UN FERMO IMMAGINE
sulla Battaglia di Mentana
commento di Maurizio Brunacci
Il mio carissimo amico di Anzio, dr. Vincenzo Monti, pochi giorni fa mi ha fatto un graditissimo regalo, donandomi un opuscolo riguardante la battaglia di Mentana del 1867, trovato su una bancarella.
Opuscolo 1905 della Marchesa Del Bufalo
Il titolo è abbastanza promettente: “Dopo la battaglia di Mentana“.
Il sottotitolo spiega meglio il contenuto: “Visite negli ospedali – RICORDI della Marchesa E. Del Bufalo della Valle“.
Fu pubblicato nel 1905 a Napoli, stampato nella Tipografia Centrale, via Roma 228 (Palazzo Cirella) (1)
(1) Il Palazzo Cirella è un palazzo monumentale della città di Napoli; si trova in via Toledo al civico n. 228 (sull’opuscolo è scritto: via Roma 228). Esso sostituì il collegio di San Francesco Saverio, dopo la cacciata dei Gesuiti dal Regno di Napoli del 1767. Dunque la sua edificazione risale certamente all’ultimo quarto del XVIII secolo. Appartenne alla famiglia nobiliare dei Catalano Gonzaga, che possedeva il titolo nobiliare di Duchi di Cirella. Il palazzo presenta un bel cortile con un fondale di ispirazione vanvitelliana, in cui trovano posto una nicchia ornata con una scultura di epoca tardo-manierista ed uno scalone. L’immobile ha importanza soprattutto dal punto di vista storico, in quanto davanti all’edificio i rivoltosi del 1848 vi eressero le barricate; gli stessi proprietari del palazzo dell’epoca, di idee liberali, presero parte ai moti ed il fratello del Duca Catalano Gonzaga venne condannato a morte in contumacia.
Apro l’opuscolo e scopro che si tratta della prima bozza di stampa corretta dalla stessa Marchesa E. Del Bufalo.
Il contenuto di questo interessante opuscolo rappresenta praticamente un “FERMO IMMAGINE” seguente la battaglia di Mentana, il potere dello Stato Pontificio e della nobiltà romana di allora, descritto in tempo reale. Un arco temporale di tre mesi, ricco di informazioni.
Una breve ricerca ci spiega che la Marchesa Del Bufalo si chiamava Emilia Costanza Schmitt, la quale aveva sposato nel 1858 Andrea Del Bufalo, nato nel settembre del 1820 e figlio di Ronaldo.
La prima correzione riguarda il titolo, sostituito con “All’alba si parte a Mentana – dai ricordi della Marchesa E. Del Bufalo della Valle“.
Continuo citando solo il testo corretto, commentando, di volta in volta, gli avvenimenti qui descritti ed i personaggi qui citati.
“Nel 1867 presso Mentana vi erano molti feriti d’ambedue le parti. Quando al 5 novembre mandai la mia carrozza con quelle del Conte Bobrinski (2) e d’altri per raccogliere dei feriti a Mentana e Monte Rotondo, mi si disse, al ritorno, che presso la strada vi erano dei cadaveri, spogliati dai ladri, e i cani ne lambivano il sangue. Si vedevano scale insanguinate sopra cui feriti erano trasportati, in mancanza di barelle.“
(2) Il Conte Bobrinski è il primo personaggio “reale” citato dalla Marchesa, anche se col cognome italianizzato. I Conti Bobrinskij erano discendenti diretti di Aleksej Bobrinskij, figlio naturale della Zarina Caterina II di Russia e del suo amante Grigoij Orlov.
La battaglia di Mentana era avvenuta il 3 novembre.
Il 5 novembre ancora si vedevano cadaveri in strada e le barelle di fortuna usate per trasportare morti e feriti.
“Avendo i Signori domandato se vi fossero dei feriti a Monte Rotondo, venne loro detto di No. Le carrozze coi loro cuscini e coperte ritornarono, con mio dispiacere, vuote. E, per tanto, questo No era falso!“
La Marchesa nei suoi “Ricordi” ci va subito duro!
“Vi erano dei feriti, per lo più garibaldini. I più felici tra essi erano sdraiati sopra il pavimento della Chiesa, senza paglia e senza nutrimento, da più di ventiquattro ore. Chissà se ora se ne potranno ancora salvare dieci … ?”
La chiesa in questione è la chiesa di S. Nicola, nel tempo sconsacrata e poi riaperta al culto.
E’ molto interessante, come in ogni guerra, notare che i comportamenti delle parti si ripetono sempre nelle stesse sequenze. La parte vincitrice si vendica, la parte sconfitta subisce atroci torture. Naturalmente vi è sempre una terza parte, qui rappresentata dalla Marchesa, che non parteggia e non si spiega quanto accaduto. Più avanti lo metterà per iscritto.
Naturalmente vi è sempre una quarta parte che evita di partecipare alle guerre, lasciando questo ingrato compito ai coscritti, ben istruiti da ideologie nazionaliste e fondamentaliste.
“Perché non andavano tutti subito per raccogliere i feriti? Mi venne detto: molta gente ha paura di compromettersi. Di compromettersi? Quando la Religione dice: fate il bene in ogni tempo e luogo? Io non temo nulla. Mi recherò dal Papa e gli dirò che agivo come lui avrebbe fatto al posto mio.”
Credo che qui non vi sia bisogno di citare il nome del Papa. Tutti sanno chi in quel periodo sedeva sul trono pontificio.
“Dovesi guardare a chi si porge aiuto? Non si deve preferire di portare assistenza a chi ne ha più bisogno? Voi dite che i Garibaldini avevano spogliate chiese e sparpagliati e guastati oggetti sacri. Questo è male, però in ogni guerra avvengono simili cose. Ed io domando a tutte le persone intelligenti e di buon cuore , se tutti gli oggetti sacri del mondo valgano quanto un’anima!“
Parole al vento allora, parole al vento ancora oggi!
“Ed adesso voi potete ancora, con poca cura e poca spesa, salvare molte esistenze; ma poi, anche se voi metteste dei mucchi d’oro sopra una tomba, non potreste far risuscitare un morto. Considerate questo e non indugiate!“
Lei stessa si da subito da fare recandosi senza timore dai Gesuiti.
Perché dai gesuiti e non presso la Segreteria di Stato?
(è solo una domanda retorica!)
“Avendo riflettuto subito chi potesse recar il più pronto aiuto, ordinai al mio legno di portarmi dai Gesuiti ed entrando nel parlatoio dissi: Io vengo pel bene dell’umanità e della chiesa. Eglino sono l’Ordine religioso più potente.“
La marchesa non usa termini diplomatici, , come “caritatevole” ed altri, ma va subito al sodo: Voi siete l’Ordine più potente!
“Non va che nelle vicinanze di Roma siano ancora dei feriti sul campo senz’assistenza!“
“Riferito ciò che sapevo, li pregai di mandare qualcuno al campo.
Ma ora, verso sera, rispose l’uno, è già tardi. Abbiamo già mandato e v’ha anche del periglio, giacché mentre si assisteva un soldato pontificio (andiamo prima da loro) un garibaldino sparò contro di noi“
Praticamente, la Marchesa riferisce che nel colloquio con il gesuita, le viene detto che la carità cristiana assiste prima i soldati pontifici. E lo mette addirittura per iscritto!
“Questo è assai male, risposi, ma se Eglino venissero con una bandiera bianca, Assistenza per tutti, non rischierebbero nulla.“
La Marchesa insiste: “assistenza per tutti“!!!
“Manderemo domani mattina …“
“Non si dovrebbe tardare, ma mandare subito“.
In quel momento venne il Generale dei Gesuiti, il Padre Beckx.
Gli fu detto: “questa Signora viene pel bene dell’umanità e della Chiesa”. E gli riferirono le mie parole.
Il Generale rifletté un momento, poi disse: “Chi potrebbe andare? Mandiamo Martinez. Che vada subito.”
Ed i gesuiti mandarono per portar assistenza.
Il Generale dei Gesuiti Beckx (3), avendo capito che la Marchesa non si sarebbe fermata a lui, prese l’unica decisione diplomatica che in quel momento poteva permettersi, accondiscendendo a quanto richiesto.
(3) Pierre-Jean Beckx (Zichem – Belgio, 5 febbraio 1795 – Roma, 4 marzo 1887). Preposito Generale dell’Ordine dal 2 agosto 1853 alla morte. Il suo generalato nell’Ordine dei Gesuiti, seguito a quello di padre Roothaan, vide una sua notevole influenza durante il pontificato di Pio IX, che gli valse l’epiteto di “Papa nero”. Era noto per la sua rigidità nei confronti di carbonari, repubblicani e rivoluzionari.
“Avendo sentito che dopo la battaglia (di Mentana) vi erano molti feriti (4), d’ambedue i partiti, negli ospedali di Roma, desideravo avere un permesso per visitarli tutti, e portar qualche sollievo.“
(4) Nel Cimitero Acattolico a Roma, vi sono due lapidi di garibaldini ivi sepolti, che avevano combattuto a Mentana.
1° lapide: IN QUESTO OSSARIO SONO I RESTI MORTALI DEL TRENTASEIENNE LONDINESE GIOVANNI SHOLLEY CHE LASCIANDO FAMIGLIA E RICCHEZZA NON ESITAVA AD ACCORRERE ALL’APPELLO DEL SUO DUCE GARIBALDI CONSACRANDO LA SUA NOBILE VITA A MENTANA PER LA LIBERAZIONE DI ROMA IN SEGUITO ALLE GRAVI FERITE RIPORTATE NELLA GIORNATA DEL TRE NOVEMBRE DECEDEVA VENTICINQUE GIORNI DOPO IN ROMA.
2° lapide: RESTI MORTALI DEL GIOVANE POLACCO ARTHUR BENNJ GIORNALISTA GARIBALDINO DECEDUTO IL 16 NOVEMBRE 1867 IN ROMA PER GRAVI FERITE RIPORTATE A MENTANA FURONO RACCOLTE IN QUESTO CIMITERO IL 28 GIUGNO 1940 PER ESSERE ASSOCIATE A QUELLE DEI CADUTI PER ROMA SUL MAUSOLEO OSSARIO GIANICOLENSE.
“Scrissi al cardinale Antonelli, che era sempre molto gentile. Rispose, però, che i feriti erano sufficientemente assistiti.“
Grande delusione subisce la Marchesa da parte del Segretario di Stato Antonelli! (5)
(5) Card. Giacomo Antonelli, ultimo segretario di Stato dello Stato Pontificio sotto il pontificato di Papa Pio IX. Di sentimenti politici profondamente reazionari e assolutisti, impresse una svolta fortemente conservatrice e intransigente alla politica pontificia.
“La mattina seguente mi recai con il mio legno all’Ospedale di Santo Spirito, dove erano dei soldati del Papa, vi trovai anche la Principessa Sofia Odescalchi (6) e varie altre, e vidi che erano assistiti benissimo.“
(6) Sofia Brunicka, ricchissima Contessa polacca, sposò Livio III Odescalchi. Diciassette anni prima della battaglia di Mentana, esattamente nel 1850, troviamo Sofia ed il marito Livio Odescalchi a Roma, in p.zza SS. XII Apostoli n. 302. Odescalchi Livio, del fu Innocenzo Principe di Bracciano, di anni 44. Branicki Sofia, del fu Ladislao di Pietroburgo, di anni 26. Nel 1850 avevano 2 figli: Baldassarre di anni 6 e Ladislao di anni 4.
La Marchesa nota e precisa che i soldati del Papa erano ben assistiti.
A questo punto, però, insospettita, la Marchesa chiede alla suora di poter visitare i feriti garibaldini.
Dissi allora alla sorella di Carità Teresa: “Je désire me rendre à l’Hòspital, ou l’on aura le plus bèsoin de tous.” “Vous voulez dire chez les Garibaldiens”, repliqua-t-elle, “Oui, ils ont bien besoin”. “Quand une dame du monde ira chez eux, continuai-je, elle frayera aussi un passage pour vous“.
Qualche istante dopo una suora m’accompagnò all’Ospedale di Sant’Onofrio (7), e, mentre ella entrava colà per chiamare il padre Francesco, io rimasi sul terrazzo all’entrata, dove erano vari zuavi ed altri, che m’offrirono subito una sedia; dissero, che un sergente loro, sul campo di battaglia morì quasi di sete. Intanto sentii dire da un gruppo vicino che da un quarto d’ora era uscito l’ordine di non lasciar entrare nessuno.
(7) L’Ospedale di Sant’Onofrio è oggi meglio conosciuto come Ospedale Bambin Gesù al Gianicolo. L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma è un presidio ospedaliero italiano di proprietà della Santa Sede. Si tratta infatti di una zona extraterritoriale della Santa Sede.
Tornò la suora con il custode Cappuccino Padre Francesco. Egli mi guardava ed io lo guardavo. La vera carità ha qualcosa di magnetico. Egli s’inchinò facendomi segno di passare.
Allora dissi alle Sorelle di carità: “Conducetemi da quelli che sono i più abbandonati” – “cerchiamo di provvedere a tutti“, risposero, “ma vi è un inglese (8) con cui non sappiamo ben parlare. Se lei forse potesse?” Io accennai di sì. “E’ qui, è uno che è tanto orgoglioso!”.
Vidi un uomo con capelli neri ricciuti, la fronte sporgente, gli occhi grandi spalancati quasi in atto di sfida, e gli dissi: “Sono venuta per domandarle come sta?” – “Grazie” replicò seccamente” – “Ho portato della biancheria, se ne vuol gradire?”
“Ho avuto tutto questo, rispose, e altri ne hanno bisogno: siamo novantadue (92)”
Ecco un’altra informazione di prima mano: “siamo 92!
92 prigionieri, feriti, trasportati dal campo di battaglia all’Ospedale Sant’Onofrio.
Da questa risposta si capisce che il prigioniero inglese era ben informato dalla situazione e che si manteneva sempre informato.
(8) Questo garibaldino ferito inglese si chiamava John Scholey. Egli aveva lasciato la sua famiglia e l’Inghilterra per seguire il Generale Garibaldi. Ferito a Mentana, gli fu amputato il braccio sinistro. Durante l’operazione, con ammirevole sangue freddo, rimase impassibile fumando il suo sigaro. Al termine dell’operazione ringraziò cortesemente il chirurgo. Purtroppo una improvvisa infezione lo portò alla morte. Essendo protestante, fu sepolto al Cimitero Acattolico di Roma. Una lapide lo ricorda (vedere nota n. 4).
“Cercherò di dare a tutti” – “non mi piace d’accettare”, disse. “Ma non si deve essere orgoglioso, quando una cosa è offerta di buon cuore”, continuai, “ella fa un regalo a me, se accetta”, ed una lacrima mi venne nell’occhio.
Egli mi guardava … e ad un tratto, porgendomi la sua mano mi disse: “Prenda la mia mano, sì, da Lei accetto tutto!” Distribuii allora a lui ed agli altri la roba che avevo fatto portare.
Quando tre giorni dopo tornai all’Ospedale … mi venne l’idea che forse farebbe del bene ad alcuni dei più deboli ammalati di mangiare una zuppa di polli, ne feci comprare due ed ordinai che con essi si fosse fatto un buon brodo, vi si fosse tagliuzzata dentro la carne e si fosse spedito subito all’infermeria. Mi venne riferito che una monaca nel vederlo avesse esclamato che esso veniva tanto a proposito da essere una vera provvidenza.
Ad un ammalato di febbre feci mettere un corpetto di lana ed egli guarì. Distribuivo fazzoletti, biancheria, biscotti e cioccolata, vedevo quanto piacere si poteva fare con spese relativamente poche ed avevo dell’Eau de Cologne meco, e ne offrivo di quà e di là con gran refrigerio dei poveri malati.
Avendomi dato mia madre alcune foderette di cuscini, le feci riempire di lana e di crine e le distribuii. Un garibaldino mi disse: “Signora, il suo buon cuscino mi ha rimesso in questo mondo”.
Un garibaldino desiderava avere un ricordo da me, volevo dargli qualche denaro, “ma no, disse, un ricordo suo”, allora gli diedi qualche immagine, come ne distribuiva a vari, ciò che faceva ad essi piacere.
Talvolta facevo seguirmi dal domestico portando sul cabaret una bottiglia di vino rosso ed una di vino bianco, con due bicchieri, facendo domandare ad ogni ferito ciò che preferisse, ed era molto gradita questa gentilezza, e se fosse venuto un cardinale con me, gli avrebbero dimostrato ossequio. La bontà ha effetto benefico.
Si disse che non moriva più nessuno all’Ospedale di Sant’Onofrio.
Due volte mia sorella Maria m’accompagnò, ma quando vide un ferito che non poteva ben respirare, e che le disse che una palla l’aveva colpito nel petto, essa si spaventò molto.
Verso la fine del dicembre …
Ora sappiamo che la Marchesa ha continuato a seguire i malati garibaldini e che, quindi, non si trattava di un atto caritatevole temporaneo. Questo significa che il marito era d’accordo e che anche le altre dame della nobiltà romana si comportavano altrettanto. Segno che, sotto sotto, speravano (e forse alcuni di loro tramavano) nell’annessione al Regno d’Italia?
Verso la fine del dicembre venni a sapere che si davano negli Ospedali a leggere ai garibaldini dei giornali in cui essi in qualche articolo erano biasimati, il che li agitava ed attristava: allora mi venne l’idea di parlare in modo ben diverso e scrissi la Lettera Aperta che mostrai al padre Francesco, cui piacque, come ai garibaldini, cui detti anche qualche copia.
La feci anche leggere al pio Principe Camillo Massimo (9), il quale mi consigliò di farla stampare e la mandai alla tipografia.
(9) Vittorio Emanuele Camillo Massimo (Roma, 14 agosto 1803 – Roma, 6 aprile 1873) è stato un nobile italiano erudito, ricercatore, collezionista.
Vedendo però lo stampone, trovai che vi erano state aggiunte alcune parole che non mi piacevano, onde mi recai da Monsignor Sallua (10), che le aveva scritte, e che abitava allora al Quirinale e gli dissi che quelle avrebbero guastato il buon effetto, per esempio le parole: Traviati fratelli.
(10) Mons. Vincenzo Leone Sallua, nato a Garessio il 24 luglio 1815 e morto a Roma il 21 dicembre 1896, è stato un inquisitore domenicano e arcivescovo. Fu vicario inquisitoriale a Lugo dal 1841. Fu nominato inquisitore di Spoleto nel 1852. Fu Commissario Generale del Sant’Uffizio dal 1870 al 1896. Nel periodo in cui la Marchesa incontra il Sallua, egli era assistente del Commissario generale Giacinto Maria Giuseppe De Ferrari (Commissario generale dal 1851 al 1870), anch’egli frate domenicano (informazioni trovate grazie all’aiuto del mio amico Roberto Tomassini, storico locale mentanese).
Lui doveva immaginarsi che fosse il caso contrario e che noi fossimo prigionieri dei Garibaldini e che essi ci avessero mostrato gentilezza nell’Ospedale. Allora direbbero di voler leggerci una lettera; e che noi, benché non tanto disposti a sentirla, avessimo per civiltà acconsentito: se allora ci avessero detto: Traviati fratelli! Lo avremmo creduto un insulto. Così come noi crediamo d’aver agito giustamente, lo credono altresì loro.
Se vogliamo far qualche bene, bisogna che noi usiamo la massima delicatezza. Perciò varie parole che Lei aggiunse, fa d’uopo levare.
Ed egli ne convenne ed io le levai e feci allora stampare la lettera.
LETTERA APERTA
Pensando che tutti vogliono il bene, ma che soltanto nella opinione di ciò che sia il bene differiscasi, noi che non odiamo nessuno e che altresì non vorremmo essere odiati, crediamo bene rettificare la idea: acquisto di Roma.
Perchè voler affaticarsi tanto per ottenere Roma? Essa è già all’Italia, al mondo intiero, a tutti i buoni cristiani.
Dunque non vengano quali nemici a Roma, ma come buoni cristiani, ed allora non troveranno impedimenti, e innanzi a loro si apriranno le porte della città.
Perchè dunque tormentarsi tanto! Ed esporsi all’ira di Dio? Per una cosa che si può avere facilmente senza rimprovero, solamente per la bontà e per la religione.
Che Dio benedica tutti, che desiderano il bene.
Che Dio voglia dare la sua pace a tutti, che hanno buona volontà.
EMILIA COSTANZA
Roma, 1 Gennaio 1868
Ancora io le prego, che mandai il mio legno, al pari di altre persone caritatevoli, per prendere dei feriti di qualunque partito, che lasciavo volentieri passeggiate e divertimenti, impaziente di portare qualche sussidio tra i feriti, animando altri, che generosamente contribuivano.
Io le prego, d’aver carità altresì per la gente caritatevole, d’avere carità per loro stessi e le proprie famiglie!
Non colle armi, ma con il cuore si conquista Roma, il mondo intero.
Gesù Cristo stesso l’ha detto: beati i mansueti, che essi possederanno la terra.
Eglino che hanno tanto sofferto per la gloria d’alcune persone della terra, s’adoprino ora per la gloria di Dio! Giacchè, a che giova all’uomo guadagnasse l’universo intero, se rechi danno all’anima sua?
LA SUDDETTA
Il Maestro Marchetti dell’Accademia di Santa Cecilia diceva in una società: Il principio della Lettera Aperta, “Tutti vogliono il bene, ma è solamente nell’opinione di ciò che sia il bene, che si differisce, è veramente grande”.
Ed anche il Principe Ruspoli desiderava avere una copia di quella lettera.
Quando la lettera era stampata, io la distribuii, e quando la lessi ad un garibaldino, un altro vicino mi chiamò: Signora, Signora! E mi volsi a lui rassegnata, anche se mi avesse detto cosa dispiacevole, sapendo in che la mia intenzione era buona, ma egli disse: Signora, se tutti fossero buoni come Lei, non vi sarebbe la guerra!
Non domandavo i nomi di nessuno dei Garibaldini.
So soltanto che uno di essi si chiamava Valentino; dell’Inglese si disse che era parente di Gladstone (11).
(11) William Ewart Gladstone (Liverpool, 29 dicembre 1809 – Castello di Hawarden, 19 maggio 1898) è stato un politico britannico. È stato Primo ministro del Regno Unito quattro volte: dal 3 dicembre 1868 al 20 febbraio 1874, dal 23 aprile 1880 al 23 giugno 1885, dal 1º febbraio al 25 luglio 1886 e dal 15 agosto 1892 al 5 marzo 1894.
ed un garibaldino, presso cui era venuto suo padre per assisterlo, mi diede la sua carta sulla quale era stampato “Benedetti” (12)
(12) Roncalli Benedetti Domenico, Foligno (Perugia) 1843 – Foligno (Perugia) 1910 mar. 29 – Il Conte, fervente repubblicano, fu volontario garibaldino partecipando, nel 1866, alla battaglia di Bezzecca e, nell’anno successivo, alla campagna di Mentana. Il 13 aprile 1870, (Benedetti) sposò, nel municipio di Palermo, la maestra di Preci Aleandra Bartolomei, con la quale condivise gli ideali politici repubblicani mazziniani durante i quaranta anni di vita comune, densa di impegni, suggellata da un grande, reciproco amore. Personaggio illustre della Foligno della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento, fu docente e direttore della Scuola di arti e mestieri. Fu anche consigliere comunale ed assessore e ricoprì la carica di presidente della Congregazione di carità, riformando in senso laico l’orfanotrofio maschile e femminile. Democratico progressista, esponente di primo piano della cultura repubblicana, socialista e anticlericale di Foligno e dell’intera nazione, lottò sempre per il miglioramento sociale e culturale della cittadinanza. Definito “Padre della democrazia umbra”, morì il 29 marzo 1910. Le suddette informazioni sono tratte interamente dallo strumento di ricerca redatto dal funzionario della Soprintendenza archivistica per l’Umbria Gianluca Pistelli.
Venuta la quaresima diedi alle monache dei maritozzi (una pasta d’usanza nella quaresima) da distribuirsi fra tutti ed anche fra esse stesse, ma preferirono non prenderne esse, e di distribuirli.
Lasciai poi qualche po’ danaro per beneficenze, e quando, vi fu ben meno da fare, mandavo tre volte la settimana il mio legno per tre ore, per condurre le buone suore a passeggiare.
In una tasca del legno avevo messo una bottiglia con acqua e vino ed un bicchiere, e nell’altra una carta con dei biscotti.
Nella serata dalla contessa Maria Bonaparte di Campello (13) disse il buono scultore Galetti (14), che scolpì la Fabiola, ch’egli aveva veduto il mio legno con sei monache in esso.
Anche questo mi è un grato ricordo.
Che Dio conceda d’ora innanzi a tutti quanti la grazia di vivere sempre in perfetta pace!
(13) Maria di Campello Bonaparte, figlia di Carlo Luciano Bonaparte e di Zenaide Bonaparte, nipoti di Napoleone, andò sposa al principe Paolo di Campello.
(14) Stefano Luigi Maria Gasparo Galletti (Cento, 15 giugno 1832 – Roma, 5 luglio 1905) è stato uno scultore italiano, considerato uno tra i migliori scultori emiliani del secondo Ottocento.
Naturalmente, essendo questo un opuscolo del 1905, scritto per i posteri a 38 anni dagli avvenimenti accaduti, si presume, anzi è sicuramente plausibile, che la Emilia Costanza, di cognome Schmitt, anche ai contemporanei italiani e stranieri abbia inviato numerose lettere informative su come fossero stati lasciati morire i feriti garibaldini a battaglia terminata: “Chissà se ora se ne potranno ancora salvare dieci …?” (15)
(15) da: https://www.storiaememoriadibologna.it/belluzzi-raffaele-482358-persona
“Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma”: così venne chiamata la campagna di guerra del 1867, l’ultima che i volontari garibaldini combatterono sul territorio italiano. Durò circa 45 giorni concludendosi negativamente il 3 novembre a Mentana. Furono giorni convulsi: Garibaldi, confinato nei mesi precedenti a Caprera, il 19 ottobre aveva eluso la sorveglianza, e, sbarcato fortunosamente sulla penisola, puntava ai confini dello Stato Pontificio; il 23 ottobre un piccolo gruppo di settantasei volontari, guidati dai fratelli Cairoli, si era scontrato con i papalini a Villa Glori, lasciando sul campo morti e feriti; il 28 ottobre una vera e propria battaglia si verificò a Monterotondo, alla fine occupata dai volontari. Valutata poi l’impossibilità di andare a Roma, Garibaldi aveva pensato di sciogliere la legione ma una serie di disguidi, fraintendimenti e ritardi nel recepimento degli ordini portarono allo scontro del 3 novembre 1867. In questo giorno si fronteggiarono i pontifici e quanti restavano dei garibaldini , dopo defezioni e abbandoni. I pontifici, coadiuvati dai francesi, sconfissero Garibaldi e i suoi volontari.
I circa 270 morti di Mentana e di tutti gli altri scontri di quell’anno 1867 riposano oggi nell’ara-ossario inaugurata nel 1877 proprio a Mentana. Alla battaglia partecipò anche Raffaele Belluzzi, poi fondatore e primo direttore del Museo del Risorgimento di Bologna, che due anni dopo dedicò all’evento un volumetto, edito “a spese del comitato di soccorso” dal titolo Notizie dei bolognesi morti e feriti raccolte da Raffaele Belluzzi, stampato a Bologna dalla Società Tipografica dei Compositori.“