole. Nel contempo, con la morte di Lautrec e la sconfitta francese di Aversa (15-30 agosto 1528), si chiuse senza un esito definito l’invasione del Regno di Napoli. I veneziani iniziarono allora a organizzare la difesa di quanto conquistato. Il 12 settembre 1528 Orsini entrò in Trani, dove erano di guarnigione circa 800 uomini: nel successivo novembre, fu nominato governatore generale in Puglia, con una provvigione annua di 1000 ducati. Con questo incarico, all’inizio dell’anno successivo, tentò di opporsi alla controffensiva di Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto. Monopoli, sotto il suo comando, resistette efficacemente all’assedio; quindi, Orsini si spostò a Trani, affrontò i cavalleggeri di Ferrante Gonzaga e in luglio compì una feroce incursione contro Molfetta, feudo di Gonzaga. Infine, nel successivo agosto, tentò di prendere il castello di Brindisi ancora in mano agli spagnoli: tuttavia, dopo un iniziale successo, dovette ritirarsi. La notizia della pace conclusa a Cambrai il 5 agosto 1529, che prevedeva la restituzione di tutto il territorio conquistato dai veneziani, sopraggiunse quando aveva più volte sperimentato difficoltà logistiche e incomprensioni da parte del capitano generale in Puglia, Gerolamo Pesaro, e del provveditore generale, Giovanni Vitturi. Tornò a Venezia il 13 novembre 1529: per avere contribuito all’invasione del Regno di Napoli fu privato da Carlo V della signoria sui feudi irpini di Atripalda e Montefredano.
Concluso questo conflitto, Orsini rimase ai servizi di Venezia come comandante di cavalleria, in particolare nei presidi di Vicenza e Verona: quindi, nel novembre 1537, poco dopo l’inizio del conflitto con i turchi in Dalmazia, ne fu nominato governatore generale. Mentre i turchi prendevano i castelli di Nadin e Vrana, Orsini si concentrò sulla difesa di Zara e sul presidio di Nona (Nin). Penalizzato da forti difficoltà nel pagamento delle truppe, poté effettuare soltanto qualche sortita, come quella contro Ostrovisza (a circa 25 km da Zara, all’inizio di agosto 1538). La successiva nomina di Alvise Badoer a provveditore generale limitò il campo d’azione di Orsini, che fece domanda di essere richiamato a Venezia. Vi arrivò nel gennaio 1539; prese dapprima dimora in Murano, poi tornò al presidio di Verona. Chiese infine licenza di passare nel suo feudo laziale, ma la ottenne solo a condizione di siglare un nuovo contratto di condotta con Venezia. Gli accordi furono conclusi il 23 settembre 1540 e prefigurarono una condotta di 100 uomini d’arme, con 4000 ducati annui di stipendio: Orsini rimase ancora qualche mese in servizio a Verona, ma nel 1543 prese definitivamente congedo.
Si trasferì allora a Ferrara, dove entrò in contatto con l’ambiente culturale germinato intorno alla figura di Renata di Francia (moglie del duca Ercole II). Quindi, nel 1547, tornò in servizio negli ordinamenti militari pontifici. Paolo III gli affidò il governo di Parma, che, dopo l’assassinio di Pier Luigi Farnese (10 settembre 1547), correva il rischio di sfuggire definitivamente al dominio della Chiesa.
Nominato governatore generale dell’esercito pontificio, custodì Parma con ogni mezzo, giungendo al punto di ostacolare la successione al titolo ducale di Ottavio Farnese (che si era mosso senza attendere l’autorizzazione di Paolo III). Solo quando fu eletto Giulio III (8 febbraio 1550) ed ebbe ricevuto da questi la disposizione di restituire la città emiliana a Ottavio Farnese, Orsini gliene lasciò prendere il possesso e tornò a Ferrara. Pochi mesi più tardi, confermato governatore generale delle truppe del pontefice, si trovò impegnato nella guerra di Parma, contro lo stesso Farnese e i suoi alleati francesi: il 2 luglio 1551 guidò l’avanzata contro Mirandola, primo obiettivo del conflitto, ed ebbe qualche successo negli scontri iniziali con i francesi (5 luglio 1551). Quindi, ceduto all’inizio di agosto il comando delle operazioni al nipote del papa, Giovan Battista Del Monte, fu incaricato della difesa di Bologna, alla quale attese fino alla fine del conflitto (29 aprile 1552).
Nel 1553, rimasto vacante il grado di governatore generale dell’esercito veneziano, Orsini si dimostrò pronto ad assumerlo, ma la trattativa non andò a buon fine ed egli si ritirò dal servizio attivo. Qualche anno dopo, nell’aprile 1556, fu autorizzato da Paolo IV a militare per il duca di Ferrara Ercole II: tuttavia, l’apertura del conflitto tra papa Carafa e Filippo II lo fece restare in servizio nello Stato della Chiesa. Orsini fu incaricato di approntare le difese di Roma. Stese nell’occasione un Discorso (Roma, Arch. storico Capitolino, Archivio della Camera Capitolina, cred. I, t. XX, cc. 129v-130r). La guerra si concluse con la pace di Cave (4 settembre 1557), prima che l’efficacia dei suoi apprestamenti difensivi fosse concretamente saggiata.
Orsini si ritirò a Mentana e si concentrò sul governo del feudo, occupandosi della redazione degli statuti municipali e persino delle coltivazioni agricole del territorio. Fu richiamato a Roma circa un anno dopo.
Infatti, il 27 gennaio 1559, mentre allontanava da tutti gli incarichi di governo i suoi consanguinei, Paolo IV nominò Orsini comandante generale delle armi della Chiesa. Inoltre, il 3 febbraio, insieme con i cardinali Bernardino Scotti e Virgilio Rosario, Orsini entrò nel Sacro Consiglio, organo collegiale di governo dello Stato della Chiesa istituito da Carafa con il motuproprio Com nos ingravescente.
Morì l’8 aprile 1559 a Roma, ebbe solenni funerali e fu sepolto nella chiesa di S. Salvatore in Lauro.
Presto però si diffusero voci relative alle sue opinioni religiose non convenzionali: ne scaturì, all’inizio di giugno 1559, un procedimento inquisitoriale che avrebbe potuto condurre alla riesumazione e al rogo del suo corpo. Di questo processo non sono emersi gli atti, ma è certo che Orsini mantenne una sostanziale libertà di pensiero in materia religiosa: si interessava di questioni teologiche ed era arrivato a un personale distacco dal corredo dei dogmi della Chiesa; considerava invece di fondamentale importanza il ruolo della grazia di Dio, che gli sembrava aver predestinato il numero di coloro che avrebbero raggiunto la salvezza. Erano opinioni fondate sul pensiero di s. Paolo, certamente molto vicine a quelle dei riformati: Orsini però, continuava a rispettare le forme cattoliche del culto. Per questo, è apparso alla storiografia come un nicodemita esemplare.
I comportamenti concreti di Orsini complicano ulteriormente il quadro della sua spiritualità. Se nel 1536 egli giudicò in modo severo chi (come il conte Rodolfo Campeggi) aveva simpatizzato con i circoli eretici di Bergamo, negli stessi anni fu in contatto con quel gruppo di uomini di Chiesa, intellettuali, artisti la cui vita religiosa era fortemente influenzata dagli insegnamenti di Juan de Valdés. Nel 1537, poi, è testimoniata la frequentazione di Orsini con l’eretico Oddo Quarto da Monopoli. A cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta del Cinquecento, infine, si susseguirono alcune palesi prese di posizione: nel 1549 e nel 1550 tentò due volte di sottrarre alla giustizia inquisitoriale Fanino Fanini e nell’agosto 1550 ospitò a Ferrara Pietro Bresciani, che era a stretto contatto con la cerchia dell’eretico Giorgio Siculo.
Il testamento di Orsini, rogato nel 1552 dal notaio Antonio Massa da Gallese, conteneva lasciti a favore di due cardinali ben noti al tribunale del S. Uffizio, Reginald Pole e Giovanni Morone. Le stesse disposizioni testamentarie regolarono la successione fra i suoi figli (cui aveva a suo tempo dato per precettore il letterato Teofilo Folengo): Paolo e Giovanni furono istituiti insieme eredi universali; il figlio naturale Latino ebbe la dotazione stabilita all’atto della sua legittimazione; alle figlie Maddalena e Giulia lasciò le rispettive doti, più 100 scudi ciascuna. La seconda sposò Baldassarre Rangoni, la prima Lelio dell’Anguillara da Ceri: rimasta però vedova nel 1572, prese nel 1577 l’abito monastico con la regola domenicana della Provincia Romana riformata.
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Degli huomini illustri di casa Orsina, Venezia, B. e F. Stagnini, 1565, pp. 80v-83r; G. Orologi, Vita dell’illustrissimo signor C. O., Venezia, G. Giolito de Ferrari, 1565; F. Longo, Descrizione della guerra seguita tra la Serenissima Repubblica di Venetia e sultan Solimano imperator de Turchi l’anno 1537, in Monumenta spectantia Slavorum meridionalium, VIII, Zagabria 1877, pp. 113-131, passim; M. Sanudo, I Diari, a cura di Rinaldo Fulin, vol. XXIV-LVI, Venezia 1889-1900, ad ind.; G. Miccoli, La Storia religiosa, in Storia d’Italia, 2/1, Dalla caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, Torino 1974, pp. 1049-1058; C. Vasoli, Il processo per eresia di Oddo Quarto da Monopoli, in Monopoli nell’età del Rinascimento, Monopoli 1988, pp. 569-624 (in part. pp. 577-579); M. Firpo, D. Marcatto, I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), Città del Vaticano 1998-2000, ad ind.; M. Firpo, Dal sacco di Roma all’inquisizione: studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana, Alessandria 1998, pp. 64, 79, 104; A. Prosperi, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano, 2001 p. 197; G. Brunelli, «Sopra tutto fu inclinatissimo alla religione». La Vita dell’illustrissimo signor C. O. di Giuseppe Orologi, in Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina, a cura di M. Firpo, Firenze 2005, pp. 429-452; S. De Angelis, Un monastero savonaroliano nella Roma della Controriforma: Maddalena Orsini e la fondazione di S. Maria Maddalena al Quirinale (1582), in Rivista di Storia e letteratura religiosa, XLVI (2010), pp. 32-34, 37-38; G. Brunelli, Il Sacro Consiglio di Paolo IV, Roma 2011, ad ind.; M. Catto, Cristiani senza pace. La Chiesa, gli eretici e la guerra nella Roma del Cinquecento, Roma 2013, ad ind.
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(1)
Cesare Borgia, detto il Valentino, fece strangolare Paolo Orsini, padre di Camillo, a Città della Pieve (allora: Castel della Pieve).
Impaurito per il ritardo dell'arrivo delle truppe francesi, il Borgia preferì dividere i congiurati, partendo dal tentare Paolo Orsini, il quale apparteneva ad una famiglia potentissima (gli Orsini di Roma), facendogli credere che non aveva alcun risentimento nei confronti dei suoi capitani, e che questi potevano ritornare nelle sue fila, senza subire alcuna pena, ma anzi con un supplemento di paga per i soldati orsini; anche il Papa, Alessandro VI (padre di Cesare), temendo che gli Orsini, galvanizzati dalle imprese dei loro parenti a Calmazzo, potessero ribellarsi a lui, s'impegnò subito a contattare il cardinale Giovanni Battista Orsini, ed a mandare i suoi legati dal Duca di Gravina ed a Giulio Vitelli, fratello di Vitellozzo, nonché Vescovo di Città di Castello.
Il Vitelli, era più sospettoso e accorto degli altri congiurati, e non si fidava delle parole a loro indirizzate[4]; alla fine però, egli desistette, a patto che suo fratello Vitellozzo accettasse anch'egli le proposte fattegli. In quel momento, Vitellozzo era a Fano con Guidobaldo da Montefeltro, e fu così che il Duca di Gravina, Paolo Orsini e Giulio Vitelli si recarono nella città marchigiana per mostragli le offerte dei Borgia, evidenziando come i condottieri avessero ormai perso molti alleati, come Pandolfo Petrucci di Siena, i Bentivoglio e la Repubblica fiorentina, che non si sarebbe mai schierata contro Cesare per paura di Luigi XII di Francia, che dal canto suo stava per inviare numerosissime armate in Italia.
Ma Vitellozzo aveva grande conoscenza di Cesare, e per questo stracciò tutti i fogli dove erano scritte le promesse del Borgia; le trattative segrete per la pace comunque continuarono, portate avanti senza sosta da Paolo Orsini, che doveva fronteggiare la resistenza oppostogli dai Vitelli e dai Baglioni di Perugia. Alla fine però, Vitellozzo desistette, e fu per questo stipulato un accordo; Vitellozzo Vitelli, il Duca di Gravina, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo furono invitati a Senigallia, dove, il 31 dicembre 1502, furono catturati tutti; nella notte (quindi già 1503), Vitellozzo e Olivierotto furono strangolati, mentre i due Orsini aspettarono la loro morte a Castel della Pieve, morendo strangolati anch'essi il 18 gennaio 1503.