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1648: Alessandro Orsini uxoricida!
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Busto di Camillo Orsini.
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Alessandro Maria Orsini, figlio del 4° Marchese di Lamentana fu arrestato a Monterotondo, dove cercava di nascondersi vestito da frate. Fu processato e condannato a 40 anni di prigione.
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Tornato ad Amatrice, dopo aver scontato la pena, si diede alle opere pie ed ivi morì nel 1692. Fu sepolto nella Chiesa di San Francesco, dove si trova anche il padre Virginio Orsini, appunto, il 4° Marchese di Mentana.
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Ma come arrivarono gli Orsini ad Amatrice? Si tratta di una storia interessantissima.
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Oggi, 31 marzo 2006, incontro (il sottoscritto Maurizio Brunacci) in Amatrice Don Luigi Aquilini, il quale mi fa da cicerone nella Chiesa di S. Francesco e mi fa vedere un affresco, che si trova dietro l’altare. In esso sono riportati i nominativi e gli stemmi della famiglia Orsini-Vitelli ivi sepolti.
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Don Luigi mi racconta che gli Orsini di Amatrice appartenevano al ramo di Lamentana.
Entrato nella Chiesa di San Francesco, avevo, naturalmente visto e riconosciuto subito da lontano il busto di Camillo Orsini, una cui foto è stata pubblicata in un libro di Vicario.
Gli Orsini di Amatrice avevano, quindi, ereditato il busto del loro avo, Camillo Orsini di Mentana, ed in seguito, estintisi, gli acquirenti di Palazzo Orsini lo regalarono alla Chiesa di San Francesco, dove si trova la tomba della famiglia.
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Il busto di Camillo Orsini in Amatrice è oggi, per quanto se ne sappia, l’unica immagine fin qui conosciuta di questo condottiero di ventura. Esso non si trova in buono stato, per cui, sarebbe opportuno farne una copia da esporre nel nostro museo mentanese, vicino agli “Statuti Nomentani”.
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CAMILLO ORSINI (1492-1559), Marchese di Atripalda e di Montefredane, principe di Amatrice. Signore di Mentana, Monterotondo e di Sermoneta. Figlio di Paolo, fratello di Fabio, padre di Giovanni, Latino e Paolo, cugino di Camillo Pardo, cognato di Malatesta e di Orazio Baglioni, genero di Giampaolo Baglioni, suocero di Baldassarre Rangoni, fu chiamato in Amatrice, l’anno successivo al sacco di Roma del 1527, dai Vitelli di Firenze.
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Da quel momento la Casa Orsini si unì di nuovo e più volte con la Casa Vitelli, allora alleata con i Medici di Firenze. Scrivo “di nuovo”, perché precedentemente due figli di Niccolò Vitelli, morto nel 1486, avevano già contratto matrimonio con la Casa Orsini.
Vitellozzo Vitelli, morto nel 1502, aveva sposato Porzia (sorella di Camillo), figlia di Paolo Orsini Signore di Lamentana e di Giulia Santacroce, mentre il fratello Paolo Vitelli aveva sposato Girolama, figlia di Roberto Orsini Signore di Pacentro.
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Paolo Vitelli e Girolama Orsini avranno Alessandro (1499-1554), il quale avrà a sua volta Giacomo, morto nel 1582, che sposerà di nuovo una Orsini: Livia.
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Donna Livia Orsini era figlia di Don Ferdinando 5° Duca di Gravina e di Angela Castriota Scanderbeg.
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Giacomo Vitelli e Livia Orsini avranno Beatrice, morta nel 1605, la quale sposerà il nostro Virginio Orsini, 4° Marchese di Lamentana.
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Alessandro Orsini, loro figlio, sposerà Anna Caffarelli parente del Papa.
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E qui nasce il dramma: Alessandro si innamora di una Principessa di Mantova, la quale lo spinge a far assassinare la moglie.
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Questo avviene nel 1648, come si legge nell’affresco nella Chiesa di S. Francesco. Per sua disgrazia, Alessandro fu subito scoperto. Il Papa riesce a trovare le prove dell’uxoricidio e per lui, nel frattempo fuggito a Monterotondo, è la fine. Egli verrà preso mentre cercava di nascondersi tra i frati.
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Con Alessandro Orsini, l’uxoricida, finisce la Casata Mentanese degli Orsini in Amatrice, ma Palazzo Orsini è ancora lì ed il busto di Camillo Orsini anche.
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Per vedere le foto scattate in Amatrice, cliccare su: AMATRICE.
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Un altro storico di Amatrice, Aldo Di Mei, ci da una versione alquanto differente da quella di Don Luigi Aquilini. Per correttezza si riporta anche questa seconda versione.
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Aldo DE MEI – La Mata Hari dell’Amatrice (preso da Internet)
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Anna Maria, figlia di don Gaspare Caffarelli, duca d’Assergi, signore di Filetto, Camarda e Aragno e della marchesa donna Olimpia Muti, era nata nel grande palazzo di famiglia, situato all’angolo dell’odierno Corso Vittorio Emanuele e via del Sudario (la facciata che dà su questa strada è quella originale) e che oggi si chiama Palazzo Vidoni.
Da giovanetta, era diventata grande amica di Olimpia, la figlia dell’Ambasciatore francese a Roma, marchese de Fontanay, solo di due anni più grande di lei, conosciuta in una festa per bimbi nel giardino di Palazzo Barberini nel 1630.
Come capita sovente tra padri e figli, Anna Maria è in perenne contrasto con il padre, ardente filospagnolo e, per la frequentazione dell’Ambasciata di Francia (Palazzo Farnese), lei diventa filofrancese.
(…) A sedici anni, Anna Maria scrive lettere d’amore al giovane coetaneo Paolo Rangone, nipote di un figlio naturale di Francesco I, che vive a Roma ospite di Odoardo Farnese, mentre la sua amica Olimpia, ha una relazione con il nipote del Duca di Guisa.
(…) Le due ragazze, crescendo, si interessano ad un gioco pericoloso: lo spionaggio politico. In casa del padre, Anna Maria udiva i discorsi del duca Gaspare su quanto accadeva nel partito filospagnolo in Roma e ne riferiva alla sua amica che, forse ingenuamente, ne parlava in casa.
(…) Olimpia ritornò in Francia per sposarsi e Anna Maria, rimasta sola, tentò di continuare quel gioco così affascinante. Lei passava le informazioni al suo giovane innamorato.
(…) Accadde che il padre venne a sapere che certe lettere erano state copiate ed erano in possesso delle mani dell’Ambasciatore francese. (…) Ben presto venne a sapere della responsabilità della figlia e allora decise di farla rinchiudere in convento.
(…) L’Ambasciatore francese non voleva che la giovane Anna Maria, che era stata, e poteva ancora esserlo, preziosa per il partito filofrancese, finisse in convento e, attraverso gli Orsini di Bracciano fece suggerire al duca Caffarelli di maritare la giovane con il Principe Orsini dell’Amatrice.
(…) Il 17 gennaio 1636 Alessandro Orsini che ha venticinque anni, sposa Anna Maria, che ne ha diciotto. Le nozze non sono state certo principesche, il duca Gaspare ha dovuto sborsare una ricca dote e cedere il palazzo promesso, inoltre è sempre molto adirato con la figlia, che considera come una traditrice.
(…) Il Principe Alessandro Maria era ansioso di lasciare le terre della Chiesa per rientrare nei suoi domini. L’unica cosa che Anna Maria sperava, era la realizzazione della promessa che le aveva fatto il suo Paolo a nome dell’Ambasciatore francese. La fanciulla cercava di convincersi di essere una pedina importante nel gioco tra la Spagna e la Francia. Il Guisa le aveva promesso che la sua “prigionia” sarebbe durata poco. La Francia avrebbe cacciato gli spagnoli dal Regno di Napoli, il suo matrimonio sarebbe stato annullato e lei avrebbe potuto sposarsi con il suo amore, al quale sarebbe stato dato un titolo ed un feudo in Francia. Così i due avrebbero vissuto a Parigi alla Corte di Luigi XIII.
(…) Nella primavera dell’anno dopo Anna Maria, senza notizie da Roma (il padre sembra essersi disinteressato della sua sorte), tenta di farsi degli amici tra i notabili del luogo. (…) In tal modo comincia ad avere informazioni sui soldati che sono a difesa delle frontiere.
(…) L’Ambasciatore francese ed il Duca di Guisa non si erano dimenticati di lei. Una mattina la sua nutrice, che era stata avvicinata in chiesa, le porta segretamente una lettera, nella quale Paolo Rangone la informa che si poteva fidare di un suo vassallo che si chiamava Cardello, il quale presto si sarebbe fatto vivo. Si sarebbe presentato con delle gabbie di cardellini come segno di riconoscimento, a lui avrebbe potuto affidare qualsiasi messaggio.
(…) (Cardello) avendo saputo che il Principe Alessandro era partito per uno dei suoi sempre più frequenti viaggi nell’Italia del nord, si presentò al Castello con dei doni che, diceva, erano mandati dalla famiglia Caffarelli.
(…) (Anna Maria) quando poté mettere le mani sulla lettera del suo innamorato si sentì felice.
(…) Partito il Cardello, Anna Maria ricomincia a tessere la sua rete, tentando di organizzare una catena di relazioni con gli amici della Francia, contro gli interessi del principe Alessandro.
(…) Era giunta l’ora della riscossa, Masaniello, senza saperlo, aveva riacceso la miccia della guerra tra Francia e Spagna. Da quel momento Anna Maria cerca di stringere le fila dei suoi amici tentando di organizzare una improbabile rivolta contro il marito.
(…) Durante l’inverno Alessandro deve essere stato informato dei tentativi della moglie e comincia a comportarsi in modo per lo meno strano. Si mostrava sempre gentile, la accompagnava nelle chiese ed in altri luoghi dove erano invitati, cosa che aveva disdegnato di fare fino a quel momento.
La notte del 15 marzo 1648 Anna Maria Caffarelli, Principessa di Amatrice, veniva assassinata nel proprio letto!
(…) Le circostanze della morte della Principessa furono tenute, in un primo momento, nascoste a tutti. L’annuncio della sua fine non fu mai comunicato, solo le voci uscirono dal Castello.
In quel momento storico, un Principe feudatario non doveva rendere conto a nessuno di quanto accadeva nei confini del suo Stato, però nel caso in questione, sua moglie apparteneva ad una importante famiglia romana dello Stato della Chiesa, ed era naturale che i parenti volessero vendicarla. E, per il Principe Alessandro, cominciarono grossi problemi. Naturalmente gli amici della Caffarelli avevano riferito a Roma di quanto si mormorava sulla fine della Principessa e la famiglia Caffarelli entrò in azione.
Il duca Gaspare Caffarelli comincia ad ordire una sottile tela di ragno. Convince il Preside della Provincia dell’Abruzzo Ultra II, don Michele Pignatelli, ad invitare a Roma il Principe Alessandro per partecipare ad una festa nel palazzo del Cardinale d’Albornoz che era ambasciatore del Re di Spagna. L’invito fu gradito e il Signore di Amatrice, ingenuamente, si recò a Roma, travestito da frate.
Gli sbirri del Papa lo arrestano in una Osteria di Toffia, (…), nel territorio di Santa Romana Chiesa, insieme ad altri suoi famigli anche loro sotto le vesti di conventuali e li portano a Castel S. Angelo.
(…) Il processo, istruito per ordine di Papa Innocenzo X, durò, udite, udite, fino al 1676.
Fin dall’inizio l’Orsini si dichiarò innocente. (…) La dichiarazione di innocenza non deve far pensare che volesse dire che non l’aveva uccisa, no, si dichiarava innocente perché farla morire era un suo diritto, anzi, un dovere.
(…) L’accusa e la difesa si scontravano sul movente dell’uxoricidio.
Un teste, (…), raccontò che l’Orsini gli aveva dato l’incarico di sorvegliare la Principessa perché lei voleva fuggire, avendo paura di essere ammazzata. (…)
La parte dei Caffarelli tentava in tutti i modi di avvalorare la tesi che la loro parente era stata assassinata, perché il Principe voleva liberarsi della moglie per sposare la Contessa di Mantova.
(…) Molti Amatriciani testimoniarono a favore dell’Orsini dichiarandosi a conoscenza di un tentativo di invasione dell’Amatrice da parte di partigiani mandati dalla Francia e ricevuti, nascostamente, dalla Principessa.
Ma i Caffarelli non demordevano. Prepararono un trabocchetto nel quale il Principe cadde con molta ingenuità. All’Orsini fu fatto pervenire, nascostamente, un documento relativo ad un indulto promosso da Don Giovanni d’Austria, Plenipotenziario del Re Filippo II, a favore dei cittadini napoletani e comunque appartenenti al Regno di Napoli, per qualsiasi delitto avessero commesso. Il Principe dichiarò di essere colpevole e di accettare l’indulto, anche se specificò che lo faceva per potersi liberare dalla causa e far ritorno ai suoi possedimenti.
Ma così non fu. Inoltre il documento era completamente falso. Per questa firma di colpevolezza i Caffarelli si scatenarono e la causa cominciò ad essere rinviata, seduta dopo seduta, anno dopo anno.
(…) In sostanza, senza la confessione (estorta con un falso indulto) dell’Orsini, non si sarebbe sicuri neanche della avvenuta morte della Principessa.
(…) La morte della Principessa rimane un giallo.
Le tante circostanze contrastanti, addirittura agli antipodi, sui vari aspetti del “giallo”, ci autorizzano a formulare qualsiasi ipotesi, per cui la fine della “Mata Hari dell’Amatrice” resta avvolta nel mistero.
(*) Tratto da “La Mata Hari dell’Amatrice. Un giallo: la morte della Principessa Anna Maria Orsini” di Aldo De Mei, Copyright Aldo De Mei, Roma, 1997.