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BOZZA INVIATA AD ALBERTO FIORANI DI OSTRAVETERE

Poco tempo fa ho inviato ad Alberto una bozza sulle origini dei Brunacci di Ostra vetere, in attesa di ulteriori approfondimenti archivistici.
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Il 13 marzo 2013 ho finalmente trovato il loro paese di origine.
Ho aggiunto il ritrovamento nella ricerca e l’ho inviato ad Alberto Fiorani di Ostra Vetere.
Intanto, chi ha la password per entrare nell’area esclusiva, lo può leggere.

LA FAMIGLIA BRUNACCI DI OSTRA VETERE
L’ANTICA “MONTENOVO”
1597-1704
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Per leggere lo stesso documento in .pdf cliccare su : origine dei Brunacci di Montenovo.
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PREFAZIONE di ALBERTO FIORANI ( da inserire)
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1597-1704
Trecento anni fa, nel 1704, si estinse della Famiglia Brunacci il ramo di Montenovo.
Si tratta di un arco di vita relativamente breve.
Solo 107 anni, esattamente quanti ne intercorrono tra l’arrivo di Antonio a Montenovo e la morte dell’ultimo suo nipote Pietro Paolo.
Un brevissimo periodo, che, però, ha dato modo a questa Famiglia di lasciare una traccia interessante sia a Montenovo, grazie a Pietro Paolo, sia a Venezia che a Roma, grazie ai suoi fratelli Gaudenzio e Francesco.
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Le origini fiorentine del cav. Antonio brunacci majore “romano”
1542/7-1622
nonno dei tre fratelli
Naturalmente, quello montenovese è solo un ramo della Famiglia Brunacci.
Una Famiglia, che per secoli ha lasciato tracce del suo passaggio, ramificandosi dovunque gli interessi commerciali potessero portarli.
Commercianti, banchieri e politici, i Brunacci fiorentini lasciarono loro traccia in Toscana, dove erano i maggiori contribuenti, nel nord Italia (Aquileia, Padova, Venezia), nel Lazio (Viterbo e Roma) e persino in Spagna, dove già arrivarono prima che fosse scoperto il Nuovo Mondo, per non parlare poi di Torino, dove li troviamo al servizio dei Savoia e di Carlo V.
L’origine del cognome si perde nel tempo. Trattasi di un semplice “antroponimo”. Il nome “Brunaccio” diede origine al cognome di questa famiglia. Nome che diede, anzi, origine a più Famiglie Brunacci, assolutamente non imparentate tra loro.
Seguiamo, in questo caso, solo il ramo montenovese.
Grazie ad una lapide in ricordo di Gaudenzio, che i genitori misero nella chiesa di S. Croce, troviamo una traccia sicuramente fiorentina, ovvero il “giglio”.
Andiamo quindi a Firenze, dove nel 1200 incontriamo il primo “BRUNACCIO”. Ve ne saranno continuamente altri di “Brunaccio”, che moltiplicheranno i rami di questa famiglia.
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BRUNACCIO
e
BRUNACCINO
capostipiti delle famiglie Brunacci e Brunaccini
A questo punto si potrebbe iniziare con “c’era una volta”.
Infatti, abbiamo avuto la fortuna di aver trovato una ricerca genealogica fatta su ordinazione nel 1661 da Ferdinando Leopoldo del Migliore per la Famiglia Brunaccini di Firenze. Famiglia che secoli dopo si è estinta definitivamente in Sicilia.
Si tratta di una ricerca molto fantasiosa, per quanto riguarda le origini, ma che spiega abbastanza bene le origini dei Brunacci e dei Brunaccini, che di fatto sono la stessa Famiglia.
Ricerca, dicevo, fantasiosa per quanto riguarda il voluto collegamento con una Famiglia estintasi 400 anni prima, quella dei Caleffi, ma abbastanza documentata per i due rami in questione.
A parte, quindi, la dubbia parentela con i Caleffi, tale ricerca è, comunque, per quanto riguarda i Brunacci ed i Brunaccini dal 1200 al 1600, un’ottima ricerca.
Ma lasciamo parlare Ferdinando Leopoldo del Migliore:
DA UNA
COPIA estratta da un Quaderno intitolato
RACCONTO STORIOGRAFICO
DELLA FAMIGLIA BRUNACCINA
di Ferdinando Leopoldo del Migliore
esistente in Codice manoscritto, coperto di cuoio
scuro antico, segnato di numero X., che si trova
nella Biblioteca pubblica Magliabecchiana alla
Classe XXV. Cod. CCCCXIII. dalla pag. XXXVII.
sino al principio della pag. LX.
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Base di vera Nobiltà, e chiarezza fu sempre di comun sentimento degl’intendenti addidata la continuata, e non interrotta serie di vecchia antichità, fregiata però sì di Cariche illustri, come altresì di virtuose operazioni, per le quali salgon le famiglie sublimi sopra l’ali sì d’imortale honorevolezza, come di perpetua ricordanza.
Ma per ridirne il vero, e senza veruna adulazione spinto, da quel che esistente ne’ pubblici Archivi resta scritto della famiglia Brunaccina, non deve essere a niuno difficile il credere ella essersi al pari di ciascuna innalzata sì con Cariche riguardevoli, ma molto più per poter ella con verità mostrare esser già consumati quattrocento, e passon’ anni che di questa nobilissima Città di Firenze ascritti furono i suoi Antenati fra i Nobili, che di quella reggevano il Governo.
E che ciò fa il vero, primieramente si trova che questa Famiglia governandosi la Città intorno all’anno 1200. a Sestieri si annoverò sotto al 6° S. Piero Scheraggio, e che poi passato il Governo a Quartieri, per quello di S. Croce sotto il Vessillo del Leon Nero si ascrissero.
Si dissero nel primo luogo Caleffi, e poi Brunaccini, e talora Brunacci (1)
(1) I discendenti di Brunaccino diedero vita ad un nuovo casato e così fecero i discendenti di Brunaccio.
La Croce Nera, stemma dei Caleffi, fu sostituita dai Brunaccini con lo stemma avente due zampe di leone incrociate con un giglio ed una stella; mentre lo stemma dei Brunacci era formato anch’esso da due zampe di leone incrociate, ma con quattro stelle.
Queste due Casate, aventi gli stessi stemmi, si estinsero in epoche molto diverse: i Brunaccini si estinsero nel 1801, mentre la Casata dei Brunacci si estinse già nel 1400 in una femmina. Nel frattempo erano nate altre due importanti e ricche casate di Brunacci, ma aventi stemmi diversi dall’originale.
Una di queste casate, quella di Pisa, avente lo stemma di due zampe d’orso e tre cipolle, si estinse nell’800 in due femmine, di cui la prima si unì in matrimonio con i Mastiani, dando vita ai Mastiani-Brunacci, l’altra femmina, a sua volta, si unì in matrimonio con il primo della nuova Casata dei Mastiani-Brunacci. Prima di estinguersi a Firenze, però, questa casata ebbe un membro molto importante a Viterbo, da cui discese Ercole Brunacci Consalvi, Segretario di Stato di Pio VII. Altra Casata dei Brunacci fiorentini, avente lo stemma del granchio con due stelle, si può dire che si è estinta solo recentemente, nel 2006, con l’avv. Berto Brunacci. “Berto”, un nome che ritroveremo subito, pochi paragrafi più avanti, nel 1200.
Quando i figli di Brunaccino, per l’ardite operazioni de’ loro Antenati s’era resa infausta appresso i Cittadini tal nominanza di Caleffi, non solo per evitare gl’imminenti pericoli, quella e l’antica loro impresa abbandonarono, ma ancora per non restare dal Governo del tutto lontani.
Quel che di ciò ne fusse la cagione facilmente comprender si può dall’essersi arrolata sotto l’odioso nome Ghibellino; nome che sotto di se non solo comprese l’alterigia de’ Cittadini più Nobili, ma che riconoscea non meno la potenza dei Privati, che il favore più singolare degl’Imperatori, e Re i più a quell’età celebrati.
Ma se conceduto avesse benigna fortuna, che mantenute si fussero lontane dai naufragij quelle Scritture, che nel perire hanno insieme sepolto glorie singularissime dei primi nostri gran Cittadini, ardirei affermare per certo che di questa Prosapia mi s’aprirebbe campo larghissimo di ragioni, per le quali ciascheduno resterebbe meglio appagato di quanto appresso si dirà.
Nulladimeno per quel che restato apparisce, comprender facilmente si può l’eminente sua condizione, Filippo Caleffi adunque, che figliolo fu d’Ugolino, non tralignando dall’alterigia de’ suoi passati, rotta ogni forte, con gl’aderenti Ghibellini, di speranza di pace alla Patria, a caldi occhi deplorar fecero a quei Cittadini le miserie a tutta l’eternità memorabili; quando abbassatogli l’orgoglio dell’invitta potenza di Carlo d’Angiò, che per difesa di quelli, i quali per i continui contrasti conobbero infelici i giorni loro, abbandonata la Francia trasferito si era in Italia.
Fu Filippo con Iacopo, Donato, e Berto suoi Consorti fuori dalla città confinato, e di quella dichiarato Ribello.
Ma poi per opera del Cardinale Latino Vescovo Ostiense strattato, e stabilito Generale accordò tra l’una, e l’altra parte, e dovendosi i principali de’ Guelfi, e Ghibellini al pubblico darsi l’osculum Pacis, Iacopo, e Donato figlioli di Brunaccio (2), tutti e due stettero mallevadori ai Ghibellini, et intervennero come di tal parte principali a tale abboccamento l’anno 1280 (3)
(2) Iacopo, Donato e Berto, essendo essi figli di Brunaccio, nei documenti ufficiali in latino (genitivo) erano nominati “Brunatii”, da cui “Brunacci”.
(3) In altre parole, Giacomo (Iacopo) Brunacci ed il fratello Donato furono garanti della pace fatta nel 1280 tra i Ghibellini ed i Guelfi del Card. Latino per Nicolò III. La pace fu siglata il 18 gennaio 1280. Anche il terzo fratello, Berto, era stato confinato nel 1268 perché Ghibellino. Qui era, però, assente, forse già deceduto. Donato, inoltre, era padre di Pietra, cognata di Dante Alighieri, avendone sposato il fratello minore, Francesco.)
(Questa ricerca di Ferdinando Leopoldo del Migliore, naturalmente continua, ma si può interrompere qui per quanto riguarda la “nostra” ricerca.)
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Questa stessa ricerca di Ferdinando Leopoldo del Migliore fu sicuramente letta nel 1865 da un certo prof. Cesare Cantù, il quale, in un suo lavoro su Dante Alighieri, riferendosi al fratello Francesco, così la commentò:
“Morì Francesco intorno al 1348, e forse lo aveva da qualche anno preceduto nella tomba Dante suo figlio natogli da Piera di Donato di Brunaccio Caleffi, che avea sposata intorno al 1300. Erano i Caleffi antichi ghibellini, e Donato segnò la pace del 1280: ed è questa la famiglia da cui pretesero di derivare i Brunaccini quando, nel secolo XVII, accumulate le ricchezze, vollero orpellarsi col prestigio di nobiltà.” da: DANTE E IL SUO SECOLO, di Cesare Cantù, 14 maggio 1865.
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DONATO BRUNACCI
1280
Chiarito, quindi, come sono nati i cognomi “Brunacci e Brunaccini” a Firenze, rimanendo ai tre fratelli Giacomo, Berto e Donato, scopriamo che Donato figlio di Brunaccio, non solo ha partecipato alla pace che fu siglata nel 1280 tra i ghibellini ed i guelfi, ma che egli era anche il padre di Pietra (o Petra, o Piera) Brunacci.
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PIETRA BRUNACCI ALIGHIERI
1280 ca. – 1330 ca.
Tutti conoscono le “rime pietrose” di Dante Alighieri, pochi autori moderni sanno chi fosse la musa di queste rime.
Basta fare una ricerca approfondita su testi vecchi di secoli, per avere il giusto indizio.
Il 1200/1300 fu periodo abbastanza movimentato per le famiglie Brunacci fiorentine. A Firenze, partecipavano abbastanza attivamente alle rivalità guelfe-ghibelline, ma, contemporaneamente, incominciavano ad arricchirsi enormemente e a tessere alleanze con le altre Famiglie nobili. Per secoli continueremo a trovare queste alleanze matrimoniali.
Se Don Attilio, Berto, Giacomo e Donato furono rappresentanti politici attivi a Firenze, con alti e bassi, Donato, in particolare, con i suoi figli Matteo, Pietra e Fra Nicola, furono i personaggi più rappresentativi di questa famiglia in questo periodo grazie ad una alleanza matrimoniale, che nei secoli è stata sempre tramandata sino a noi, come fiore all’occhiello: il matrimonio tra Pietra e Francesco, il fratello più piccolo di Dante Alighieri. Che il sommo poeta Dante abbia dedicato delle rime alla sua giovane e bella cognata potrebbe essere stato un bel regalo di nozze.
Si può inserire tra il 1280 ed il 1333 il periodo in cui Pietra Brunacci visse.
Il marito, il Nobile Francesco Alighieri visse tra il 1276 ca. ed il 1348.
Pietra Brunacci e Francesco Alighieri ebbero tre figli: il Nobile Durante, la Nobile Jonia, che sposò Lupo di Riccomanno del Pannocchia, e la Nobile Martinella, la quale sposò Ser Gregorio figlio di Ser Francesco, del popolo di Sant’Ambrogio. Da loro discesero i Ser Franceschi, Patrizi di Firenze. (4)
(4) Dall’albero genealogico ufficiale del Sommo Poeta: DANTE ALIGHIERI:
Famiglia Nobile Fiorentina, Avi e Discendenti del Sommo Poeta Dante
http://www.sardimpex.com/ALIGHIERI.htm
Nobile Alighiero, banchiere e cambiatore (+1282/3)
1° moglie: Berta degli Abati, forse figlia del Nobile Durante degli Abati
2° moglie: 1275 ca., Lapa Cialuffi, figlia di Chiarissimo Cialuffi
Alighiero avrà due figli dalla prima e due dalla seconda moglie:
Nobile … che sposa Leone Poggi
Nobile Durante detto DANTE, il Sommo Poeta (1265-1321) che sposa Gemma Donati, figlia del Nobile Messer Manetto Donati.
Nobile Francesco (1276-post 1332) che sposa Pietra, figlia di Donato Brunacci
Nobile Gaetana, detta Tana, che sposa Lapo Riccomanni.
Francesco Alighieri e Pietra Brunacci avranno 3 figli:
Nobile Durante, Nobile Jonia sposata a Lupo di Riccomanno del Pannocchia, e la Nobile Martinella sposata a Ser Gregorio figlio di Ser Francesco. Da loro discesero i Ser Franceschi, Patrizi di Firenze.

Conferma di quanto sopra, la troviamo in un lavoro di Claudio G. Antoni. Nelle sue “Esperienze stilistiche petrose da Dante al Petrarca” ci dice che furono quattro le canzoni petrose di Dante:

“L’obiettivo di questa breve ricerca è l’individuazione e l’analisi della poesia del Petrarca che rimanda a quel particolare momento dello sviluppo dello stile dantesco che ci è noto sotto il nome di rime petrose.
Come è stato messo in luce, tra gli altri, da Gianfranco Contini, le rime petrose di Dante rappresentano un fatto puramente stilistico e non autobiografico, benchè ci sia ancora chi sostenga questa seconda ipotesi.
Madonna Petra, dunque, non sarebbe mai esistita se non come intelocutrice fittizia del messaggio poetico; d’altra parte, sia pure identificando la figura femminile delle petrose con la cognata stessa di Dante, Pietra di Donato di Brunaccio, moglie del fratellastro Francesco.”
Altra testimonianza della parentela di Dante Alighieri con la Famiglia Brunacci è una lettera che gli storici antichi hanno trasmesso sino a noi. Trattasi di una lettera inviata dal Sommo Poeta a Fra’ Nicola Brunacci di Santa Maria Novella dal suo esilio.
“Siccome l’unico fratello del Poeta, – scrive lo storico – ch’ebbe prole, fu Francesco, ammogliato con Donna Piera di Donato Brunacci, convien dire che il nipote fosse Durante, unico maschio di Francesco; ed il Religioso fosse de’ Brunacci, fratel germano della madre Piera Brunacci.”
Al sottoscritto non corrispondono le date di nascita: fra’ Nicola nasce nel 1240 circa, mentre Pietra di Donato nasce nel 1280 ca. Qualcosa non quadra, ma la sostanza non cambia: fra’ Nicola è comunque un parente della cognata di Dante!
La lettera che Dante scrive a fra’ Nicola Brunacci, che lo invita a tornare a Firenze, è un documento molto importante che ho ritrovato e che qui trascrivo integralmente:
“Per mezzo delle vostre lettere ricevute e con la debita riverenza e affetto, ho con animo grato e diligente attenzione appreso, quanto vi stia a a cuore e quanta cura abbiate per il mio rimpatrio; e quindi tanto più strettamente mi avete obbligato, quanto più raramente agli esuli accade di trovare amici. Per questo, anche se non sarà quale la pusillanimità di alcuni desidererebbe, vi chiedo affettuosamente che la risposta al loro contenuto, prima di essere giudicata, sia ponderata all’esame della vostra saggezza.
Ecco dunque ciò che per mezzo delle lettere vostre e di mio nipote e di parecchi altri amici mi fu comunicato riguardo al decreto da poco emanato in Firenze sul proscioglimento dei banditi che se volessi pagare una certa quantità di denaro e volessi patire l’onta dell’offerta, potrei sia essere assolto che ritornare subito.
Ma ci sono, o padre, due cose degne di riso e oggetto di cattivo consiglio nelle lettere di quelli che mi hanno comunicato tali cose; le vostre lettere, infatti, formulate con maggiore discrezione e saggezza, non contenevano nulla di ciò.
È proprio questo il grazioso proscioglimento con cui è richiamato in patria Dante Alighieri, che per quasi tre lustri ha sofferto l’esilio?
Questo ha meritato l’innocenza a tutti manifesta?
Questo ha meritato il sudore e l’assidua fatica nello studio?
Sia lontana da un uomo, familiare con la filosofia, una così avvilente bassezza d’animo da sopportare di offrirsi come un carcerato al modo di un Ciolo e di altri infami!
Sia lontano da un uomo che predica la giustizia, che dopo aver patito un ingiusto oltraggio, paghi il suo denaro a quelli stessi che l’hanno oltraggiato, come se lo meritassero!
Non è questa, padre mio, la via del ritorno in patria; ma se un’altra via prima o poi da voi o da altri verrà trovata, che non deroghi alla fama e all’onore di Dante, l’accetterò a passi non lenti; ma se per nessuna onorevole via s’entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai.
E che? forse che non potrò vedere dovunque la luce del sole o degli astri? o forse che dovunque non potrò sotto il cielo indagare le dolcissime verità, senza prima restituirmi abietto e ignominioso al popolo e alla città di Firenze?
E certamente non mi mancherà il pane.”
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I BRUNACCI PISANI
PESTE a FIRENZE del 1348
Abbiamo lasciato Pietra Brunacci nel 1333 e continuiamo nel tempo ad avvicinarci al cav. Antonio di Montenovo, che dovrebbe essere nato nel 1542 o nel 1547.
(purtroppo nei registri di Ostra Vetere Antonio viene dichiarato deceduto una volta ad 80 anni ed un’altra a 75).
Morti Pietra e Francesco Alighieri, scoppia subito dopo la peste a Firenze.
Chi se lo può permettere fugge, chi non può e resta, muore.
Anche i Brunacci fiorentini fuggono nelle campagne toscane, dove avevano nel frattempo comprato grandi poderi.
Con la produzione delle cipolle a Certaldo, ed altro in altri luoghi, incominciano, in questo periodo di carestie, ad arricchirsi enormemente.
Vivere, però, nell’Italia di quei tempi, non era facile.
Leggiamo cosa scrive il Marsili (siamo nel 1370 ca.):
“Noi veggiamo in Italia molte divisioni et guerre, le quali con soldati stranieri si trattano con danno et vergogna de’ paesani … et essi (i soldati stranieri) prendono li danari, et la guerra fanno a guisa di fanciulli, prendendosi et arendendosi, et la amen-da paga l’una delle parti a’ presi, et paga doppia paga l’altra a’ prenditori, et di loro sangue si sparge poco, et di quello de’ paesani niuno risparmio si fa, sì che tutto a danno del paese riesce, de’ villani et gente inocente, de’quali i barbari soldati non ànno alcuna pietà né misericordia.”
Povera Italia! Di questo anche Dante Alighieri si lamenta nel suo Poema.
Purgatorio – canto 6 (76 – 151)
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!
ed ancora:
Vieni a veder la tua Roma che piagne
vedova e sola, e dì e notte chiama:
«Cesare mio, perché non m’accompagne?
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I BRUNACCI PISANI VITERBESI
1433
Un ramo fiorentino, quindi, si stabilisce a Pisa dove i Brunacci costruiscono il loro Palazzo e da dove partono alla conquista di altri mercati.
Troviamo i Brunacci pisani a Viterbo, dove daranno vita ad un ramo importantissimo che a sua volta si ramificherà in tutto il Lazio ed anche nelle Marche e che darà i natali, secoli dopo, passando per Tuscania (Viterbo), al famoso Segretario di Stato di Pio VII, Card. Ercole Brunacci Consalvi (1757-1824).
A Viterbo troviamo, infatti, il capostipite pisano di questo ramo:
“Aloysius Nicolai de Brunaccis Pisanus Civis, anno 1433”
ovvero: “Luigi figlio di Nicola de’ Nobili Brunacci, cittadino pisano, fu sepolto nell’anno 1433” nella tomba gentilizia di S. Sisto.
Oltre a questa chiarissima iscrizione, troviamo sulla stessa tomba anche lo stemma dei Brunacci pisani.  Trattasi di “tre cipolle e due braccia d’orso incrociate”. Insomma un chiaro riferimento all’origine della loro ricchezza, cioè le cipolle di Certaldo. E’ lo stesso stemma dei Brunacci pisani, che ancora oggi si può vedere a Pisa sulla facciata di Palazzo Brunacci in via Roma.
Siamo dunque a Viterbo nel 1433. Un anno prima, a Pisa, era nata una nipote del Luigi Brunacci viterbese: Alessandra Brunacci, di cui parlerò tra poco.
Solo poco più di un secolo e arriveremo finalmente al cav. Antonio di Montenovo.
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Nel frattempo incontriamo il Banchiere fiorentino Domenico Brunacci che si trasferisce nel 1400 ad Aquileia, dove prende in appalto la Zecca e dove vi rimane per ben 50 anni sino alla morte.
Nello stesso periodo, il 1400, troviamo a Barcellona vari commercianti toscani tra cui Brunaccio di Guido Brunacci ed il fratello Matteo. (“Uomini d’affari e mercanti toscani nella Barcellona del Quattrocento” di Maria Elisa Soldani, 2009)
Ma torniamo ad Alessandra Brunacci, che non è altro che la nonna di Michelangelo.
Scopriamo che, ancora nel 1400, esiste il nome “Brunaccio”.
Infatti, Alessandra è figlia di Brunaccio Brunacci.
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ALESSANDRA FIGLIA DI BRUNACCIO BRUNACCI
1432-1494
Grazie alla biografia scritta dal Condivi, scopriamo, dunque, che in Michelangelo vi è sangue dei ricchi Brunacci pisani:
MICHELANGELO BUONARROTI
(1475-1564)
figlio di LODOVICO (11.6.1444)
e di Francesca di Neri di Miniato del Sera
e
NIPOTE di LEONARDO BUONARROTI
e della di lui seconda moglie
ALESSANDRA BRUNACCI (di Brunaccio)
(1432-1494)
“Lionardo di Buonarrota di Simone nel 1424 fu Podestà di Chiusi e Caprese nel Casentino, ed insieme Commissario, mentre il Visconti travagliava lo Stato per la parte di Romagna. Nel 1456 fu de’ Priori. Questi ebbe per moglie in primo luogo Piera Portinari ed in secondo Alessandra Brunacci. Di questa ebbe fra gli altri Francesco e Lodovico. Francesco fu de’ XII Buonomini nel 1466 e 1473, e Gonfaloniere di Compagnia nel 1474. Lodovico fu nel 1473 de’ XII Buomini. Ebbe per prima moglie Francesca di Neri di Miniato del Sera. Per seconda moglie ebbe poi Lucrezia Ubaldini da Gagliano.” (Pag. 105 dalla “Vita di Michelangelo”, di Ascanio Condivi).

Altro riferimento alla nonna paterna, Alessandra Brunacci, lo si trova in: “Michelangelo. Carteggio indiretto” (1539-1565), SPES 1988, a pag.387:
“Lodovico, il padre di Michelangelo, nacque l’11 giugno 1444 da Leonardo Buonarrota e dalla sua seconda moglie, Alessandra di Brunaccio Brunacci, in un’epoca in cui, come abbiamo visto, la famiglia era già caduta in condizioni economiche molto modeste.”
Se la famiglia “Buonarrota” era caduta in condizioni economiche molto modeste, questo matrimonio sicuramente le … risollevò!
Certo che, però, leggere che la nonna di Michelangelo partorì il padre Lodovico a 13 anni, mi sembra un po’ strano!

In internet trovo trovo la seguente biografia di Michelangelo:
“Figlio di Ludovico Buonarroti Simoni e Francesca di Neri, Michelangelo nasce il 6 marzo del 1475 a Caprese, in provincia d’Arezzo. La nascita a Caprese avviene casualmente, a causa dell’impegno come magistrato podestarile di Ludovico. Pochi mesi dopo la sua nascita, la famiglia rientra a Settignano, sui colli fiorentini. Il padre affida il figlio all’educazione umanistica da parte di Francesco da Urbino.
Michelangelo dimostra presto inclinazione per l’arte, stringe amicizia con Francesco Granacci e, nonostante la contrarietà paterna, entra nella scuola del Ghirlandaio a Firenze. Qui si trova ancora nel 1488, con un contratto che lo obbligherebbe a rimanere per altri tre anni. Michelangelo, però, rompe l’impegno ed aderisce alla libera scuola di scultura e di copia dall’antico, voluta da Lorenzo de’ Medici nei giardini di San Marco. Il mecenate fiorentino non tarda a notare il talento di Michelangelo e lo accoglie nel suo palazzo. E’ qui che il giovane Buonarroti incontra illustri personaggi della cultura umanista quali Angelo Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola.
Per la corte medicea realizza le prime sculture, “La battaglia dei Centauri”, la “Madonna della scala”. Poco prima della caduta dei Medici, nel 1494, forse avendo dato credito alle voci sul prossimo declino della potente famiglia fiorentina, Michelangelo lascia Firenze.
Nel 1494 Michelangelo lascia per sempre Firenze, cioè proprio nello stesso anno della morte della nonna Alessandra.
Un semplice calcolo ci dice che Michelangelo, aveva circa 19/20 anni, quando la nonna paterna, Alessandra Brunacci, morì, essendo lui nato nel 1475.
Nel frattempo, nel 1453, era caduta Costantinopoli grazie ad un cannone venduto al Sultano turco dai “cristiani” ungheresi (cosa non si fa per i soldi!) e dalla rivalità degli stati europei ed anche italiani, come Genova e Venezia.
Nel 1492 Cristoforo Colombo scopre le Americhe e i commercianti fiorentini, che già operavano da secoli in Spagna, compresi i Brunacci, che in quel momento operavano a Barcellona, incominciarono a seguire questa nuova via commerciale, portando il loro raggio d’azione sull’atlantico, a Cadice, Siviglia ed Alicante, con Giulio Brunacci in continuo contatto epistolare con i Medici.
Muore, come dicevo, la nonna di Michelangelo nel 1494 e mancano solo una cinquantina d’anni alla nascita dell’Antonio montenovese.
Qui si pone il problema, appunto, di trovare nelle genealogie fiorentine un possibile di lui antenato di nome Antonio.
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Qualcosa, forse, ho trovato:
BASTIANO di Lazzaro Brunacci ed il SAVONAROLA
1498
Troviamo, prima un appello a Papa Borgia, sottoscritto da Bastiano Brunacci, e poi un riferimento al figlio Antonio, che, viste le date, potrebbe essere benissimo il nonno dell’Antonio montenovese.
Per quanto riguarda Bastiano, trattasi di una lettera inviata nel 1498 a Papa Alessandro VI a favore del Savonarola.
(Co-firmatario della stessa lettera, troviamo anche “un certo” Antonio di Amerigo da Verazzano. Sarà il padre del famoso esploratore?)
Però, che coraggio questo Bastiano! Sfidare i Borgia, che come è noto, non scherzavano.
Va bene, che a quei tempi non scherzava nessuno e, quindi, neanche i Brunacci! Basta pensare che se volevano essi commerciare in terre così lontane, dovevano per forza munirsi di “guardie del corpo” armate. Loro stessi dovevano essere sempre pronti ad ogni evenienza e, quindi, conoscere bene e praticare l’arte della difesa.
Ecco il testo integrale della lettera che Bastiano inviò a Papa Borgia.
Al medesimo Papa Alessandro VI
B. Pater. i cittadini infrascripti, a colaboratione delle sopradette cose, a Vostra Santità per gli detti religiosi et venerandi Padri esposte et narrate, attestiamo essore la sincera et indubitata verità che dalla dottrina del detto P. f. Girolamo, nolla nostra città prodicata, non la destrutione ma la vera salute et pace sempre proceduta. Per la qualcosa, con ogni debita humiltà, preghiamo Vostra Santità Ch. Si degni il detto Padre dalle dette censure liborare, come li soprascritti religiosi et venerandi Padri piamento a quella hanno supplicate. Il che per la sua solita clemenza facendo, siamo certissimi, non solo la gloria ot honore di Die dovemo risultare ma la salute et spirituale et corporale, con la universal pace et vera unione, di tutta la nostra et vostra città.
I nomi de’ quall cittadini, cho tale sa attastano et confermano di propria mane ciascuno e li loro, in presenza di noi sottoscritti, sono questi (molti nominativi, tra i quali): Bartolomeo Ciai; Bernardo di Francesco Carnesecchi; Marco di Gio. Strozzi; Piero di Gio: Strozzi; Bernardo di Antonio Sapiti; Piero di Giuliano Ridolphi, Bastiano di Lazzaro Brunacci; Filippo di Nicolò Mori; Antonio di Torino Baldesi; Bernardo di Carlo Gondi; Antonio di Amerigo da Verazzano.
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Ai mercanti fiorentini tutta la civiltà europea deve molto. Tra questo, anche la cultura! Grazie ai loro investimenti in questo campo, opere importantissime di poeti a noi oggi molto conosciuti, come Dante ed il Petrarca, venivano continuamente ristampate. Questi mercanti usavano scrivere, poi, il loro nome nella copia da loro comprata.
Troviamo in una di queste copie del Petrarca, finalmente, un Antonio Brunacci.
Trattasi di Antonio Brunacci, figlio del sopradetto Bastiano.
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ANTONIO BRUNACCI MERCANTE FIORENTINO
IL MERCANTE FIORENTINO
ANTONIO DI BASTIANO DI LAZZARO BRUNACCI
LETTORE DEL PETRARCA
di Simona Brambilla
In questo articolo, Simona Brambilla ci racconta di come la circolazione dei volumi, nella Firenze del 1300-1400, fosse incentivata dalla straordinaria mobilità della classe mercantile.
Si potevano seguire i passaggi di proprietà di questi manoscritti attraverso le note di possesso che di volta in volta i proprietari aggiungevano.
Grazie ad una di queste note di possesso veniamo a sapere che Antonio Brunacci aveva comprato la Vita del Petrarca di Leonardo Bruni da un rigattiere.
Antonio, da perfetto mercante, lo paga solo un soldo e, anche lui, ci aggiunge una nota di possesso prima di rivenderlo ad altri.
In questo saggio della Brambilla è da notare che i Mercanti fiorentini continuavano (siamo nel 1510) a frequentare Pera (Costantinopoli) anche dopo la caduta dell’Impero Bizantino avvenuta nel 1453 per opera del Sultano Ottomano.
Ed ora, arriviamo a Montenovo, al Cav. Antonio Brunacci.
Non sappiamo nulla di lui, ma possiamo provare a mettere insieme qualche notizia del suo tempo che possa essere utile nella ricerca di documenti notarili che lo riguardano e che sicuramente sono da qualche parte.
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I BRUNACCI NEL 1500
Nel 1500 i commercianti Brunacci raggiungono l’apice della ricchezza. Ormai commerciano in tutta Europa, in Oriente e nel Nuovo Mondo.
Ostentano la loro ricchezza con Palazzi, feste ed amicizie importanti (ad esempio con Galileo, di cui parlerò in seguito).
Dovunque entrano in politica ricoprendo cariche pubbliche.
Naturalmente, cambiano anche gli stemmi, anche per “dimenticare” le famose “cipolle” con cui iniziarono ad arricchirsi.
Imitano le antiche famiglie nobili, ordinando ceramiche particolari con i loro stemmi di famiglia.
Lo stemma più importante, dopo quello delle “cipolle” di Pisa e dopo quello “imperiale” di Chieri (Torino) è lo stemma del “granchio” fiorentino, arrivato sino ai nostri giorni con l’avv. Berto Brunacci, deceduto nel 2006, ma la cui vedova vive ancora, con una infinita quantità di ricordi di Famiglia.
Stemma dei Brunacci fiorentini,
Collezione privata LANZETTA Prof. Pietro, Tuscania (VT).
Nel 1500, Francesco Brunacci, il capostipite di questa famiglia del “granchio”, ordinò a Montelupo fiorentino un “piatto” che, ritrovato secoli dopo, è ora in mostra nel museo della ceramica dello stesso paese (e che io sono andato a vedere di persona).
Trattasi di un piatto, detto il “Rosso di Montelupo”, i cui ultimi proprietari furono i Rothschild, datato 1508, dove sono in evidenza i “granchi” (quattro) della Famiglia Brunacci.
Nell’opuscolo riguardante detto Bacile a pag. 4 si legge:
“Lo spazio racchiuso nella parte inferiore della figurazione è campito di rosso e circonda la figuretta di un granchio, il quale a sua volta sostiene con le sue chele una targa epigrafica – ove in due casi sta scritto “SPQR”, ed in altri due “SPQF”
Si potrebbe ipotizzare, quindi, che il piatto è stato ordinato dai Brunacci fiorentini-romani (SPQF-SPQR).
Infatti, nella chiesa dei SS. Apostoli a Roma si trova una tomba di questa Famiglia. Si tratta, naturalmente, solo di una ipotesi.
I Brunacci compravano la ceramica in questo paese, Montelupo fiorentino, e la rivendevano in tutta Italia, in Europa ed in particolare in Spagna, dove troveremo ancora nel 1595 il commerciante Giulio Brunacci in continuo contatto epistolare con i Medici.
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Naturalmente, come avviene tutt’ora oggi, anche a quei tempi i genitori cercavano di far studiare i figli per dare loro un futuro migliore.
Luogo dove di solito le ricche Famiglie inviavano i loro figli era Roma ed è detto “romano” il cav. Antonio Brunacci di Montenovo.
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LA FAMIGLIA BRUNACCI DI OSTRA VETERE
Il cav. Antonio Brunacci romano
1542/7 – 1622
Se il cav. Antonio Brunacci è detto “romano”, questo significa, però, che è nato a Roma e che, quindi i suoi genitori, anche se per un breve periodo, hanno risieduto a Roma.
Il fatto è che in quel periodo, siamo nel 1500, a Roma, come ho detto prima, risiedevano più famiglie Brunacci, naturalmente fiorentine o di origini fiorentine.
Arrivavano continuamente anche da Viterbo e da Tuscania, di origini pisane, come ho accennato prima.
Nel 1527, però, accadde un fatto importante che sconvolgerà la politica romana: il sacco di Roma da parte dei lanzichenecchi inviati da Carlo V.
Perché ricordo questo fatto?
Per due motivi: uno è che Bartolomeo De Brunacciis di Chieri (Torino), anch’egli ricchissimo commerciante, era un politico “imperiale”, il quale, solo sette anni dopo il sacco di Roma, il 10 settembre 1534, fu creato dall’Imperatore Carlo V “milite, famigliare cesareo, cavaliere aurato e Conte Palatino”. Egli fu anche tesoriere di Beatrice di Portogallo, duchessa di Savoia, avendo sposato Carlo II di Savoia. Interessante è che Bartolomeo de Brunacciis fu anche scomunicato dal Papa, l’anno precedente, nel 1533. Non conosco la motivazione, ma sicuramente doveva essere abbastanza “pesante”.
L’altro motivo è che Roma (da wikipedia) era di fatto una colonia fiorentina! Ancora oggi, i palazzi fiorentini sono tutti visibili in via Giulia.
“Al tempo del “sacco” possedeva 50.000 residenti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.
Una tale esigua popolazione era difesa da un esercito raffazzonato di circa 4.000 uomini e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice.
Le secolari carenze manutentive all’antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria. L’improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti.
Alla fine di quell’anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20.000 morti causate dalle violenze o dalle malattie.
Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi ad un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa un anno, risiedono, soprattutto, nell’acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa Cattolica.
Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per “cinquine”. Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto “sacco” della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione.
Nel caso specifico, i lanzinchenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo.
Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda ad una avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per la soldataglia abbandonarsi al saccheggio per un così lungo tempo.
Avendo saccheggiato il saccheggiabile e perduta la possibilità di ottenere il riscatto, nonché decimati dalla peste e dalle diserzioni, gli Imperiali si ritirarono da Roma tra il 16 ed il 18 febbraio 1528.
Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III”
La domanda è, quindi, “i genitori del cav. Antonio si trovavano già a Roma, essendo essi sicuramente mercanti, o arrivarono dopo la partenza degli imperiali?
Tutte e due le ipotesi potrebbero essere valide. Sicuramente essi contribuirono economicamente alla rinascita dell’economia romana.
Ed è a Roma che, 15 anni dopo il sacco, nacque Antonio!
E’ qui che egli studiò!
Vediamo un attimo la situazione politica a Roma nel momento in cui nasce Antonio.
Siamo nel 1542/7 e a Roma vive ancora Michelangelo, il quale ivi morrà in età molto avanzata nel 1564.
Nel 1564 Antonio è appena ventenne e risiede ancora a Roma, dove studia alla Sapienza. Avrà mai saputo che Michelangelo fosse un suo parente?
Da wikipedia:
“La morte del maestro venne particolarmente sentita a Firenze, poiché la città non era riuscita a onorare il suo più grande artista prima della morte, nonostante i tentativi di Cosimo. Il recupero dei suoi resti mortali e la celebrazione di esequie solenni divenne quindi un’assoluta priorità cittadina. A pochi giorni dalla morte, suo nipote Lionardo Buonarroti, arrivò a Roma col preciso compito di recuperare la salma e organizzarne il trasporto, un’impresa forse ingigantita dal resoconto del Vasari nella seconda edizione delle Vite: secondo lo storico aretino i romani si sarebbero opposti alle sue richieste, desiderando inumare l’artista nella basilica di San Pietro, al che Lionardo avrebbe trafugato il corpo di notte e in gran segreto.”
La morte di Michelangelo “venne particolarmente sentita a Firenze” e “i romani si sarebbero opposti” al nipote.
Antonio, quindi, appena ventenne visse la morte di Michelangelo esattamente come i fiorentini ed i romani! Se avesse poi saputo che Michelangelo era anche suo parente, allora avrebbe sicuramente vissuto più intensamente l’evento.
La tomba di famiglia situata a Roma nella Chiesa dei XII Apostoli, di cui parlavo prima, è datata 1567 ed è la prova della colonia fiorentina dei Brunacci a Roma.
L’iscrizione sulla tomba dice:
MUCIUS BRUNACCIUS ILCINUS
OCTAVIO LAURENTIO OCTAVIANO
ET ALEXANDRO INFANTIBUS FESTIVIS
VIVENS POS. ET SIBI POSTERISQUE SUIS
AN MDLXVII
Il Forcella traduce la scritta come”Tomba di Brunacci Alessandro, Lorenzo, Muzio, Ottaviano, Ottavio. Anno 1567.”
Antonio nel 1567 aveva 20/25 anni e studiava ancora a Roma, quindi conosceva sicuramente questa famiglia. E se fosse la “sua” famiglia? Dai nomi, questi Brunacci sembrano, però, appartenere alla famiglia pisana. Proprio la famiglia della nonna di Michelangelo, il quale muore nel 1564, solo 3 anni prima dell’accettazione della tomba Brunacci da parte delle gerarchie ecclesiastiche della Chiesa dei XII Apostoli.
Michelangelo muore nel 1564, ma nel 1564 nasce Galileo Galilei.
(Parlerò di Galileo più avanti nel 1638, raccontando di Gaudenzio, uno dei tre nipoti di Antonio majore.)
Antonio, si laurea ed inizia, quasi sicuramente, a lavorare a Roma, dove molto probabilmente riesce a fare carriera.
Prima di arrivare a Montenovo, però, Antonio dovrà vivere, insieme a tutti i romani, un altro momento di grande trepidazione. Nel 1571 l’occidente si arma contro il Turco. Anche i ricchi Brunacci pisani contribuiscono all’impresa con una galea capitanata da Carlo Brunacci. Lo scontro navale avverrà a Lepanto.
Il Turco viene sconfitto ed i mercanti fiorentini/pisani possono continuare indisturbati con i loro traffici che li renderanno sempre più ricchi. E’ passato quasi un secolo da quando i Brunacci pisani/fiorentini hanno aperto empori in Spagna. Li troviamo ancora lì con Giulio, nel 1591, che corrisponde e commercia con Ferdinando I de’ Medici. (Li troveremo ancora in Spagna nel 1630/37. Addirittura uno di loro rappresenterà come “auditore” (ambasciatore?) Ferdinando II de’ Medici.)
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ANTONIO a MONTENOVO
Finalmente i Brunacci arrivano a Montenovo, o meglio, finalmente Antonio arriva a Montenovo!
Sempre ipotizzando che per motivi di carriera Antonio lasci Roma, solo nel 1597 abbiamo la certezza che egli si trovi a Montenovo.
Infatti il 18 febbraio 1597 Antonio si sposa a Montenovo con Francesca Iambone.
Ma, se Antonio nel 1597 aveva già 50 anni, dai 30 ai 50 anni cosa ha fatto? Dove ha vissuto, oltre che a Roma, prima di arrivare a Montenovo?
Avrà avuto forse già un’altra moglie e figli, oltre ad Antonio junior e Bernardino, i due figli nati a Montenovo?
Al contrario di altri luoghi marchigiani, dove discendenti di altre Famiglie Brunacci si trovano ancora oggi, a Montenovo questa Famiglia si estinse dopo appena 107 anni.
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Una famiglia che, però, grazie ai tre nipoti di Antonio (Pietro Paolo, Francesco e Gaudenzio) ha lasciato una traccia molto interessante.
Dicevo che nel 1597, Antonio finalmente si trova a Montenovo.
Per Antonio e, soprattutto, i suoi genitori, finalmente un po’ di calma!
Tra il sacco di Roma (1527), la guerra con il Turco ed altro, il 1500 fu un secolo di insicurezza perenne.
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Questa insicurezza ebbe, purtoppo, anche una vittima nella famiglia di Antonio.
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Capitano Giuliano Brunacci
1605
Grazie ad un diario di Pietro Paolo, nipote di Antonio, sappiamo che faceva parte di questa famiglia anche un certo capitano Giuliano. Purtroppo, Pietro Paolo non ci dà informazioni sull’esatta sua parentela con il nonno Antonio.
Giuliano aveva scelto la carriera “militare” di professione. Professione che gli fu fatale in Olanda.
Giuliano, il quale doveva essere un bel tipo “tosto e senza paura” (per non dire che molto probabilmente non era portato per lo studio), decise di intraprendere la carriera militare, mettendosi agli ordini del Marchese Ambrogio Spinola.
Giuliano, comandante di una compagnia italiana, che molto probabilmente lui stesso aveva arruolato, lo troviamo in Olanda agli ordini della Casa Reale spagnola.
Di lui, il nipote Pietro Paolo così scrive nel suo diario:
“Nel 1600 Giuliano Brunacci Capitano, esperimentato nelle Guerre di Fiandra, per lo Re di Spagna lo servì. Sotto il generalato del Marchese Spinola Genovese, et altri comandanti, e nell´assedio della Piazza d´Ostenda vi restò morto di moschettata, qual fortezza in mano degl´eretici olandesi si rese del 1605 al detto Marchese Spinola.”
Pietro Paolo ci dà due date precise: Giuliano che entra al servizio del Re di Spagna nel 1600, per morire cinque anni dopo durante l’assedio di Ostenda. Veramente Ostenda capitolò il 22 settembre del 1604, per cui il 1605 dovrebbe essere invece l’anno in cui fu comunicato il decesso ai parenti. Del resto, nel 1605 Pietro Paolo non era ancora nato e della vita avventurosa dello zio lo aveva sentito sicuramente dal padre.
Ho scritto “zio”, ma il fatto è che è difficile stabilire la parentela di Giuliano. Viene spontaneo pensare che, grazie al grado di Capitano, si possa ipotizzare una età avanzata e che, quindi, Giuliano sia un fratello del cav. Antonio romano, ma se si ipotizzasse una età diversa, allora potrebbe essere addirittura “figlio” di una ipotetica “prima moglie” di Antonio.
Da qualche parte, in qualche remoto archivio, vi è sicuramente la spiegazione!
Ma torniamo alla tragica vicenda di Giuliano.
Come morì e quando esattamente?
In una cronaca dell’epoca sull’assedio di Ostenda, possiamo provare a ricostruire cosa avvenne ed in che modo fu espugnata la città (Dalla: Vita del Marchese Ambrogio Spinola, descritta da Filippo Casoni, 1691).
Si legge che in questo assedio morì anche Federico Spinola, fratello del Generale Ambrogio, insieme a molte altri “nobili”.
“Questo fine ebbe Federico Spinola Duca nell’età sua di anni 33. Morirono de’ Regi 300, e fra questi molte persone cospicue.”
L’esercito era composto da quattro compagnie.
(Ambrogio Spinola) voltò tutta la sua applicazione e lo sforzo di tutto l’esercito all’oppugnazione. Per quattro lati dalle quattro Nazioni, che componevano l’esercito, Alemana, Spagnuola, Italiana e Vallona … e poi avanzarsi allo scoperto del cannone e del moschetto, in questa operazione cadevano a centinaia gli assalitori.
Giuliano era Capitano della compagnia italiana e … un giorno …
… del loro amore gli (ad Ambrogio Spinola) diedero un giorno gli Italiani questo gran saggio … supplicandolo a rimaner esso, per esser spettator del loro valore, perché erano sufficienti ad occupar il posto, come eseguirono alla sua presenza con molto spargimento di sangue …
Qui morì Giuliano, insieme ai suoi uomini!
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Antonio jr e Bernardino
Il cav. Antonio Brunacci fu detto “majore”, perché diede lo stesso suo nome ad un suo figlio, che fu appunto chiamato “junior”.
Si tratta di un precedente molto strano, visto che di solito si salta una generazione.
Sembra quasi che Antonio abbia voluto lasciarci una traccia sul suo antenato fiorentino.
Antonio majore era laureato in ambo i diritti e a Montenovo fu amministratore delle offerte per la costruzione del Convento di S.Croce.
Antonio junior ed il fratello Bernardino seguirono gli studi del padre e contribuirono a completare la costruzione del Convento di S. Croce.
Antonio majore muore il 23.1.1622 e nel 1645 i figli Antonio e Bernardino fecero mettere in Convento una lapide in suo ricordo ed anche della madre Francesca Iambone, figlia di Giovanni De Bono (= Iambone).

(I fratelli Antonio jr. e Bernardino fecero fare in Convento anche un’altra lapide, nel 1669, in memoria di Gaudenzio, figlio di Antonio junior, ma di Gaudenzio ne parlerò più avanti.)

Della prima lapide, però, non se ne trova più traccia.
Fortunatamente l’epigrafe fu trascritta nel DIARIO del Convento, dove leggiamo che il Cav. Antonio Brunacci senior era deceduto ad 80 anni, che la moglie si chiamava Francesca Iambone, che egli era Cittadino Romano e che era morto nel 1622.
Quindi, secondo questa traccia, Antonio majore dovrebbe essere nato a Roma nel 1542 ca.
Però, nel registro dei “morti” della Chiesa di S. Maria, si legge esser deceduto il 23.1.1622, e che aveva 75 anni e non 80 (quindi nato nel 1547 ca.).
La lapide fu scritta dai figli, mentre la nota sulla registrazione dei morti fu comunicata al sacerdote sicuramente dalla moglie.
Dovrebbe essere giusta quella della moglie, ma i figli evidentemente possedevano documenti notarili più precisi. Documenti che dovrebbero essere ancora oggi in qualche archivio remoto.
Altra importante informazione è che l’allora parroco, sia nel registro dei “morti” che in quello dei “matrimoni” (1639-1695 della Chiesa di S. Maria, pag. 78/bis n. 1), dichiara che
Antonio majore era di Montenovo, senza citare, purtroppo, il nome del padre, né la sua provenienza.
Il matrimonio tra lui e Francesca “Gio. de Bono” (Iambone) è stato celebrato il 18.02.1597.
Del figlio Antonio iunior ho trovato recentemente una “sentenza”, nella quale egli è parte in causa:
“E’ una sentenza del Tribunale di Bologna per la Tenenza delle Marche su un’apoca contrattuale del 18 settembre 1636 per una causa civile tra l’ebreo senigalliese Isacco Matrici e la Camera Annonaria della comunità di Montenovo, rappresentata dai deputati Francesco Arcangeli, Tiberio Giunti e capitano Remolo Bencivenghi, per l’importazione di quasi 1.000 quintali (300 rubbia) di grano da stati esteri allo Stato della Chiesa al prezzo di undici scudi per rubbio, da consegnarsi presso la piazza di Senigallia o, non potendo, presso il porto di Casebruciate (attuale Marina di Montemarciano) a fronte dei quali il depositario della Camera Annonaria cavaliere Antonio Brunacci si era impegnato ad anticipare la somma di 2.000 scudi all’inizio della consegna del frumento e il saldo entro il successivo Natale”. (sunto di Alberto Fiorani).
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Nel 1622 muore Antonio Brunacci majore, cav. Romano e, sempre nel 1622, un documento della città di Siena ci racconta quanto fossero ancora importanti i Brunacci fiorentini in quel periodo.
Trattasi della cittadina concessa dal Comune di Sena alla Famiglia della Rena ed a tutti i suoi discendenti.
In questo documento i Brunacci sono citati ai primissimi posti, vicino ai Medici.
Dal Collegio di Balì senese del 1622 apprendiamo che:
(pag. 477)
IL COLLEGIO DI BALI’
Della Città di Siena
Riconoscendo la città di Siena il merito, ed il valore del Signor Orazio della Rena Gentiluomo Fiorentino, e Segretario del Serenissimo Gran Duca di Toscana nostro Signore, negli effetti, che per sua mano continuamente si sentano dal paterno amore, e benegnità dell’Altezze Serenissime; e quanto egli abbia sempre affettuosamente adoperato in pro’ di questo Universale. E perciò volendo il Collegio nostro in nome publico mostrargliene più espresso segno di gratitudine con queste dimostrazioni, che suole fare verso coloro, i quali non ordinariamente onora, e stima. Di qui è. che di moto proprio, e senza richiesta di persona alcuna, con partecipazione di Sua Altezza Serenissima, tanto in virtù delle presenti lettere, quanto di nostra deliberazione de’ 21. del prossimo passato mese d’Ottobre, ottenuta con tutti i voti favorevoli di viva voce, ed in numero sufficiente congregati; Concediamo, e doniamo a detto Signore Orazio, e suoi figlioli, e discendenti maschi, e di legittimo matrimonio nati, la Civiltà di Siena, con la facultà di poter conforme agli ordini, godere tutti i privilegi, immunità, preminenze, e giurisdizioni solite.
Volendo di più, che la persona del suddetto Signor Orazio sia reputata, s’intenda, e sia, come se attualmente fosse riseduta nel Supremo Magistrato della Signoria, e tutto in ogni miglior modo.
E perciò abbiamo commesso, che si faccino le presenti sottoscritte, e segnate con il nostro solito Sigillo.
Date in Siena nel Palazzo publico della nostra Residenza il dì XXII di Novembre MDCXXII (1622).
Ventura Borghesi Cancelliere
Questo privilegio si conferma appresso i suoi figliuoli con il suo Sigillo di Cera, con l’impronta della Lupa, ed esso pendente in Cartapecorina.
Imparentò la famiglia della Rena con le più cospicue, e nobili di Fiorenza,
come furono gli Albizi, da Cignano, Rinucci, Bongianelli,
Cedernelli, Medici, Brunacci, Squarciasacchi, Cerchi,
Mangiarroie, da Combiate, Belincioni, Bentac-
cordi, del Bianco, Nobili da Vicorate,
Bardi, Erri, Doni, Visdomini,
Ricci, Boccacci,
Falcucci,
Cardinali, Beccanugi, Uguccioni, Strozzi, Lamberteschi, Pucci,
Dazzi, Corsini, Cambi, Serzelli, Quaratesi, Rucellai,
da Rabatta, Malchiauelli, Martellini, Gua-
dagni, Altouiti, Neretti, Zati, da
Diacceto, Adimari, Infan-
gati, Mormorai, Bui-
ni, ed altre.
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Grazie al seguente lavoro di Fabrizio Lipani ed Alberto Fiorani, troviamo altre notizie su Antonio Brunacci majore, capostipite del ramo Brunacci di Montenovo e del figlio Antonio Brunacci junior.
Da questo lavoro estrapolo dei passi dai capitoli 3 e 6 su “Palazzo Brunacci”.
Bisogna tener presente che, quando in questo lavoro si parla di Antonio Brunacci, si intende Antonio majore sino al 1622 e Antonio jr dal 1622 in poi.

PALAZZO BRUNACCI
Capitolo 3
Nel 1615 Francesco Franceschini espone alla Congregazione del Buon Governo che il Consiglio “ha resoluto di demolire una scala de marmi con logge, e stanza fatte con molta spesa dal Publico per entrare nella sala, et appartamento del magistrato per compiacere ad Antonio Brunacci”.
Non se ne fa nulla al momento, ma trent’anni dopo, nel 1642, il cavaliere Antonio Brunacci chiede e ottiene dal Comune metà della abitazione del cancelliere per ampliare il suo palazzo, in permuta con la costruzione di tre nuove stanze sopra i magazzini del nuovo palazzo prospicienti piazza Grande.
Il 31 dicembre 1643 vengono pagati lavori di riparazione di “finestre della scala e loggia del Palazzo e scola” e pagata anche la fornitura del gesso “servito per reattamento della Torre della Scola”.
Nel 1656 il Comune avrebbe in animo di permutare “la casa ove al presente si fa il forno e scola con la casa d’Odoardo Angelici per incorporarla con il palazzo”, ma evidentemente non se ne fece più nulla.
Se si pensa che le confinazioni per il passaggio di proprietà della mezza casetta dell’abitazione del cancelliere al cavaliere Antonio Brunacci indica come confine di questa anche la “scola” si ottiene, dall’insieme combinato di questa serie di documenti, un quadro preciso e inconfutabile, tantopiù che recentemente sono tornati alla luce nello stesso edificio elementi in pietra delle colonnine e della balaustra della scala originaria. Inoltre solo sul tetto Brunacci, oggi condominio Pasqualini-Casci Ceccacci, si possono rinvenire tegole trapezoidali alla romana che costituiscono un fatto del tutto isolato nella compagine edilizia locale.
Capitolo 6
L’AMPLIAMENTO “BRUNACCI”
Il cavalier Antonio Brunacci, padre dello storico locale don Pietro Paolo Brunacci che scrisse l’ “Historia d’Ostra e Montenovo” in più volumi manoscritti conservati nella biblioteca comunale “Giuseppe Tanfani”, cullava da tempo l’idea di abbellire e ampliare il palazzo di famiglia a piazza Grande, l’attuale proprietà Casci-Ceccacci e Pasqualini. La famiglia Brunacci era una famiglia ricca e influente; era anche munifica e attiva nella vita pubblica e il cavalier Antonio era stato fra i promotori e fra i massimi finanziatori della costruzione del nuovo convento dei Frati Minori di Santa Croce fra il 1605 e il 1620. Servì il principe prefetto D. Taddeo Barberini, nepote del papa Urbano VII, e in occasione della guerra ne ricevette molti favori. Suoi figli erano il letterato Gaudenzio Brunacci, che scrisse una decina di libri di lettere, storia, astronomia e medicina e lo storico locale don Pietro Paolo Brunacci. Suo fratello Bernardino, giureconsulto, esercitò diverse cariche pubbliche e lasciò numerosi scritti e repertori. Anche lui, il cavalier Antonio, scrisse tre libri di economia privata, mentre un altro della famiglia, Claudio Brunacci, medico in Roma, fu anche uno storico, poeta, astronomo e accademico. Così un altro familiare, Francesco Brunacci, fu filosofo, matematico e accademico a Roma, oltre che scrittore di opere geografiche, membro della Sacra Congregazione dell’Indice e anche auditore in Ascoli e Camerino.
Una famiglia così numerosa e con una così vasta poliedricità di interessi, di professioni e di rapporti sociali non poteva che volere anche una sua dimora adeguata al rango.
Così fin dal 1615 aveva pensato di esercitare tutto il suo ascendente sugli amministratori comunali che deliberarono “di demolire una scala de marmi con loggie, e stanza fatte con molta spesa del Pubblico per entrare nella sala, et appartamento del magistrato il tutto per compiacere ad Antonio Brunaccio che con tale demolizione viene a dar lume a due stanze della sua casa, con vendere ancora al medemo le case della Comunità a uso di forno del pan venale dove pensa esso Brunacci di fabricare un molino da olio e trasportare il forno sotto le stanze del Palazzo Priorale”, così leggiamo in una denuncia presentata da Francesco Franceschini al Buon Governo contro l’iniziativa di Brunacci, che così fallì e non se ne fece più nulla per il momento: d’altra parte era troppo stridente la menomazione degli interessi pubblici per sola soddisfazione dell’interesse privato. Si trattava infatti di far demolire una parte del primo palazzo comunale, e più propriamente quella parte destinata ad abitazione del cancelliere, liberando il fianco destro del palazzo Brunacci per dare la possibilità di aprirvi finestre per dar luce a due sue stanze, con ciò veniva abbattuta la scala in marmo e la loggia esistente.
Brunacci dovette così abbandonare temporaneamente l’idea fin quando, quasi trent’anni dopo, avanzò una nuova proposta, che fu discussa nel consiglio del 1° febbraio 1642: chiedeva di costruire un muro davanti e fabbricare sopra la casa del cancelliere che, essendo più bassa del suo palazzo, poteva essere sopravanzata per ampliare il piano nobile del palazzo Brunacci. Il Consiglio decide di concedere a Brunacci il permesso, con incarico al gonfaloniere e priori di stimare il valore ed eleggendo come deputati il capitano Aoreliano Tamborini, il capitano Simone Poccianti e Dioniso Dionisi a sovrintendere alla stima, con il patto che Brunacci fosse obbligato a costruire una volta o arco di scarico nel pavimento tra la sua abitazione e quella del cancelliere per la sicurezza di entrambi e con l’obbligo inoltre di fare una nuova scala per la casa della cancelleria.
Evidentemente questa soluzione dovette risultare troppo onerosa per il Brunacci e infatti troviamo registrato che i termini dell’accordo presentati al Buon Governo non erano più questi.
Si diceva infatti che la Comunità possedeva “una mezza casetta davanti la Torre del Palazzo disunita dal Palazzo d’essa Com.tà di mala qualità per l’acqua delle piogge, quasi inabitabile, che non può remediarsi, di 12 piedi di sito in circa, con una sola facciata libera, di poco più d’una canna e mezza di muraglia d’altezza, di nove piedi di larghezza, priva quasi di sole di valore in circa di scudi 126 per la quale s’offerisce da un Cittadino far fabbricare tre stanze contigue al Palazzo, anzi sopra li magazzini d’esso Palazzo di spesa di scudi 200 e forse d’avantaggio, non solo con utile grande della Com.tà, ma con decoro, ornato et universale satisfatione, quasi di tutta la terra”.
Comprendiamo meglio il senso dell’accordo, raggiunto con utile di tutti, dall’istrumento pattuito il 29 agosto 1642 fra il gonfaloniere e priori di Montenovo da una parte e Antonio Brunacci e suo fratello Bernardino dall’altra.
Nel capitolato infatti si dice che i fratelli Brunacci si obbligano a soprelevare i magazzini comunali per tutta la loro lunghezza di 70 palmi e per tutta la loro larghezza di 30 palmi, con muri a tre teste fino all’altezza della cancelleria, per realizzarvi tre stanze da destinare ad abitazione del cancelliere, contigua alla cancelleria che doveva essere spostata nella stanza a fianco, sopra il cortile del podestà, spostando sulla finestra di questa seconda stanza la ferrata che stava nella finestra della prima, sopra i tetti dei magazzini, a difesa delle scritture conservate in cancelleria.
Durante il periodo necessario all’esecuzione dei lavori i Brunacci dovevano reperire a loro spese una conveniente abitazione per il cancelliere e la sua famiglia, fino a quando non potrà abitare nelle nuove tre stanze.
In ricompensa di tale onere il Comune cedeva ai Brunacci metà dell’abitazione del cancelliere confinante con il loro palazzo.
La porzione di immobile da cedere era composto da una stanza al piano terra e un’altra stanza al piano superiore, mentre il Comune si riserva la retrostante proprietà, sulla quale però i Brunacci, a loro spese, dovevano fare una porta sulla piazza e la scala con i parapetti necessari per accedere anche all’abitazione della signora Camilla Cavalli de Santucci, evidentemente confinante.
Poiché però il valore di stima della mezza casetta risultava essere di centoventisei scudi, mentre il preventivo di spesa dei lavori delle tre stanze era di circa ducento scudi, si pattuiva la compensazione della differenza, consentendo ai Brunacci il taglio della legna delle “conelle cedue”, che erano i terreni marginali lungo il fiume di proprietà comunale, boscati e affittati, ma di cui una parte dello “scapeccio” triennale rimaneva a disposizione della Comunità anziché dell’affittuario.
Il 10 luglio precedente il podestà aveva già approvato la vendita, e anche il Consiglio si espresse favorevolmente, sottoponendo però la definitiva decisione all’arbitro del monsignor governatore, come da decisione della Sacra Congregazione.
L’anno successivo, approssimandosi l’epoca dell’inizio dei lavori di ampliamento del palazzo comunale così come pattuito con i signori Brunacci, il Consiglio decide di nominare come assistenti alla fabbrica il gonfaloniere, i priori, il signor Bartolo Buti e il cancelliere.
Nel frattempo venivano eseguiti altri lavori di riattamento della torre nella cella campanaria, essendo già stato riscontrato che la trave in legno che reggeva la campanella piccola era marcita.
Si decise allora di accomodare le volte e i finestroni della torre e di rifare anche la campana grossa, che si era rotta, la cui esecuzione in fusione venne affidata a “Nicolaus Grisardus Lorenensis Campanarius et Omodei Minetti Lorenensis sive de Lotaringia” con la prescrizione che poteva essere di “qualsiasi sia peso, purché non sia meno della rotta per scudi diciotto de paoli dieci per scudo”.
I maestri campanari itineranti si impegnano a fare la campana “bona, bella, sonora e di tutta perfettione e gusto della Com.tà” nel termine di tre settimane.”
Infatti entro il successivo novembre la campana grossa era già stata fusa e vennero eletti i deputati per il lavoro di ceppaggio e di fissaggio sulla torre, che venne immediatamente eseguito e pagato, con una spesa di 1.10 scudi per il ceppo della campana, il suo castello, la porta e il battuscio al secondo piano della torre, entro la vigilia di quello stesso Natale 1643.
I lavori dell’ampliamento, però, contrariamente alle aspettative e agli impegni assunti, andarono per le lunghe e il Comune decise di sollecitare Antonio Brunacci a ultimare i lavori secondo le convenzioni, con refusione dei danni patiti dalla Comunità per il grave ritardo.
Dopo questo sollecito evidentemente i lavori ripresero, tanto che il 17 giugno 1645 il Consiglio decise di acquistare alla fiera di Senigallia i legnami necessari alla soffittatura delle tre stanze, avendo ormai deciso che, anziché essere destinate ad abitazione del cancelliere, dovevano essere utilizzate a servizio del magistrato e dei consiglieri.
In sostanza si decise di spostare la sala consiliare dalla primitiva “Sala Magna” alla prima stanza dell’ “ampiamento Brunacci”, mentre la “sala magna” sarebbe stata successivamente utilizzata come sala da teatro e per le accademie.
Così vennero impartite a Brunacci nuove istruzioni per alcune modifiche necessarie a conformare l’ampliamento alle nuove esigenze, deputando alla sorveglianza dei lavori il capitano Torquato Poccianti e Giandomenico Grossi.
I lavori furono rapidamente ultimati, tanto che il 6 agosto 1645 il cavalier Antonio Brunacci richiese la quietanza sui capitoli dell’istrumento sottoscritto anni prima.

Interno di palazzo Brunacci e Fabrizio Lipani
Fabrizio Lipani, a cui feci questa foto quel giorno che mi fece da guida per le vie di Ostra Vetere, mi raccontò che nel Palazzo Brunacci vi era un camino con lo stemma di Famiglia, camino che fu venduto dai successivi proprietari. Trovo interessante scoprire che vi siano persone, così amanti dell’antichità, da comprare uno stemma di altra Famiglia che non sia la propria! Mi ha raccontato, anche, della lapide indicante la proprietà, che fu staccata dalla parete e che ora è in possesso di un privato cittadino di Ostra Vetere. Speriamo che questo “privato cittadinoi” si renda conto che la lapide non ha alcun valore e che sarebbe meglio riposizionarla dove essa era.
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I TRE FRATELLI BRUNACCI DI MONTENOVO
Pietro Paolo, Francesco e Gaudenzio
Di questa famiglia Brunacci di Montenovo allego in appendice una biografia che mi fu inviata dal Comune di Ostra Vetere nel 2002 e che riassume in modo appropriato e soddisfacente tutte le notizie ed informazioni che la riguardano.
Grazie a queste informazioni ho potuto iniziare e continuare la ricerca su gli altri due componenti di questa famiglia, cioè di Francesco e di Gaudenzio, fratelli di Pietro Paolo, di cui, invece, si può leggere esaurientemente nella suddetta biografia in appendice.
Se Pietro Paolo lo abbiniamo alla sua profonda religiosità e spiritualità, i fratelli Francesco e Gaudenzio non possono che essere abbinati all’Alta Società di quel tempo.
Francesco lo abbiniamo alla Regina Cristina di Svezia, mentre Gaudenzio lo abbiniamo alla soprano Barbara Strozzi, di cui ancora oggi si cantano le arie, ad alcune delle quali contribuì, appunto, Gaudenzio.
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GAUDENZIO BRUNACCI
1631-1669
e Barbara Strozzi
Barbara Strozzi
(battezzata il 6 agosto 1619 – Padova, 11 novembre 1677)
è stata una compositrice e soprano italiana barocca.

Biografia
Era la figlia adottiva (forse illegittima) del giudice, poeta e librettista Giulio Strozzi e d’Isabella Garzoni (soprannominata la Greghetta). Fu allieva del padre, di Marcantonio Cesti e del celebre Francesco Cavalli. Tra il 1635 e il 1636 cantò dinanzi a svariati letterati veneziani le Bizzarrie poetiche, due volumi di canzoni composte da Nicolò Fontei. Nel 1637 il padre adottivo fondò l’Accademia degli Unisoni, dove la Strozzi entrò come membro e nella quale recitava e cantava i propri lavori; ella metteva in musica principalmente i testi scritti dal genitore. Quando quest’ultimo morì, fu costretta ad industriarsi autonomamente per trovare a chi dedicare le sue composizioni.

Barbara Strozzi (also called Barbara Valle; baptised 6 August 1619 Venice– 11 November 1677 Padova)
was an Italian Baroque singer and composer.
Born in Venice, Barbara was adopted and baptized into the Strozzi family. She was most likely illegitimate, daughter of Giulio Strozzi and Isabella Garzon, his long-time servant and heir. Giulio encouraged his daughter’s talent, even creating an academy in which Barbara’s performances could be validated and displayed publicly. He seemed to be interested in exhibiting her considerable vocal talents to a wider audience. However, her singing was not her only talent. She was also compositionally gifted, and her father arranged for her to study with composer Francesco Cavalli.
It is conceivable that Strozzi may have been a courtesan, however, she also may have merely been the target of jealous slander by her male contemporaries. She appears to have led a quiet, if not slightly unusual life; there is evidence that at least three of her four children were fathered by the same man, Giovanni Paolo Vidman. He may have been her husband or a paramour. After Vidman’s death it is likely that Strozzi supported herself by means of her savvy investments and by her compositions. He did not, apparently, leave anything to her or her children in his will.
Strozzi died in Padua in 1677 aged 58. Strozzi is believed to have been buried at Eremitani.
When she died without leaving a will, her son Giulio Pietro claimed her inheritance.
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Cercando Gaudenzio, ho trovato la vita di Barbara Strozzi e la sua musica in un sito inglese, dove ho trovato che, morto il proprio genitore, autore dei testi, Barbara Strozzi fece ricorso a vari personaggi che frequentavano l’Accademia degli Unisoni, tra cui il “nostro” Gaudenzio.
Vedendo il dipinto della Strozzi, non si può fare a meno dal notare che ha anticipato la Paolina Bonaparte di ben 200 anni! Quel seno nudo che le esce dalla camicetta avrà sicuramente “intrigato” anche il nostro povero Gaudenzio, che sicuramente non si sarà fatto pregare nel scrivere alcuni testi delle sue opere.
Sappiamo ora, quindi, che Gaudenzio ha frequentato l’Accademia degli Unisoni ed è in questo archivio che bisognerà concentrare successive ricerche.
Intanto, visto che l’autore di questo sito ha già individuato alcuni testi di Gaudenzio (alcuni sono ancora anonimi e, quindi, ve ne potrebbero essere altri scritti da Gaudenzio), li riporterò qui di seguito.
Il bello di questi testi di Gaudenzio è che ancora oggi essi si possono trovare musicati e cantati.
Trattasi di una bellissima “traccia” che Gaudenzio, grazie alla Barbara Strozzi ed agli amanti della sua musica, ci ha trasmesso sino ad oggi.
Consacrate
ALL’ ALTEZZA SERENISSIMA
DI MADAMA SOFIA
Duchessa di Bransvich, e Luneburg, nata Principessa
Elettorale Palatina.
Opera Ottava.
IN VENETIA MDCLXIIII.
Apresso Francesco Magni dello Gardano
~ MADAMA SERENISSIMA ~
Vola per tutta Europa con tanto applauso sovra l’ali dell’immortalità il nome Serenissimo di V A [Vostra Altezza], che per publicarlo maggiormente non ha più Trombe la Fama, ne più voci la Gloria: onde non più stupore, s’anco un ingegno di Nottola a tanto nome si scuota, già che à V A, che è ammirata per la Pallade dell’Universo, non desdirà, come tale il vederselo à piedi.
La maraviglia dopo, che hebbe fortuna di conoscere l’A V, più non si partì dall’Auguste soglie d’Hanovure, e giurò ch’in una Sola SOFIA stava accolto quanto d’Heroico, di maestoso, e di vago vidde né trascorsi, e né presenti secoli il mondo.
Ecco dunque, che tratta dalle singolari Virtù di V A. ardisco di consecrare al suo Regal Genio queste musiche Note, proprie, anzi dovute al Nume del suo gran merito, che dando ricovero ne suoi Regii Alberghi alle muse fà sentire alle Sirene dell’Adria le voci de più esquisiti Cantanti; godendo, che sì come gl’Atavi Suoi Gloriosi hanno sotto il Britannico, e Teutonico Cielo fatte germogliare le palme, e le Corone, così hora si rimirino circondate altre si à V A le choime d’Allori. Aggradisca humilmente la supplico questa humile mia oblatione, degnandola dell’aspetto favorevole della Sua Serenissima gratia, pregando il Cielo à guardare lungamente l’A V per esemplare, e Idea delle Prencipesse, e Regine
Di V A Serenissima
Humilis, Devot. & osseq. serva
Barbara Strozzi

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MOST SERENE MADAME,
On the wings of immortality, and with the praise of Europe she flies. Trumpets do not do sufficient justice, nor can voices glorify enough, the immortal name of V[ostra] A[ltezza]. Is it not a wonder, that the earthshaking name of V.A. is admired as the Pallas of the universe, from her feet to that mind greater in wisdom than any owl.
And so it is such a marvelous fortune to know V.A. More noteworthy, even than her role on the august and majestic throme of Hanover, is that SOFIA can be judged to unite heroism, majesty, and charm. Never before, in all the world’s centuries, has there been such a one.
Thus, by means of that singular virtue that deigns to accept, I consecrate these musical notes to that royal genius. So that she may at last be properly praised and, as the great gods, recover something of that former royal abode and glory, and as if in the role of the Muses, listen to the sirens, those most exquisite voices of the Adriatic. Rejoicing, as were the palms and crowns sown beneath the heavens of Britain and Germany, now to once again see the laurels encircling the brow of V.A. In humility, I hope that she is pleased with my humble offering and will deign to grace me with that faultless aspect of her most serene grace; praying to heaven to forever guard V.A., the ideal of princesses and queens.
To Your Most Serene Highness,
from her most humble, devoted, and obsequious servant,
Barbara Strozzi

8.06. Che si può fare
le stelle
rubelle
non hanno pietà
che s’el cielo non da
un influso di pace
al mio penare
che si può fare.
Che si può dire
da gl’astri
disastri
mi piovano ogn’or;
che si può dire
che le perfido
amer un respiro
di niega al mio martire
che si può dire.
Così vario destin forte
tiranna gl’innocenti
condanna
così l’oro più fido
di costanza e di fè
lasso convienelo raffini d’ogn’or
fuoco di pene.
Sì, sì, sì, sì penar
deggio che darei sospiri
deggio trarne i respiri.
In aspri guai per eternarmi
il ciel niega mia sorte
al periodo vital
punto di morte.
Voi spirti dannati
ne sete beati
s’ogni eumenide ria
sol’ è intenta a crucciar
l’anima mia.
Se sono sparite
le furie di Dite
voi ne gl’elisi eterni
i di trahete
io coverò gl’inferni.
Così avvien a chi tocca
calcar l’orme d’un cieco
alfin trabbocca.
(Sig. Brunacci) What can one do
if the rebel stars
have no pity;
what can be done
if heaven has
no peaceful influence
to soothe my sorrows;
what can one say
from the stars disasters
rain upon me at all hours;
what can be said
if perfidious love
denies the slightest repose
to my martyrdom;
what can be said?
That is how it goes with perverse destiny,
that condemns the innocent,
so too constancy that most trusted gold
and, oh, it nonetheless need be
purified at every hour
by the flames of my sorrows.
Yes, yes I should suffer,
yes, yes, from my sighs
I should hold back my breath.
In bitter misfortunes so as to prolong
my being, the heavens deny me my destiny,
that my life’s course
should lead to death.
Cursed spirits,
you do rejoice indeed,
when each of the perverse furies
has as its only goal
the torment of my soul.
If the furies of Dis
were to vanish,
you would spend your days
in the eternal Elysia,
while I perish in the underworld.
So it happens to him who must
follow the example of the blind man:
in the end he falls to the ground
8.07. Luci belle, deh, ditemi perché
sempre altere e dispietate
vi mostrate
non curando amor e fé.
Formò Fallari tiranno
contro i rei fiero istromento,
pur alfin nell’empio inganno
breve morte era il tormento.
Io solo, ahi lasso, per più cruda sorte
con perpetuo penar provo la morte.
Or voi arbitre siate al mio dolore
se nel regno d’amore
più infelice amator vi sia di me.
Là nel regno de’ tormenti
dolce suon d’ismaria cetra
sin da’ cerberi frementi
pure alfin pietade impetra;
io, fatto esempio a’ sfortunati amanti,
spargo invano sospir, accenti e pianti.
Or dunque al mio pregar sorde e rubelle,
ho da dir, crude stelle,
che nel ciel di beltà pietà non v’è.
(Brunacci) Wondrous eyes, ah, tell my why
you appear always contemptuous and merciless,
unmindful of love and faith.
Fallari the tyrant invented
a fierce instrument for the culprits,
but in the merciless deceit,
the torment consisted of swift death;
I alone, oh, exhausted by an even more cruel fate with perpetual sorrow do sense death.
Be now the arbiters of my pain,
tell if in the kingdom of love
you know of an more unhappy lover.
There in the kingdom of suffering
the sweet sound of Ismaria’s lyre
silences the howling of the cerberi
until at last compassion reigns;
I am the example of the unfortunate lover.
In vain do sighs, moans and tears spill forth
from within me.
Now in answer to my plea, deaf and rebellious,
I must tell you, cruel stars,
that in the heavens there is no mercy.
8.12. Donne belle e vanità
il dire ch’il core
al male d’amore
rimedio non ha.
Altri ha fede alla speranza
altri al tempo i voti porge
altri pure alfin s’accorge
che non valla lontananza.
Io ch’a prova il fè per pietà
vel dirò il rimedio
d’Amor: è l’incostanza
e credetelo a me, che così sta.
Donne belle.
Non tormenta gelosia
credeltà son crucia il seno
siasi Adone, o sia Bireno
mai dira la sorte è ria.
Tal sempre in libertà
alfin s’accorgerà
che’l doresi d’Amore è una follia
e credetelo a me, che così sta.
Donne belle.
(Sig. Brunacci)
Beautiful women, it is vanity
to say that there is no cure
for the heart
sick with love.
Some have faith in Hope,
others offer their prayers to Time;
others will at last realize
that being far away is of no help.
Out of pity, I, who know from experience,
will tell you that the cure for love
is inconstancy,
and believe me, that’s the way it is.
Jealousy doesn’t torment,
cruelty doesn’t torture his breast.
Whether he is Adonis or Bireno
the free man will never say
that fate is cruel.
In the end he will realize
that suffering for love is madness,
and believe me, that’s the way it is.
translation Randall Wong
Visto che i versi di gaudenti sono stati tradotti anche in inglese, è giusto che io qui li trascriva in suo onore.
Solo che leggendo questi versi, mi vien il dubbio esser autobiografici ed indirizzati, come messaggio subliminale, proprio alla Barbara dal … seno sfuggente!
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GAUDENZIO BRUNACCI
e gli studi galileani
Gaudenzio nasce nel 1631 e, visto che si dedicherà anche agli studi galileani, è bene raccontare qualcosa di Galileo Galilei, che interessa da vicino la Famiglia Brunacci.
Come avevo anticipato prima, parlando di Michelangelo, la cui nonna era Alessandra Brunacci pisana, morto nel 1564, scopriamo che nello stesso anno nasce Galileo Galilei, il quale, da perfetto “toscanaccio”, fa un autogol con la Chiesa Cattolica proprio nel momento in cui il Cardinale Barberini, toscano come lui, divenuto papa con il nome di Urbano VIII, lo aveva preso a ben volere, permettendogli di continuare gli studi copernicani.
Galileo decise di pubblicare un libro dove tre personaggi discutevano tra loro e dove si capiva facilmente che il personaggio “Simplicio” fosse la … Chiesa cattolica!
Urbano VIII si offese per la sfrontatezza di Galileo e fece … quel che tutti sanno!
La domanda è: chi consigliò a Galileo di scrivere quel libro in quel modo?
E, perché Galileo non ne inviò prima una copia al Papa, ancora suo amico ed estimatore?
Nel 1633 Galileo fu messo agli arresti domiciliari e, nel 1638, scopriamo chi fossero i suoi migliori amici e, sicuramente, finanziatori e consiglieri.
Trattasi di un documento giunto sino a noi, grazie ad una modifica testamentaria che Galileo volle fare. Galileo morrà solo tre anni dopo, nel 1642.
Questo documento fu firmato da:
1. Domino FRANCISCO q. VINCENTII de BRUNACCIS;
2. Sr Ioanne Maria q. Benintendi de Tantinis, notario;
3. Domino Nicolaio q. Ioannis Baptistae del Nobile;
4. Domino Francisco q. Ioannis del Cianna;
5. Domino Dino q. Arrighi De Ciardis, civibus Florentinis; et
6. Onofnio q. Nicolai de Calicis, pro notario se gerente; et
7. Iacobo q. Dominici de Manganis, meo famulo.
FRANCISCO q. VINCENTII de BRUNACCIS è primo firmatario del documento.
Come avvenne un secolo e mezzo prima con il Savonarola, anche questa volta la Famiglie nobili fiorentine dimostrarono di non aver paura del Papa e continuarono ad appoggiare sino alla morte il grande scienziato.
Anche se, aggiungo io, potevano evitare con un po’ di buon senso lo scontro con il Papa, consigliando meglio il Galileo! Che bisogno c’era di scrivere quel libro mettendo in ridicolo la Chiesa? Era chiaro che Urbano VIII si sarebbe trovato in difficoltà e che avrebbe ritirato l’appoggio a Galileo, con tutte le conseguenze che ben conosciamo!
Comunque, dato che ho citato questo documento, lo riporto qui di seguito:
CODICILLO AL SECONDO TESTAMENTO
di GALILEO GALILEI
(Pisa, 15.2.1564 –Arcetri, 8.1.1642)
Luogo/Firenze, 19 novembre 1638
In Dei nomine amen. Anno Dominicae Incarnationis millesimo sexcentesimo trigesimo octavo, Indict.e sesta, die vero decima nona mensis Novembris, Urbano 8° Summo Pontifice. et Ser.mo FERDINANDO 2° Magno Etruriae Duce dominante.
Actum Florentiae, in domo habitationis infrascritti Domini GALILEI codicillatoris, in populo Spiritus Sancti super Costam S. Georgii, praesentibus:
1. Domino FRANCISCO q. VINCENTII de BRUNACCIS;
2. S.r Ioanne Maria q. Benintendi de Tantinis, notario;
3. Domino Nicolaio q. Ioannis Baptistae del Nobile;
4. Domino Francisco q. Ioannis del Cianna;
5. Domino Dino q. Arrighi De Ciardis, civibus Florentinis; et
6. Onofnio q. Nicolai de Calicis, pro notario se gerente; et
7. Iacobo q. Dominici de Manganis, meo famulo, testibus ore proprio infra scritti Domini
codicillatonis vocatis, habitis atque rogatis.
Il Sig.r GALILEO del q. Vincenzio GALILEI, cittadino Fiorentino, Matematico di S. A. S., sano di mente, senso, corpo et intelletto, privo bene in tutto della luce degli occhi, ricordandosi come sotto di 21 d`Agosto, l`anno mille secento trent`otto, per mia mano e rogo da me fatto, haver disposto delle sue facoltà per testamento solennemente in forma di ragion valida, e tra l`altre cose in quello contenute haver per ragion di legato lasciato agli infrascritti nominati come appresso:
«Inoltre, similmente in segno dell`affetto portato sempre e che continuamente porta a Vincenzio, Alberto e Cosimo, fratelli tra di loro e figliuoli del già Michelagnolo di Vincenzio Galilei, suoi amatissimi nipoti di fratello carnale, et acciò che conoschino quanto sempre gli ha amati, a` medesimi lasciò e legò, e lascia e lega, per ragion di legato la somma e quantità di scudi mille di £ sette per scudo per una volta tanto e non più né altrimenti nè in altro modo, et a ciascuno di loro la terza parte, da conseguirsi, seguita la morte di detto Sig.r testatore, da` luoghi di Monte di Pietà che lascerà detto S.r Galileo testatore, da ritenersi quivi a beneplacito di detti nipoti legatarii, e con dichiarazione che per quel tempo che rimarranno in detto Monte gli detti scudi nulle, gli frutti di quelli si aspettino come sopra respettivamente a` detti suoi nipoti; et in ogni caso che a quel tempo che seguirà la morte di detto Sig. testatore non fussero detti suoi nipoti tutti a tre vivi, dichiarò e dichiara volere che detto legato di scudi mille sia e si aspetti a quelli che saranno vivi, a` quali in detto caso et a quelli che saranno vivi lasciò e legò la somma predetta in ogni miglior modo», come nel detto testamento apparisce, al quale volse haversi relazione etc.;
E sapendo benissimo detto Sig.r Galileo, che può variare, mutare et abolire il sopradetto legato in parte et in tutto e come al medesimo pare e piace et ad ogni sua volontà, e perciò volendosi valere della facoltà datagli e concedutagli dalle leggi, volendo in tutto e per tutto revocare il sopradetto legato, alla presenza de` sopradetti et infrascritti testimoni, e fare quanto appresso per gli presenti codicilli;
Perciò, ritrovandosi nello stato et essere come di sopra, raccomandando l`anima sua all`omnipotente Dio e Sua Immacolatissima sempre Vergine Maria, lasciò e legò per ragion di legato all`Opera di S.ta Maria del Fiore di Firenze £ tre p.li secondo gli ordini;
Il sopradetto legato, fatto a` detti tre suoi nipoti Vincenzio, Alberto e Cosimo, figliuoli del detto già Michelagnolo Galilei, nella detta somma di scudi mille, revocò, cassò et annullò, e revoca, cassa et annulla in tutto e per tutto et in qualsivoglia sua parte, volendo haversi, tenersi e reputarsi come se mai fussi stato ordinato e fatto, e rimanere estinto e resoluto in tutto e per tutto; e così volse e dichiarò e vuole e dichiara per questi suoi presenti codicilli haver revocato, cassato et annullato il sopradetto legato, et così haversi e reputarsi, in ogni miglior modo etc.;
Tutto il rimanente e contenuto nel sopra narrato suo testamento confermò, approvò e ratificò in qualsivoglia sua parte, come conferma, approva e ratifica, a favore di tutti quelli chiamati a succedere nella sua eredità in conformità del disposto in quello, come ancora tutti gli legati oltre al detto revocato, e qualunque altra sua disposizione in detto suo testamento contenuta, in tutto e per tutto.
Io Franc.o di Vinc.o BRUNACCI, insieme con Ser Gio. Maria di Benintendi Tantini, Niccolaio di Gio. Bat.a dell Nobile, Francesco di Giovanni dell Cianna, Dino d`Arrigho Ciardi, Noferi di Niccolò Calici e Iacopo di Domenico Mangani, tutti testimoni chiamati e pregati di propria bocca del detto Sig.r Galileo codicillatore d`essere testimone al presente codicillo e sua recitatione, fui presente; et in fede delle premesse cose, soscrissi mano propria, e con il sigillo di detto Francesco del Cianna sigillai, questo stesso sopradetto giorno: quale contiene in sè due colonne.
Ego Gratiadeus q. Iacobi de Squadrinis, civis et notarius publicus Floremntinus, I. U. D., omnibus praedictis interfui, vocatus et rogatus a dicto Domino GALILEO codicillatore, et de sua voluntate scripsi et publicavi et in hanc publicam formam redegi, et coram dicto Domino Galileo codicillatore et dictis testibus ad eorum claram intelligentiam recitavi et legi; et in fidem omnium praemissorum subscripsi et signam apposui et sigillumn meum consuetum.
Qui Domini FRANCISCUS DE BRUNACCIS, Ser Ioannes Maria de Tantinis Nicolaus del Nobile, Franciscus del Cianna, Dinus de Ciardis, Onofrius de Calicis et Iacobus De Manganis supradicti, testes ut supra adhibiti, incontinenti ibidem astantes, in praesentia Ioannis Baptistae Simonis di Stagio, famuli dicti Domini GALILEI codicillatoris, et Petri q. Dominici de Manganis, mei famuli, in testes vocatorum et adihbitorum, subscriptiones et sigilla de quibus supra, sub eorum nominibus respective, ad cautelam recognoverunt in forma, et adfirmaverunt praedicta eorum et cuiuslibet eorum manu subscripsisse et
sigillasse. In quorum testimonium etc.. Rogantes etc.
Ego Grat.eus SQUADRINIUS, de praedictis rogatus, in fidem etc.
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Nel 1642, quando Galileo muore, Gaudenzio ha già 12 anni ed è quindi abbastanza grande per capire la notizia e gli avvenimenti ad essa correlati.
L’astronomia allora, grazie al cannocchiale di Galileo, andava di moda e sicuramente anche i tre fratelli Brunacci di Montenovo iniziarono a fantasticare su possibili scoperte.
Infatti, Gaudenzio e suo fratello Francesco, finiti gli studi, si diedero agli studi galileani, che nel frattemo erano stati migliorati da illustri discepoli dello stesso Galileo.
——
Gaudenzio ed il Borelli
discepolo di Galileo
Ho trovato un documento che ci dimostra proprio che, non solo Gaudenzio studiò anche l’astronomia, ma entrò anche in contatto con le migliori menti di allora al riguardo.
Nella Biblioteca Centrale di Firenze è custodita una lettera scritta dal matematico Giovanni Alfonso Borelli al Granduca di Toscana (che nel 1665 dovrebbe essere Ferdinando II).
In essa  il Borelli (1608-1679) scrive: “Ricevo il libretto del Brunacci venuto da Venezia, il quale … “
Il Brunacci in questione è, naturalmente, il nostro Gaudenzio Brunacci ed il libretto regalato da Gaudenzio Brunacci al Borelli è “la Sferza degl’Alchimisti”, pubblicato a Venezia proprio nello stesso anno, il 1665. Il Borelli ne da una copia al Granduca di Toscana Ferdinando II.

Da questa lettera, datata 6 marzo 1665, deduciamo che Gaudenzio Brunacci, una volta pubblicata l’ultima sua opera, fa un viaggio promozionale.

Nel marzo del 1665 si trova a Pisa, dove contatta il Borelli. Sicuramente, il suo viaggio terminerà a Roma, dove viveva l’altro suo fratello Francesco, astronomo anche lui.

Ma, perché Gaudenzio si reca dal Borelli? Chi era Giovanni Alfonso Borelli?

Su internet leggo che:
“L’opera di Galilei fu proseguita da una schiera di suoi discepoli che si applicarono in vari campi del sapere scientifico. Tra i primi bisogna ricordare Benedetto Castelli (1578-1643), scienziato italiano, che a 17 anni entrò nell’ordine benedettino. Prima del 1604 fu scolaro di Galileo Galilei a Padova e nel 1611 lo raggiunse a Firenze. Fu tra i primi a confermare le scoperte astronomiche di Galilei. Gli offrì per tutta la vita la propria assistenza e solidarietà. Dal 1613 fu professore di matematica all’Università di Pisa. Nel 1626 Urbano VIII lo chiamò alla Sapienza di Roma dove insegnò fino alla morte. Furono allievi di Castelli: Cavalieri, Torricelli, Viviani e Borelli.

Interessante è che, se il Borelli inizia la sua lettera non specificando bene al destinatario, il Granduca di Toscana, chi fosse il Brunacci venuto da Venezia, significa che Gaudenzio era già ben noto a tutti e due.
———–
Gaudenzio muore giovanissimo, a soli 38 anni.
In una antica biografia, leggo che:
“(Gaudenzio n. il 14.10.1631) venne assalito da gagliarda febbre, che ai 30 di agosto, nell’età di 37, 10 mesi e giorni 16, privollo di vita. Fu sepolto nella stessa Città di Venezia e portato alla Chiesa di S. Silvestro; e dalla pietà de’ genitori gli venne posta una sepolcral memoria in patria nella Chiesa di S. Croce.”
Chiesa di S. Silvestro a Venezia dove fu sepolto Gaudenzio
Il patriarcato di Venezia mi aiuta a trovare anche la data esatta di morte di Gaudenzio.
Così mi ha scritto Don Diego Sartorelli: “dal registro dei morti della parrocchia di San Silvestro risulta che Gaudenzio Brunacci, medico di anni 37 in circa, morì il 30 o 31 agosto 1669. L’indicazione del giorno è incerta perchè la data è stata corretta e non si è riusciti a stabilire se sia un 30 corretto su 31 o 31 corretto su 30 e le registrazioni precedenti e successive non contribuiscono a derimere l’incertezza.”
Gaudenzio nasce, quindi, nel 1631 e muore nel 1669 per malattia.
Cosa strana è che i parenti di Gaudenzio non ne abbiano riportato il corpo a Montenovo. Sarà morto di malattia infettiva? Penso che bisognerebbe cercare nell’archivio della famiglia Strozzi presso l’archivio di Stato. Ma, se Barbara Strozzi è deceduta a Padova, allora è lì che bisognerà cercare.
“Medico” è scritto nel registro di morte parrocchiale.
Questa era infatti la sua principale professione e che, forse, fu anche la causa della sua morte. Non dimentichiamo, infatti, che Venezia era un porto di mare e che gli equipaggi portavano continuamente malattie infettive. Per “equipaggi” intendo anche i topi che regolarmente portavano in Europa la peste.
Gaudenzio pubblicò anche un trattato sul chinino e, con ciò che guadagnava come dottore, si dedicava anche al suo hobby, l’Astronomia.
Infatti, è arrivato a noi anche un suo lavoro sulla cometa del 1664 (una copia originale di questo lavoro l’ho rintracciata in una biblioteca a Monaco).
Interessante è la prefazione scritta dall’Ufficio dell’Inquisizione:
NOI REFORMATORI
Dello Studio di Padova
Avendo veduto per fede del Padre Inquisitore nel libretto intitolato De Pseudostella, seu Cometa, qua apparvit anno Domini 1664, non esservi cosa alcuna contro la Santa Fede Cattolica, e parimente per attestato del Segretario nostro, niente contro Prencipi e buoni costumi, concedemo licenza, che possi esser stampato, osservandosi gl’ordini. Data à 24 Gennaro 1664. Zuanne Donato Reformator, Andrea Pisani Procurator Reformator, Battista Nani Cau.Proc.Ref., Angelo Nicolosi Segretario.
———-
Chiudo con la traduzione dell’epigrafe che i genitori di Gaudenzio misero nella Chiesa di S. Croce in sua memoria:
Lapide a Gaudenzio

Stemma

D.O.M.
A Dio Ottimo Massimo
GAUDENTIO BRUNACCIO
A Gaudenzio Brunacci
NOBili MONTenovensi CIViQue ROMano
Nobile di Montenovo e Cittadino romano
HISTORico MEDICO PHYLOSopho ASTRONOMO
Storico, Medico, Filosofo, Astronomo
CAETERARarum Que VIRTVTVm FULGORE MICANTI
di tutte le altre virtù fu di fulgore palpitante
QUI VENETIARum URBEm DECENnIO COLENS
il quale curando la Città delle Venezie per un decennio
TOTIDEM TYPIS OPERA EDIDIT SACRA
editò altrettante opere sacre
PROFANAQue
e profane
AT DUM EX SERenissiMA REIPublica MANDATO
ma mentre, per mandato dalla serenissima repubblica,
CRETICA BELLA CONTRA TURCAS PER TOT LUSTRA
le guerre cretesi contro i turchi per tanti lustri
TERRA MARIQue DECERTATA
per terra e per mare combattute
ET TRAPEZUNTINI IMPERII CATASTROPHES
e le catastrofi dell’impero Trapezuntino
CONSCRIBIT
scrive
FATO CONCIDIT INTEMPESTIVO
per Fato muore nell’intempestivo
AETATIS ANNO XXXVI
anno 36esimo di età
ALIIS CAEPTIS ET NON CONSUMATIS OPERIBUS
essendo state intraprese e non portate a termine altre opere
SIC SPES PERTRANSIT MUNDI SIC GLORIA FINIT
così la speranza del mondo passa, così la gloria finisce
Quintus. ANT.oniu S Iuris. Vtriusque. Doctor.
ET DIANA DE CLAUDIIS PARENTIS
Quinto Antonio dottore di entrambi i diritti (civile ed ecclesistico)
e Diana dei Claudii parenti
MESTIS FILIO BENEMerenti(aere) Proprio Posuerunt
mesti al figlio benemerente con moneta propria posero
ANno MDCLXIX
anno 1669

Sotto l’epigrafe, che è un capolavoro di come si possa raccontare in sintesi tutta la vita di una persona, vi è lo stemma di Famiglia: due gigli, che ricordano l’origine fiorentina, ed il corvo nero, di cui il compianto Fabrizio Lipani mi descrisse in latino la simbologia del cognome (Brunacci da Brunaccio = bruno, scuro, nero). Non me lo sono trascritto ed ora me ne pento!
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Anche se in Italia la simbologia del cognome “Brunacci” e simili dà per scontato ed uso comune la spiegazione datami da Fabrizio Lipani, l’origine, però, è altra:
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ETIMO
del cognome “Brunacci”
Brunacci, Brunati, Bruno, Bruni, Brunaccio e simili
non sono nomi di origine latina
(in latino “bruno” si dice “fuscus”)
l’etimo è di origine germanica
ovvero: BRUN
che i francesi traducono con “poli, brillant”.
“Brunacci” trattasi, quindi, di cognome derivante dal nome “Brunaccio”,
presente nell’uso italiano dall’epoca medioevale,
ma già esistente presso i Goti ed i Franchi.
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Prima di continuare con il terzo fratello Francesco, inserisco subito l’albero genealogico di questa Famiglia montenovese, che può essere utile per capirne meglio la posizione temporale di questi personaggi.

Albero genealogico dei Brunacci di Ostra Vetere

Si tratta di famiglia di orgini fiorentine Cav. Antonio Brunacci maiore
n. ca. 1542 o 1547 – 23.1.1622
sposa il 17.02.1597
Francesca Iambone
Cavaliere e Cittadino Romano
Laureato in ambo i diritti, fu amministratore delle offerte per la costruzione del Convento di S.Croce.
Ebbe 2 figli: Antonio jr. e Bernardino. Lo stemma di famiglia è composto da due gigli fiorentini in alto e da un “corvo” in basso.
Antonio jr
nasce il 19.1.1598,
sposa nel 1626 Diana Claudi di Montalboddo,
muore nel 1684. Anche Antonio jr. si laurea in ambo i diritti; nel 1620 porta a termine i lavori del Convento iniziati dal padre; compone tre libri dal titolo l´Economia Privata.
Bernardino
nasce l’8.10.1600,
muore nel 1672,
anch’egli si laurea
in diritto.
3 figli:  2 figli:
Don Pietro Paolo
18.11.1630 –19.7.1704 Pietro Paolo studia a Jesi e, poi, nel 1650 si recò a Roma sino al 1655; il 4.11.1655 si addottorava nella facoltà di diritto civile e canonico, filosofia, matematica e teologia nella città di Macerata; nel 1660, a Roma, ricevette gli ordini religiosi; dopo il lungo soggiorno romano tornò al paese natio; nel suo testamento, stilato il 24 dicembre 1682, chiese che non venisse tumulato nella ricca tomba di famiglia.
Sopravvive a tutti i suoi parenti e nomina suo erede la Famiglia Carsidoni di Montalboddo. Antonio III
muore nel 1697
legista et accademico
Gaudenzio
14.10.1631 –30.8.1669
 Gaudenzio nel 1641, a 10 anni, va a studiare ad Ancona; nel 1648 va a Roma, dove studia presso la facoltà medica della Sapienza e dove il 2 luglio 1653 si laurea in filosofia e medicina (anche il fratello Pietro Paolo si trovava a Roma); nel 1660 si reca a Venezia, dove per un decennio è al servizio della Repubblica Veneta e dove fu nominato Cavaliere di S. Marco; muore a Venezia il 30 agosto 1668 (o 30.9.1669). Mi dicono che i genitori gli misero nome Gaudenzio, perché ad Ostra, l’antica Montalbotto, patria natale della mamma, si festeggia S. Gaudenzio di Rimini il 14 ottobre, giorno della sua nascita. Claudio
si sposa il 21.4.1688
con Caterina Picini
muore il 29.3.1691
fu medico in Roma, historico, poeta, astronomo ed accademico.
Francesco
19.9.1640 – 6.11.1703 Francesco astronomo, filosofo, matematico, accademico in Roma, Ascoli, Camerino e Fermo.
dal 1657 al 1662 studia in Macerata, laureandosi in diritto civile e canonico; si trasferisce in Roma dove esercita la professione forense fino ad ottenere la carica di Consultore dei Riti; dall’anno 1675 al 1679 collabora alla redazione del “Giornale dei Letterati”, che si pubblicava a Roma; nell’anno 1699 fu Luogotenente dell’Arcivescovo di Fermo, mons. Cellese. Si sposò ma non ebbe figli.
Vi  è anche un altro membro di questa famiglia:
Giuliano Brunacci
il quale muore nel 1605 di “moschettata” in battaglia in Olanda, durante l’assedio di Ostenda.
Sarà un fratello o altro figlio di Antonio senior?
Come si vede dall’albero genealogico di questa Famiglia, a Montenovo essi vi sono stati soltanto 107 anni, calcolando dal momento del matrimonio di Antonio majore (1597) alla morte di Pietro Paolo, ultimo  dei tre fratelli. Hanno essi lasciato una traccia?
Di Gaudenzio abbiamo parlato, e la risposta non può essere che positiva, nonostante egli sia morto così giovane. Pietro Paolo è uno degli storici di Montenovo, che ad Ostra vetere tutti conoscono. Vediamo ora cosa ha fatto il terzo fratello, Francesco.
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FRANCESCO BRUNACCI
1640-1703
e Cristina di Svezia
Il padre di Francesco, Antonio junior è, dei componenti di questa famiglia, quello che vivrà più a lungo. Ben 86 anni!
Dopo 10 anni dalla nascita del suo secondo figlio Gaudenzio, Antonio jr si accorge di essere ancora giovane e forte e provvede ad un altro “bastone” per la sua vecchiaia: Francesco.
Il quale Francesco raccoglie subito il “testimone” dal fratello Gaudenzio, innamorandosi anche lui dell’astronomia.
Premetto subito che un suo lavoro si trova a Milano presso Palazzo Isimbardi, sede della Provincia. Trattasi del “Globo celeste”, di cui si parla in un articolo pubblicato il 4 ottobre 2006, sulla rivista “Orione” di astrofisica.
Riporto qui di seguito foto sia del “Globo” che dell’articolo:

Il globo a Milano di Francesco Brunacci
Laureatosi a Macerata, Francesco si trasferisce a Roma dove lavora come avvocato.
L’astronomia è la materia sua preferita, alla quale viene introdotto dagli studi del fratello Gaudenzio, da cui erediterà i suoi libri. Quando Gaudenzio muore, nel 1669, Francesco ha solo 29 anni e si è trasferito da poco a Roma.
Qui si fa subito valere per la sua cultura che spazia in campi molto diversi tra loro ed inizia a frequentare la società che conta. La società degli Arcadi lo accoglie nella sua associazione
Scopro che anche Francesco conosceva il Borelli.
Infatti, anche il Borelli (da Wikipedia) si era trasferito a Roma. Ambedue frequentarono Cristina di Svezia.
“Figlio di un soldato spagnolo di nome Miguel Alonso e della napoletana Laura Borelli, studiò a Roma dove fu allievo di Benedetto Castelli. Insegnò matematica prima a Messina nel 1649 e poi a Pisa nel 1656 dove fondò l’accademia degli investigandi. Nel 1674 si ritirò a Roma dove visse sotto la protezione di Cristina di Svezia e dove fondò nel 1677 l’Accademia dell’Esperienza consosciuta anche come Accademia di Fisica-Matematica. Sempre a Roma incontra Vitale Giordano di cui diventa amico.
Dal 1677 al 1679 insegnò matematica alle Scuole Pie di Roma.
L’opera più conosciuta del Borelli è il trattato De motu animalium (1680), uscito postumo, con il quale cercò di spiegare il movimento del corpo animale basato su principi meccanici, tentando di estendere all’ambito biologico il metodo di analisi geometrico-matematica elaborato da Galileo Galilei in ambito meccanico e per il quale si guadagnò il titolo di padre della biomeccanica.
Giovanni Alfonso Borelli, continuando i tentativi di Galileo sulla misurazione della velocità della luce, eseguì un geniale esperimento utilizzando un sistema di specchi riflettenti sulla distanza tra Firenze e Pistoia. Questo metodo fu poi ripreso dal francese Armand Hippolyte Fizeau che, nel 1849, riuscì a valutarla 283.000 km/s, molto vicino alla misura esatta.”
L’astronomia è la materia preferita di Francesco, alla quale venne introdotto dagli studi del fratello Gaudenzio, da cui erediterà i suoi libri. Quando Gaudenzio muore, nel 1669, Francesco ha solo 29 anni e si era trasferito da poco a Roma.
Qui si fa subito valere per la sua cultura che spazia in campi molto diversi tra loro ed inizia a frequentare la società che conta. La società degli Arcadi lo accoglie nella sua associazione
A Roma Francesco conosce Cristina Regina di Svezia e lo trovo citato nel libro “Cristina di Svezia, di Wilma di Palma, 1990”, dove leggo a pag.131: Il numero degli accademici non fu mai alto. Alla prima seduta dell’Accademia privata erano in otto. … l’astronomo Francesco Brunacci fu uno degli otto cofondatori della prima Accademia voluta a Roma dalla Regina Cristina di Svezia”.
Francesco viene qui citato come “astronomo” e non come avvocato.
La Wilma di Palma riporta alcune note con i nomi degli associati:
Nota n. 85:
Oltre al Ciampini ed al Toschi, Giovanni Lucic, Van der Poll, Francesco Serra, Francesco Brunacci, Bartolomeo Nappini, Tommaso Petrucci (Registro I, f. 10r).
Il numero crebbe nelle sedute successive. Nel marzo successivo, il totale dei partecipanti, a parte i visitatori occasionali, era salito a ventiquattro.
Nota 86
Agli otto già nominati si aggiunsero via via l’abate Guido Passionei, mons. Francesco M. Vettori, Gio. Alfonso Borelli, il p. Chapuis, Bartolomeo Arese, Giuseppe Teutonico, Francesco M. Onorati, Giuseppe Terzi, Francesco Eschinardi, Agostino Fabbri, Antonio e Giovanni M. Baldigiani, Matteo Campani, almeno due scolopi di s. Pantaleo, Carlo Giovanni Pirroni e Domenico Rossi.
Nota 87
In ordine alfabetico (esclusi, s’intende,i già nominati): Adrien Auzout, Giorgio Baglivi, Francesco Bianchini, Paolo Boccone, M.A. Cellio, V.M. Coronelli, Urbano Davisi, Raffaele Fabretti, Vitale Giordani, Stefano Gradi, Wilhelm Homberg, G.W. Leibniz, Ippolito Magnani, Carlo Malavista, Cornelis Meyer, Giovanni Milani, Francesco Minnniti, Antonio Oliva, F.M. Onofri, G.B. Pacichelli, Giuseppe D. Ponzi, Lucantonio Porzio, Domenico Quartironi, Antonio Scilla (?), C.A. Tortoni, Francesco M. Vanni.
Ho messo in grassetto, oltre al Borelli, anche Francesco Maria Onorati, perché si tratta di uno scienziato, e socio dell’associazione, con il quale Francesco Brunacci condivide una pubblicazione: “La sorte oraria, il vero oroscopo lunare”. In questo lavoro i due “scienziati”, nella ristampa della Coelestis Philosophia del 1675, si accorgono dell’inadeguatezza del metodo placidiano e ne propongono uno nuovo (metodo che ho riportato integralmente nel mio sito).
Nella nota 87, invece, ho messo in grassetto il Coronelli, perché nel 2007 l’Associazione internazionale VINCENZO CORONELLI fondata nel 1952 a Vienna cita nella sua rivista, con un articolo in inglese ed in francese, l’articolo che era stato appena pubblicato sulla rivista Orione (ottobre 2006) sul Globo celeste di Francesco Brunacci.
Si tratta di una testimonianza “troppo bella” e non posso fare a meno di riportarla qui di seguito.
Der Globusfreund 53/54 (2007, für 2005/2006)
Summaries / Resumés
Francesco Brunacci’s celestial globe
Lino Colombo und Federico Manzini
Summary
The aristocratic Isimbardi Palace in Milan, seat of the Province Administration, preserves two rare and antique globes of considerable size (Ø 70 cm), which have basically been ignored till now: a celestial sphere made in 1676 and a terrestrial sphere dated 1688, both manufactured in Rome in Giovanni Giacomo de Rossi’s renowned workshop. The two globes were first hand-drawn and then coloured, thus they represent two absolutely unique and unequalled pieces of art. The analysis of the cartouches enabled us to find information about their authors and their editor, whilst a careful study of the scientific contents, for the time being restricted to the celestial sphere, has rewarded us with interesting discoveries. The scientific author of the celestial globe was the Roman Francesco Brunacci, an almost unknown individual, studious of philosophy and mathematics as well as Arcadian poet with the pen name of Cursino Francobracci. This globe was actually drawn by Vincenzo Mariotti, a painter and engraver that was active in Rome at that time. The terrestrial sphere was instead outlined by the Dutch Giovanni L’Huillier, one of the best engravers of geographical maps operating in the Capital, who did the work from the maps drawn by the French geographer and editor Nicolas Sanson.
Résumé
Le Palais aristocratique Isimbardi à Milan, siège du Gouvernement de la Province, conserve deux globes rares et anciens de dimension respectable (Ø 70 cm), qui étaient restés ignorés jusqu’à ce jour: un globe céleste, réalisé en 1676 et un globe terrestre, daté de 1688, tous deux fabriqués dans l’atelier réputé de Giovanni Giacomo de Rossi à Rome. La carte-image a d’abord été peinte et ensuite été colorée. C’est pourquoi les deux globes sont des chefs-d’œuvre absolument uniques et inégalés. Une analyse des cartouches nous fournit des indications sur leurs auteurs et leurs éditeurs, tandis qu’un examen minutieux du contenu scientifique – limité dans cette étude au globe céleste – nous rapporte des connaissances intéressantes. Les bases scientifiques pour le globe céleste viennent du Romain Francesco Brunacci, un homme relativement inconnu, qui s’occupait de philosophie et de mathématique et qui composa des ouvres lyriques en tant que poète arcadien sous le pseudonyme Cursino Francobracci. La carte du globe fut peinte et calligraphiée par Vincenzo Mariotti qui exerçait à Rome à cette époque. Le globe terrestre qui allait avec fut créé par le Néerlandais Giovanni L’Huillier, l’un des meilleurs calligraphes de cartes de la ville qui utilisa comme modèles des cartes du géographe et éditeur français Nicolas Sanson.
Nello stesso sito leggo chi era Vincenzo Coronelli e lo scopo dell’Associazione:
Vor 300 Jahren fertigte Pater Vincenzo Coronelli Globen in allen Dimensionen, vom größten bis zum kleinsten. Er war auch der Begründer der “Academia Cosmografica degli Argonauti”, der ersten Geographischen Gesellschaft der Welt. Sein Name soll in der “Internationalen Coronelli-Gesellschaft für Globenkunde” (früher Coronelli-Weltbund der Globusfreunde”) weiterleben.
Das Ziel der Gesellschaft (scopo dell’Associazione)
Die Internationale Coronelli-Gesellschaft, gegründet 1952, hat sich zum Ziel gesetzt, Fragen auf dem Gebiet älterer und alter Erd- und Himmelsgloben, Armillarsphären und Planetarien wissenschaftlich zu erforschen und die Ergebnisse dieser Forschungen zu publizieren. Dazu gehören auch Themen, wie Inventarisierung, Pflege und Restaurierung, aber auch die Beschäftigung mit den Herstellern und Fragen der Verwendung der Globen. Randgebiete, z.B. altes Instrumentarium, das bei der Herstellung von Globuskarten zur Verwendung gelangte, werden ebenfalls behandelt. 46 Nummern der Zeitschrift “Der Globusfreund” sind bisher erschienen, 9 Symposien, besucht von Fachleuten und wissenschaftlich Interessierten aus vielen Ländern, wurden bisher veranstaltet. Die Interationale Coronlli-Gesellschaft ist die einzige ihrer Art und eine der ältesten auf dem Gebiet der Kartographiegeschichte.
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Rimango sorpreso quando trovo un articolo nel quale l’astronomo Francesco Brunacci fu citato dal prof. Claudio Cannistrà in un congresso di astrologia tenutosi a Barcellona.
Congreso de Astrología Barcelona 2002
I Forum Europeo sobre Astrología y Sociedad
II Edición del Premio “Gloria de Pubill” al mejor artículo publicado en MERCURIO-3 durante el año 2001
Barcelona, 6, 7 y 8 de diciembre 2002
Barcelona, el Encuentro
Claudio Cannistrà
Astrología en Italia:
Pasado y presente
La visión de la Astrología en Italia que nos planteó Claudio Cannistrà (consejero del CIDA Centro Italiano Di Astrologia desde 1990, secretario nacional de la misma asociación desde 1992, coordinador de la revista Linguaggio Astrale y miembro fundador de FAES) fue eminentemente histórica.
El autor se interesó  eccanicismo te, en su disertación,  por los aspectos históricos, clásicos y culturales de la Astrología italiana, empezando por destacar tres momentos críticos en su historia, según sus  eccani:
“El primero es sin duda la condena por parte de la Inquisición y la muerte en la hoguera de Cecco de Ascoli en 1327 en Florencia. El segundo es la publicación en 1494 de las “Disputationes Adversum Astrologiam Divinatricem” de Giovanni Pico della Mirándola, verdadero ataque contra las ideas y las teorías astrológicas, que favorecerá un acalorado debate durante mucho tiempo. El tercer momento está relacionado con dos acontecimientos próximos entre ellos: la censura de los libros de astrología el 4 de diciembre de 1563, seguido pocos años después por la bula papal de Sixto V el 5 de Enero de 1586, que prohibe la práctica astrológica. Este período marca la entrada de nuestra disciplina en una fase oscura, no sólo en Italia, sino en toda Europa”. Aunque, siguió diciendo, “alternados con estos hay también momentos de crecimiento y desarrollo. Por ejemplo, el 12 de julio de 1318, es una fecha muy significativa para la astrología en general y para la italiana en  eccanicis. En ese día Tadeo de Parma lleva a cabo un Comentario a la Teoría de los Planetas de Gerardo de Cremona dirigido a los estudiantes de medicina de la Universidad de Bolonia. Este tratado no es sólo una simple exposición de las teorías astronómicas, sino también una base para la práctica de la medicina astrológica. Su particularidad es la de contener una cuidada bibliografía de los textos astrológicos de la época (de Alfragano a Ma’sha’Allah, de Alcabizio a Sacrobosco), en la que, por primera vez son separadas las obras relativas a la “Astronomía de motibus” (la técnica astronómica) de las relativas a la “Astronomía de judiciis” (la interpretación astrológica).
Este episodio es sintomático del hecho que en aquel tiempo se está estableciendo una frontera entre la Astronomía como ciencia descriptiva, y la Astrología como aplicación práctica; esta última empieza a formar parte de las artes adivinatorias, algunas de las cuales están ya prohibidas por la Iglesia. Los textos indicados por Tadeo constituyen el núcleo de la “Scientia Judiciorum Stellarum” y son el origen, de alguna manera, de todos los presentes en nuestras actuales bibliotecas. Este episodio evidencia la progresiva separación entre astronomía y astrología”.
Cannistrà leyó toda su ponencia en un correcto castellano, idioma que domina casi a la perfección, y dio  eccani de su erudición efectuando un completo repaso a los personajes, los episodios fundamentales y la atmósfera existente en las principales ciudades de Italia, partiendo de Bolonia, donde se encuentra la Universidad más antigua de Europa (1088). En dicha Universidad, la enseñanza de la Astrología comenzó en el s. XII y alcanzó su máximo esplendor en el s. XV. Siguió diciendo Cannistrà: “Desde la primera mitad del siglo XIV, el titular de la Cátedra de Astrología tiene entre sus tareas también la de redactar cada año el “Judicium” y el “Tacuinus”; este deber está  eccanici definido en los Estatutos de la Universidad de Bolonia del año 1405.
El “Judicium” contiene las  eccanicis del año, sacadas de las observaciones sobre naciones, poblaciones, ciudades, individuos y destinadas a establecer también los días y meses más propicios para determinadas actividades.
El “Tacuinus” consiste en la descripción mensual del aspecto de los planetas y de sus fases, en la indicación de los días idóneos o nefastos para sacarse sangre y suministrar remedios contra las enfermedades.
Dicha práctica se conserva también cuando la astrología desaparece de la Universidad de Bolonia, puesto que, hasta finales de 1700 el titular de la Cátedra de Astronomía, aunque sin enseñar más nuestra disciplina, mantiene el deber de redactar el “Tacuinus”.
Por esta Universidad pasaron grandes astrólogos, como Luca Gaurico, Gerolamo Cardano, entre otros. Pero el que sobresaldrá de todos ellos es Guido Bonatti, que escribió, en 12 volúmenes, la monumental obra De Astronomía. Por su habilidad para indagar los astros, Dante Alighieri incluyó a Bonatti en la cuarta subdivisión del infierno, ocupada por los astrólogos, en su obra La Divina Comedia.
Otras ciudades, como Ferrara, Pádua y Florencia, también fueron importantes en el desarrollo astrológico de Italia. Pico della Mirándola se estableció en esta ciudad cuando le fue concedido el volver a Italia tras ser exiliado al presentar sus novecientas Tesis delante de un colegio de cardenales y profesores en 1487. El inquisidor Savonarola tuvo mucho que ver con todo ello, y a pesar de su  eccanici anti-astrológico, el interés por la Astrología creció a partir de 1500.
Tras repasar otros hitos astrológicos en la historia italiana, como las relaciones de los astrólogos con la corte papal de Roma en el s. XVI, C. Cannistrà hizo amplia mención de Francesco Giuntini, de Florencia, el más grande astrólogo italiano de dicho siglo. Mencionó tambien la gran influencia de los Médicis en los  ecca de Galileo Galilei y otros, como Placido Titi y sus alumnos, como Francesco Brunacci. Sin embargo, las doctrinas de Titi resuenan más en Inglaterra, el único país que sigue profesando públicamente la Astrología durante el  eccanicismo, más allá del mecanicismo del s. XVIII.
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Anche in Ostra Vetere, in occasione dell’anno internazionale dell’astronomia, lo storico locale Alberto Fiorani scrisse un articolo che nel finale citava proprio il nostro Francesco Brunacci: “L’Anno internazionale dell’Astronomia è stata convocato dall’UNESCO per ricordare l’invenzione del cannocchiale da parte di Galileo Galilei, avvenuta quattrocento anni fa. E noi a Ostra Vetere faremmo bene a celebrare l’attività scientifica, geografica e astronomica di un nostro grande concittadino, quel Francesco Brunacci (1640-1703), figlio del cavaliere Antonio e fratello dello storico don Pietro Paolo Brunacci e del medico e scienziato Gaudenzio, che fu matematico, geografo e astronomo insigne, autore di quel Globo Celeste in cui si può osservare la volta del cielo da lui disegnata.”
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COGITO, ERGO SUM!
Scusate questa “risposta” alla domanda “siamo sicuri di esistere?”
Domanda alla quale hanno sempre cercato di rispondere i grandi filosofi.
René Descartes, immolatosi alla Regina Cristina di Svezia, causa polmonite, fu l’autore di questa risposta in latino: “penso, dunque esisto!”.
Descartes, ovvero meglio noto come Cartesio dalle nostre parti, era contemporaneo di Francesco, ma solo per 10 anni. Infatti Cartesio morì a Stoccolma nel 1650, mentre Francesco era nato solo 10 anni prima e viveva ancora a Montenovo.
Del perchè ho fatto questa entrata a gamba tesa con Cartesio?
Perchè si sperava di aver trovato un quadro dove fosse raffigurato Francesco Brunacci.
Trattasi di un quadro molto famoso, dove è ritratta la Regina di Svezia insieme a Cartesio e ad altri personaggi.
Sarebbe stato uno scoop sensazionale! Poi, però, un più attento esame alle date di Cartesio e di Francesco hanno fatto cadere questa ipotesi. Peccato!
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SONETTO DI FRANCESCO IN ONORE DELLA REGINA DI SVEZIA
Comunque, un giorno Cristina di Svezia arriva a Roma (il 20 dicembre 1655), dove anche Francesco Brunacci farà parte della sua corte. L’arrivo a Roma della Regina verrà salutato dai romani con molto entusiamo, ma in quel periodo Francesco studiava ancora a Macerata.
Nel 1623 Cristina scelse di insediarsi nel bel Palazzo Riario alla Lungara (oggi Palazzo Corsini), il cui grande parco (sede al 2011 dell’Orto botanico di Roma) saliva fino in cima al Gianicolo.
Qui Cristina, che non aveva mai rinunciato al titolo di regina, installò la sua piccola corte, e di palazzo Riario fece la base di intrighi, viaggi diplomatici, feste e avventure galanti – ma anche di vaste relazioni intellettuali (culminate nel 1674 nella creazione dell’Accademia Reale – che fu l’origine dell’Arcadia – a cui si aggiunse un’Accademia di Fisica, Storia naturale e Matematica).
Qui Francesco, nel frattempo giunto a Roma, dopo essersi laureato nel 1622 a Macerata, conobbe e fu accolto benevolmente da Cristina, alla quale dedicò un sonetto che ho ritrovato recentemente.
Infatti, scopertane l’esistenza, ne feci richiesta all’Associazione dell’Arcadia, presso la Biblioteca Angelica nei pressi di Piazza Navona.
Avevo dubbi nel suo ritrovamento, ma, con mia grande sorpresa, la risposta fu positiva.
Non solo, … la dr.ssa Giovanna Rak, che qui cordialmente ringrazio, mi fece il gradito regalo di trascriverlo, aggiungendo anche altre utili informazioni.
Riporto qui di seguito, quindi, la gentile risposta della dr.ssa Giovanna Rak con il sonetto di Francesco da lei gentilmente trascritto:
“ho scorso l’inventario dei manoscritti dell’Arcadia e ho trovato il sonetto che desiderava conoscere, l’unico scritto di Francesco Brunacci nell’archivio.
Si trova nel volume 4 dei Manoscritti, alla carta 216r. Glielo trascrivo: sul margine del foglio, in alto a sinistra, con inchiostro più scuro del testo, è scritto “Originale” e in basso a sinistra, prima della firma di Brunacci, con lo stesso inchiostro scuro, una sigla o firma incomprensibile.

Per Basilissa
.
Lasso, che il tempio di Diana adorno,
E gli alti muri tra virgulti spenti,
Tacer io veggio, e rustico soggiorno
Farsi d’Augelli, e di silvestri armenti.
.
Pur con la forza de la mente un giorno,
Ivi vagando à passi gravi, e lenti
L’ergea di novo, e gli stendea d’intorno
Archi, e Colonne, e mistici ornamenti.
.
Ma mentre pien di zelo, e di rispetto,
Alzo la statua, e l’incorono, ed empio
Di sacri fumi le Pareti, e il Tetto,
.
D’un alma Dea mi s’offerì l’esempio.
Era Christina! et al divino aspetto
Sparvero l’ombre, il Simulacro, e il tempio.

In fondo la firma: “Francesco Brunacci d.o [= detto] Icasto di Nonatio” (?).
Il tratto di Nonatio è trascinato e non è ben leggibile. In realtà è Nonacrino, come è indicato nell’opera Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon (Roma 1977), di A.M. Giorgetti Vichi, che trae il nome dai registri cronologici in cui gli Arcadi venivano elencati al momento della loro nomina.
La registrazione nell’Onomasticon è la seguente. “Icasto Nonacrino-Francesco Brunacci da Montenuovo. Crescimbeni 1691; 1°, 41″.
Ciò significa che Brunacci fu eletto Arcade nel 1691 sotto la Custodia di Crescimbeni ed è registrato col n. 41 nel primo volume dei Registri degli Arcadi. Fu insomma uno dei primissimi  soci dell’Accademia.
E’ possibile che il suo nome ricorra anche negli Atti degli Arcadi, i resoconti delle loro adunanze, forse a proposito di qualche pubblica lettura, ma si tratta di scorrere molte pagine manoscritte e mi sarebbe impossibile farlo al momento.
Le segnalo che i volumi degli Atti sono a disposizione degli utenti della Biblioteca Angelica, quindi se si trovasse a Roma potrebbe consultarli personalmente.
Sperando di averle dato le informazioni desiderate la saluto cordialmente
Per la segreteria dell’Arcadia
Giovanna Rak”
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Utili informazioni per ulteriori ricerche su Francesco, come lo potrebbero essere quelle su Gaudenzio se si riuscisse a rintracciare la corrispondenza della Barbara Strozzi.
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BIOGRAFIA SUGLI ARCADI MORTI
Chiudo la ricerca su Francesco pubblicando e commentando una biografia particolare, qualla sugli Arcadi morti, nella quale si intravedono le qualità di Francesco Brunacci, ma anche il carattere. Un “severo” carattere! Insomma un perfetto uomo di cultura.
Nel 1721 viene, appunto, pubblicato un libro in memoria degli ARCADI MORTI, tra i quali troviamo il nostro Francesco.
NOTIZIE ISTORICHE DEGLI ARCADI MORTI
TOMO TERZO, 1721, PAG. 47
FRANCESCO BRUNACCI.
Francesco Brunacci da Montenuovo nella Marca d’Ancona, fu uno de’ più profondi Filosofi, che nel passato secolo fiorissero in Roma, ove egli passò la maggior parte della sua vita.

Colla suddetta scienza possedè anche in grado eccellente la Matematica, e l’Astronomia; per le quali cose godè spezialissimo luogo, non pure nel!’Accademia Fisicomatematica, che era in quel tempo aperta in casa del rinomato Monsignor Gio. Giustino Ciampini; ma in ogni altra conversazione letteraria: delle quali allora Roma abbondava.

Dilettòssi altresì degli studj ameni, e particolarmente della Volgar Poesia, ed alcun parto del suo ingegno di questo genere si conserva nel Serbatoio d’Arcadia, alla quale fu annoverato nel primo anno della fondazione, cioè nel 1691 col nome d’Icasto Nonacrjno.

Nel famoso Giuoco del Sibillone da me descritto altrove parlando di Domenico Trosi, in casa di cui si faceva, il Brunacci era uno de’ migliori Interpetri, che vi facessero pompa del lor sapere; e per verità le più ingegnose, e profonde interpetrazioni, che vi si ascoltavano, erano quelle, che uscivano dal suo felicissimo ingegno.

Di lui non sappiamo, che sia in istampa altro, che alcune osservazioni Astronomiche, fatte sotto il finto nome di Cursino Francobracci, insieme con Francesco Maria Onorati, ed altre con Marco Antonio Cellio: di tutte le quali si dà notizia nella Vita di detto Monsig. Ciampini tra quelle degli Arcadi Illustri (Tom. 2. pag. 216).

Fu altresì non poco inteso de’ fatti della Repubblica Letteraria, perloché lo stesso Ciampini anche della sua opera si valse nella compilazione del Giornale de’ Letterati, da lui promosso in Roma, massimamente dall’anno 1675, come si dice nella citata Vita pag. 208.

Finalmente quantunque fosse d’apparenza severissimo, e pensieroso; nondimeno nel conversare si allegrava, e riusciva grazioso, ed ameno.

Oltre a Monsig. Ciampini, fu suo intimo amico altresì il celebre Monsig. Vettori, il quale si valeva anche di lui per aiuto ne’ suoi studj non pur filosofici, ma anche legali, che a lui non erano ignoti, essendosi parimente esercitato, non poco nella pratica della Curia Romana.

Morì questo chiaro Letterato in Patria, ove s’era ritirato nella sua vecchiezza, qualche anno prima del 1710 che a’ 10 d’Agosto ne giunse la novella in Arcadia.
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IL GIOCO DEL SIBILLONE

Pensavo di aver finito, ma questo “gioco del sibillone”, come metro per giudicare il grado di cultura e reattività dei partecipanti, meritava una ricerca e chi meglio dell’Accademia della Crusca poteva spiegarcelo?
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ACCADEMICI
D I
ANTON MARIA SALVINI
GENTILUOMO FIORENTINO
Lettore di Lettere Greche nello Studio di Firenze
e Accademico della Crusca.
Sopra alcuni dubbi proposti nell’Accademia degli Apatisti
TOMO SECONDO.
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VENEZIA,
APPRESSO ANGELO PASINELLI.
In Merceria all’Insegna della Scienza
CON LICENZA DE’ SUPERIORI , E PRIVILEGIO.
MDCCXXXV
1735
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Sopra il giuoco del Sibillone
(pag. 415)
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Io non posso mai ripensare senza tenerezza insieme, e venerazione dell’animo mio a quel buon vecchio institutore chiarissimo di questa famosa Accademia, la quale, ancorché possegga un titolo severo, qual si converrebbe alla Stoica Scuola, d’Apatisti, o vogliam dire di uomini senza passione, pure è la fede delle amenità, delle gentilezze, e delle grazie più fiorite, che l’eloquenza, e la poesia porgere ci possano.
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Molti begli usi egli pose per far risplendere, e vivere questa Accademia, che egli decorò ancora del nome d’Università; poiché non volle, che sterili talora, e infruttuosi versi semplicemente vi germogliassero, ma maturi , e sensati discorsi in ogni arte ben nata, ed in ogni più ragguardevole facoltade, e scienza.
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Il proporre quistioni d’ogni ragione da chi regge il supremo carico d’Apatista, e lo sciogliersene da chicchessia gl’intrigati nodi per tutto l’anno continuamente, non è certo impresa da pigliare a gabbo, ma capace d’infinite, erudite, e dotte riflessioni, e campo amplissimo, e giocondissimo, per lo quale i virtuosi, e spiritosi ingegni possano tuttora spaziare, e esercitarsi, dopo le quali considerazioni, che non poco contribuirono all’aumento del sapere, e a perfezionare il giudicio, una varia, e vaga, ed utile ancora ricreazione s’appressa di poetici componimenti, a’ quali per avventura si sente tratta, e più naturalmente commossa, ed inspirata la giovane età, vigorosa, ingegnosa, e al poetico furore acconcissima.
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Ma perché le serie prose, e le studiate rime, cotanto qui frequentate, qualche più sensibile , e vivo atteggiamento avessero, e gli accademici nostri continuati esercizj non mancassero di qualche giocondo, e dilettevole frammesso, che col diletto insieme mescolata alcuna utilità ne porgesse, inventò ne’ tempi carnovaleschi un ingegnoso erudito giuoco, nel quale sollazzevolmente l’Accademia tutta passando il tempo, dalla noja, e dal rincrescimento, che contrarre si puote dalle troppo oltre spinte fatiche, si ristorasse.
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I nostri antichi, seguendo l’uso de’ Saturnali, ne’ quali giorni l’aurea semplicità del regno di Saturno con una innocente libertà si rinnovellava, una particella dell’anno, appunto in quel tempo, ch’egli comparisse più nuvoloso, e mesto, allo scherzo. al genio, al passatempo, per così dir, consacrarono, sapendo guanto maldurevole sia, e poco opportuna una ostinata attenzione al serio, ed al lavoro, e per esperienza conoscendo, come l’animo umano, dando una breve sosta alle fatiche, si rifaccia, e si consoli; i nostri Apatisti non ebbero l’animo armato di così rigida tempra, che la comune usanza in qualche parte non seguitassero, ne alcuna rimessione degli studj, e onesta rilassatezza ammettessero.
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A quello oggetto , come agevolmente si ravvisa, fu nesso in campo il piacevol giuoco del Sibillone, nel quale è lecito a ognuno l’interrogare il fanciullo, che fa da Sibilla, e secondo la risposta brevissima d’una sola parola, gettata in mezzo, come un oracolo, e quasi forte divina, gl’interpreti a ciò destinati, materia hanno larghissima, e fecondissima di far pompa de loro ingegni nell’acutamente indovinare la mente dell’oracolo, e dicifrarne i misterj; il quale cose dice preziosissime, e quel che é mirabile, sotto la vile scorza di basse, e comuni voci rinvolte.
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Grande sagacità ci vuole alla tenue traccia d’una parola andare subodorando, e cacciando la verità, traendola per sino dalla sua tana, che più bella preda all’umano ingegno esser non puote.
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Ha da trovare l’interprete, colto in un subito da nuova, e strana , ed inaspettata risposta, tra cose dissimili la similitudine, tralle sproporzionate la convenienza, e tralle distaccatissime, e lontane tra loro, l’attaccamento, e la vicinanza; la quale operazione più volte fatta, ammaestra il pensiero, ed addestra a concepire poetiche immagini, a legare, ed unire le cose per formare il bello, e’l maraviglioso de’ componimenti.
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Tre cose dee insieme accordare, e fare, che l’una all’altra corrispondentemente consuoni: il dubbio dell’interrogante, la risposta oscura del sapientissimo Oracolo, e la dichiarazione di quella.
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Lo scioglimento ha da aggiustarsi sulla dubitazione e da una sola voce trarsi fuora, e ciò che da Livio, grande autore della romana storia, d’un valente capitano fu detto; ch’egli era solito oblata casu fledere ad consilium, si può dire dell’accorto, e giudicioso interpetre dell’Apatistica Sibilla, che quella nuda parola, che, a caso dalla Sibilla pronunziata, gli si presenta, trae a mistero, e falla giocare in suo prò a seconda de’ lumi suoi
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Ho letto anche che in questo gioco le liti erano però frequenti, con accuse reciproche di trarre volontariamente in inganno l’interrogante, con l’intento di fargli fare brutta figura.
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In questo gioco, quindi, il giudizio su Francesco Brunacci dato dai suoi colleghi arcadi fu che gli riconoscevano una netta superiorità intellettuale:
il Brunacci era uno de’ migliori Interpetri, che vi facessero pompa del lor sapere; e per verità le più ingegnose, e profonde interpetrazioni, che vi si ascoltavano, erano quelle, che uscivano dal suo felicissimo ingegno.”
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Detto questo, concludiamo con Francesco che “morì questo chiaro Letterato in Patria, ove s’era ritirato nella sua vecchiezza.”
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Nel 1703 muore Francesco e nel 1703 nasce l’ultimo Brunacci pisano: Anna Rosa Violante Brunacci, figlia di Alessandro Brunacci e battezzata il 13 maggio 1703, la quale sposa nel 1720 Giuseppe Maria Mastiani nato il 7 maggio 1692 e figlio della zia Ottavia Brunacci e di Martino Gaetano Mastiani, dando inizio con questo matrimonio alla Casata MASTIANI-BRUNACCI, il cui stemma si trova tutt’ora sulla facciata di Palazzo Brunacci a Pisa.
Di questa nuova “casata, massimo rappresentante fu, come ho scritto precedentemente, la “bella Elena”, il cui salotto fu frequentato non solo da Leopardi, ma dalle sorelle di Napoleone ed anche dal nonno del grande giornalista Montanelli.
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IL TESTAMENTO DI PIETRO PAOLO
Qui, in Patria, ovvero a Montenovo, Francesco morì nel 1703.
Un solo anno dopo, lo seguì l’ultimo fratello, Pietro Paolo, ultimo anche della sua stirpe.
Come dissi all’inizio, Pietro Paolo lo abbinerei alla sua profonda religiosità e spiritualità.
Il suo testamento ce ne da una prova:
“Io Pietro-Paolo Brunacci da Montenovo, Prete Secolare, eleggo per mia sepoltura (separata che sarà l’anima dal corpo) il luogo della Chiesa e Convento de’ Padri Osservanti-Riformati del P. S. Francesco, dimandando per carità al R.P. Guardiano pro tempore, e per amor di Dio, il più lacero abito ch’egli abbia in convento, e con detto abito esser vestito a carne nuda, e poi seppellito, non nella sepoltura di casa mia, ma nel più infimo luogo della detta Chiesa di S. Croce, a mano sinistra all’entrar dalla porta.
Intendo poi che al mio cadavere non sia fatto catafalco, ma posato sul cataletto in terra senza panni d’ornamento, libri, calici, ed altre pompe funebri, positivamente come il più infimo ed il più povero uomo di questo mondo.
Di più intendo che il mio cadavere sia direttamente portato o al deposito nella Chiesa di S. Maria di Piazza, o alla detta Chiesa di S. Croce conforme ai decreti della Sacra Congregazione.
Intendo ancora che non sia accompagnato detto mio corpo da altri che dal mio parroco, senza invito di confraternite ed altri accompagnamenti, più dovuti a processioni divote che ad un miserabile peccatore.
Il suono delle campane sia fatto come per il più infimo e basso cadavere della santa Chiesa Romana.
Così le spese nelle cere e lumi, canti e simili pompe, convenienti all’onor di Dio e de’Santi, affatto si lascino.
Intendo inoltre che i miei congiunti non abbiano a vestir in verun conto di corruccio, ma facciano conto esser mancato al mondo un uomo che non era degno di star nel mondo.
Insomma intendo che non mi si faccia onore alcuno anche a riguardo d’esser io sacerdote, essendo vissuto sempre come indegno del sacerdozio.
Addì 24 Decembre 1682.
In Montenovo”
Il nostro D. Pietro
Un testamento che non ha bisogno di commento.
Vi è, però, un accenno alla tomba di Famiglia: non nella sepoltura di casa mia.
La Chiesa di S. Croce è stata più volte restaurata e rifatto anche il pavimento.
Non vi è più alcun indizio di dove la tomba si trovi.
Eppure, ne sono convinto, è ancora lì!
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APPENDICE

La seguente biografia su Pietro Paolo mi fu inviata da Pietro Brunacci di Filottrano, insieme al contatto con la sig.ra Cinzia Cipollini, impiegata presso il Comune di Ostra Vetere, la quale in breve tempo mi inviò tante altre informazioni, comprese le biografie dei tre fratelli Brunacci pubblicate dal prof. Lipani nell’Elenco dei Montenovesi illustri nelle arti, lettere e scienze.
Biografia di
Don Pietro Paolo Brunacci
18.11.1630 –19.7.1704
“Figura di elevato grado di cultura, scienza e pietà, è il Sacerdote Don Pietro Paolo Brunacci, terziario francescano, nato in Ostra Vetere tra il 1620 – 1630.
I suoi genitori Antonio e Diana Claudi appartenevano alla rispettabile nobiltà del paese. L’intera casa Brunacci, per tradizione, disponibilità finanziaria, preparazione culturale, emergeva notoriamente sulle altre famiglie del luogo, godendo stima e fama presso ogni ceto.
Il nonno di Don Pietro Paolo, pure di nome Antonio, come suo padre, laureato in ambo i diritti, fu per molto tempo amministratore delle offerte per la costruzione del Convento e della Chiesa di S.Croce. Passò poi tale ufficio a suo figlio Antonio, persona assai preparata (era anche lui laureato in ambi i diritti), che ebbe la gioia di vedere ultimati i lavori del Convento e della chiesa nel 1620.
Un fratello di Pier Paolo, Gaudenzio, fu per un decennio al servizio della Repubblica Veneta, scrisse varie opere sacre e profane, tra cui la storia delle guerre di Creta contro i Turchi e altre ne iniziò senza portarle a termine, perché colpito da morte prematura all’età di 36 anni. I suoi genitori ne vollero ricordare la memoria con vistosa lapide funebre che oggi è stata collocata nel Chiostro (del Convento di S.Croce).
Pier Paolo, oltre all’esercizio del Sacro Ministero Sacerdotale, proseguendo le nobili tradizioni familiari, fu uno studioso e scrisse molto, in tempo di sua vita. Si conservano tutt’oggi numerosi manoscritti, raccolti in 4 volumi, interessantissimi per la scuola locale.
Non risulta che abbia dato alle stampe opere di consistente valore.
Zelante del culto divino, si prestava volentieri per servizio in tutte le chiese, anche senza essere richiesto, pur non avendone nessun obbligo per ufficio o beneficio. Ricco di eccezionali doti di intelligenza e di cultura, non ne menava vanto, aveva anzi bassissimo concetto di sé. Per cui, senza ombra di esagerazione, si può ritenere che l’umiltà fosse in lui, insieme al distacco dalle cose terrene, la virtù di maggiore spicco. Dal suo testamento, stilato il 24 dicembre 1682, si ha chiara percezione di quanto fossero in lui radicate le virtù cristiane e sacerdotali. Scelta per sepoltura la chiesa di S.Croce domandò che la sua tomba fosse non quella di famiglia, troppo nobile, ma la più povera come pure chiese alla carità del Padre Guardiano l’abito più logoro per ricoprire il suo cadavere. Né pompa di ceri, suono di campane, sfoggio di Confraternite, come si costumava per persone di riguardo, ma semplice presenza del suo parroco lungo il trasporto.
Così i suoi congiunti non dovevano vestire di lutto, ma considerare che era venuto meno uno che non era degno di stare a questo mondo.
La sua ricca biblioteca la passò al Convento di PP. Riformati e presso di essi rimase fino alle leggi eversive della soppressione. La sua morte avvenne circa il 1700.
(da “I frati minori in Ostra Vetere e il Santuario di S.Pasquale” di Padre Pietro Bussolotti)
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La signora Cinzia Cipollini mi inviò anche un primo albero genealogico della famiglia Brunacci, che era riuscita a ricostruire dal manoscritto di Pietro Paolo:

“Il Cavalier Antonio Brunacci maiore dovrebbe essere arrivato a Montenovo verso la fine del `500.
Ha avuto almeno due figli: Antonio e Bernardino, entrambi avvocati.
Antonio juniore ha sposato nel 1626 Diana Claudi di Montalboddo (ora Ostra).
Ha avuto tre figli maschi Pietro Paolo, Gaudenzio e Francesco.
Bernardino credo abbia avuto anche lui dei figli: quasi sicuramente Antonio Brunacci III e forse anche Claudio Brunacci.
Nei suoi manoscritti Pietro Paolo ogni tanto scrive qualcosa che riguarda la sua famiglia:
Nel 1669 settembre 30 in Venetia Gaudenzio Brunacci Cavaliere di S. Marco passò ad
altra vita di febbre: stampò dieci opere diverse di belle lettere, historia, astronomia e
medicina, et havendo dato principio alla Catastrofe dell´Impero di Trebisonda, et al Teatru
Magnum Medicine: fato cocidit intempestivo”.
Nel 1672 Bernardino Brunacci juris adulto: fece molti Governi con lode integrità
singolare: testimoni i suoi numerosi scritti e mancò in quest´anno”.
Nel 1684 morì il Cavalier Antonio Brunacci di sommo credito nella Provincia e sue
Congregazioni: compose tre libri ad titolo l´Economia Privata”.
Nel 1691 lì 29 marzo: Claudio Brunacci, medico in Roma, historico, Poeta, Astronomo,
Accademico fermò il corso della sua vita (l´opere si conservano in casa Brunacci)”.
Nel 1697 Antonio Brunacci 3° legista et Accademico ne governi pubblici e maneggi
cedette alla caducità”.
Nel 1703 il 6 novembre Francesco Brunacci filosofo, matematico, accademico in Roma
diede di se gran saggia in diversi auditorati particolarmente in quello d´Ascoli e confini del
Regno nella parte di Conversano, servendo Mons. Conti, a ciò spedito da N.S., stampò
diverse opere, e Rami di Geografia e Sistemi di pianeti e fu impegnato in affari
rilevantissimi dalla Congregazione dell´Indice e fu parimenti in Camerino e Fermo in
qualità di auditore che dopo ritornato a casa …. e morì di …….. con dolore di tutta la
patria” ed infine:
“Nel 1600 Giuliano Brunacci Capitano esperimentato nelle Guerre di Fiandra per lo re di
Spagna lo servì. Sotto il generalato del Marchese Spinola Genovese, et altri comandanti, e
nell´assedio della Piazza d´Ostenda vi restò morto di moschettata qual fortezza in mano
degl´eretici olandesi si rese del 1605 al detto Marchese Spinola”.

Le tre biografie scritte da Fabrizio Lipani:

Brunacci Pietro Paolo
18.11.1630-19.7.1704
Nacque a Montenovo il 18 novembre 1630 da Antonio Brunacci e Diana Claudi di Montalboddo, oggi Ostra. Apprese i primi elementi di grammatica e retorica nel paese natale e in Jesi.
Nell’anno 1650 si recava a Roma per proseguire gli studi di filosofia, matematica e teologia, trattenendosi sino al 1655, data in cui fece ritorno al luogo di origine per fondarvi l’Accademia detta dei “Rinnovati”, avente per impresa il baco da seta e il motto “A miglior vita aspiro”.
Il 4.11.1655 si addottorava nella facoltà di diritto civile e canonico, filosofia, matematica e teologia nella città di Macerata. Fu uomo colto ed enciclopedico, come voleva il suo tempo, interessandosi di storia, archeologia, numismatica, lingue antiche e moderne, pittura, architettura e geografia.
Ricevette gli ordini religiosi nel 1660 a Roma e fu ammesso a frequentare l’accademia fisico-matematica di Mons. Ciampini, rimanendo in contatto epistolare con l’illustre matematico amche al suo ritorno in Monte Novo.
Pubblicò anonimo in questo periodo un suo “Discorso fisico-matematico sopra la cometa nuovamente apparsa del 1680 nel mese di novembre e dicembre, e del 1681 nel mese di gennajo”.
Dopo il lungo soggiorno romano tornò al paese natìo dedicandosi ai molteplici suoi interessi e ad un’opera storiografica che doveva riguardare tutta la marca d’Ancona, raccogliendo anche copioso materiale cartografico.
Si accinse inoltre a compilare la storia dei luoghi natali, dall’antica città di Ostra sino a Monte Novo dei suoi tempi. Tale opera, con tutti gli errori e le limitazioni della cultura storiografica del tempo, rimane tuttavia fondamentale ed unica per ogni studio di carattere locale.
Moriva a Monte Nuovo il 19.7.1704, lasciando la sua ricca raccolta antiquaria alla famiglia Carsidoni di Montalboddo ed una notevole biblioteca ai PP: Minori Osservanti Riformati del suo paese che, unitamente ai manoscritti del Brunacci, ancora conservavano alla fine del Settecento.
Tra cui:
– Sei volumi in folio di piante corografiche e cartografiche di città e terre della Marca d’Ancona insieme a notizie di archeologia e di varie antichità.
– Un volume di orazioni sacre, poesie italiane e latine composte dall’autore e da altri accademici locali.
– Varie dissertazioni sulla scienza delle longitudini, disegni di prospettive, tavole di equazioni corrette con le tavole del sole, della luna e dei satelliti.
– “Historia di Ostra e Monte Nuovo”, due volumi in quarto grande.
– “Annali di Maria Vergine Santissima”, due volumi in folio.
– “L’Italia distrutta e liberata”, poema dedicato a Maria Santissima.
BIBLIOGRAFIA
F.Vecchietti-T.Moro, Biblioteca Picena, III, Osimo, 1793, pp. 88-91.
Brunacci Gaudenzio
14.10.1631- 30.8.1669
Nacque a Montenovo nelle Marche, oggi Ostra Vetere, il 14 ottobre 1631 da Antonio e Diana Claudi di Montalboddo. Verso i dieci anni di età il padre lo inviò ad Ancona per studiare con un rinomato precettore, il padre Carmelitano Natali. Qui compì studi letterari e filosofici, recandosi poi nel 1648 a Roma, dove studiò presso la facoltà medica della Sapienza per cinque anni.
Compiuta la pratica clinica nell’ospedale di S.Spirito, si laureò in filosofia e medicina il 2 luglio 1653.
Non è chiaro se dopo questa data rimase a Roma, dove si trovava anche il fratello Pietro Paolo, o tornò al paese natale.
Di propria iniziativa, o perché chiamato da qualche conoscente, attorno al 1660 si recò a Venezia, dove prese a esercitare la professione medica. Strinse subito saldi contatti con i circoli colti della città, come appare dagli scritti che presto inziò a pubblicare.
Nel 1661 apparve a Venezia il romanzo la Sofonisba, o vero le vicende del Fato, in cui il Brunacci seguiva il modello, allora usuale, del romanzo a sfondo morale di cui era principale esponente nel Veneto il Loredano. Questa filiazione culturale è avvalorata dalla Vita di Gian Francesco Loredano, senatore veneto, che il Brunacci pubblicò l’anno successivo a Venezia.
Nella produzione del Brunacci gli interessi scientifici e storici si uniscono strettamente con quelli letterari.
Già nel 1661 pubblicò, sempre a Venezia, il De China China, seu polvere ad febres, syntagma physiologicum, che dibatteva il problema, allora assai vivo e discusso anche dal Redi, dell’utilità terapeutica del chinino.
Nel 1665 intervenne nella discussione sulla cometa apparsa l’anno precedente, con lo scritto De pseudostella, seu Cometa … disquisitio astrologica e con il Discorso apologetico sopra la Cometa, apparsa nel mese di aprile l’anno corrente 1664.
Di quello stesso anno è un’altra operetta apparsa a Lione, La sferza degli alchimisti. Nei quattro capitoli che la compongono il Brunacci tenta di mostrare su basi storiche e teoriche (aderendo alle posizioni dei paracelsiani) l’inconsistenza delle pratiche e degli scritti alchimistici.
L’attività storica, iniziata già nel 1662 con la pubblicazione a Venezia di Scipione Africano il Maggiore, cui farà seguito nel 1665 una Vita di S.Gaudenzio martire, vescovo di Rimini, comprende alcuni dei numerosi scritti inediti.
Il corpo dei manoscritti del Brunacci, rimasti ai padri minori di Monte Nuovo che li conservavano ancora alla fine del settecento, comprendeva infatti, oltre a varie opere scientifiche quali il Theatrum magnum medicinae, la trutina ed i mirabilia magna de astrologis, somniis, meteoris, anche una Vita del signor cardinal Mazzarino ed una Storia dell’impero di Trabisonda, che secondo l’Arbettazzi si inseriva nel ricco filone di “historie favoleggiate” o tragiche.
Per tale attività il Senato veneto gli conferì l’incarico di scrivere la storia della guerra turco-veneziana per Creta, assegnandogli uno stipendio mensile.
Il lavoro rimase però interrotto per la prematura morte del Brunacci.
Il carattere moraleggiante della produzione letteraria del Brunacci è dimostrato anche da due altre opere inedite: Il Diogene, o sia il Compendio della virtù, e il trattatello Politica, seu de modo se regendi in rerum orbe.
La produzione letteraria edita del Brunacci comprende ancora L’Iride, relazione panegirica nella solenne ambasciata del sig. marchese Odoardo Valenti Gonzaga (Venezia 1663), I vaticini d’Euterpe alle glorie dell’illustre signor Ottavio Labia, nobile veneto (1966) e l’ode Nella nascita augustissima del primogenito di Leopoldo I e Margherita d’Austria imperatori gloriosissimi (Venezia 1667).
Inedite rimasero un’azione drammatica, Il ratto delle Sabine, per le nozze del duca di Brunswick, un melodramma, La Didone, una commedia in tre atti priva di titolo e poesie diverse.
Un suo sonetto fu inserito dall’Artale nel volume primo dell’Enciclopedia poetica (Napoli 1679).
Tra gli scritti inediti vanno anche menzionati Il portalettere di cui si ignora il contenuto, due volumi di lettere ed uno di discorsi accademici.
Il Brunacci morì a Venezia il 30 agosto 1669.
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L’Astronomo Francesco Brunacci
19.09.1640 – 06.11.1703

Nacque a Monte Novo il 19 settembre 1640, fratello di Gaudenzio e Pietro Paolo.
Condotti i primissimi studi nella patria di origine, li proseguì dal 1657 al 1662 in Macerata, laureandosi in diritto civile e canonico.
Trasferitosi in Roma, esercitò la professione forense fino ad ottenere la carica di Consultore dei Riti, essendo stato scelto, in precedenza, diverse volte per dirimere controversie tra i più ragguardevoli personaggi del tempo..
Fu uditore di diversi alti prelati e apprezzato sopra tutti dal Cardinal Vettori per le sue conoscenze giuridiche, filosofiche e matematiche.
Fu aggregato all’accademia fisico-matematica di Mons. Ciampini con il nome di “Icasto Nonacrino”.
Collaborò alla redazione del “Giornale dei Letterati”, che si pubblicava a Roma, dall’anno 1675 al 1679.
Nell’anno 1699 fu Luogotenente dell’Arcivescovo di Fermo, mons. Cellese.
Si sposò di mala voglia, costrettovi dalla prematura morte del fratello Gaudenzio, per non lasciare estinguere il suo nome, ma non ebbe figli.
L’Arcadia, in due opere, pubblicò un panegirico in sua lode (Notizie istoriche degli Arcadi morti, III, p. 46 e Vite degli Arcadi illustri, II, p. 216).
POSTFAZIONE
Nel 1704, come già detto, si estingue la Famiglia Brunacci di Montenovo.
Ma, in altri luoghi, la stessa famiglia darà, per altri due secoli, altri personaggi illustri.
Ricordiamo:
– La ricchissima Famiglia Brunacci-Mastiani pisana. L’ultima femmina della Famiglia Brunacci sposò un Mastiani. Questa Famiglia si estinguerà nel 1900. Famosa è la Elena Mastiani-Brunacci ed il suo salotto, che fu frequentato anche dal Leopardi. Famiglia che ebbe il titolo di Conti da Napoleone Bonaparte. Recentemente sono stato invitato a Pisa ad un pezzo teatrale, dove sono stati ricordati, appunto, il Leopardi e la bella Elena.
– Ricordiamo Giovanni Brunacci, storico padovano, cui nel 2011 ricorrevano i 300 anni dalla sua nascita e dove da più di 25 anni esiste una associazione che lo ricorda con i “Premi Brunacci”. Quest’anno sono andato al convegno a Padova su loro invito.
– Ricordiamo il matematico prof. Vincenzo Brunacci, Rettore a Pavia, cui fra pochi anni, nel 2018, ricorreranno sia i 250 anni dalla nascita che i 200 anni dalla morte.
– Ricordiamo il Card. Ercole Brunacci Consalvi, Segretario di Stato di Pio VII, il quale è stato ricordato, in occasione dei suoi 250 anni dalla nascita, in un Convegno presso il Comune di Roma, con la presenza del Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
– Vorrei inserire in questo elenco anche la modella Lucia Brunacci (1849-1931), che tutti in Germania conoscono, essendo stata la musa e modella del pittore tedesco Anselm Feuerbach, il quale nel 1870, quindi a 21 anni, la dipinse così nel quadro: La Ninfa dormiente.

Rendendola poi famosa con la “Medea” e con “Ifigenia”.
Nel 2003 fu pubblicato un libro su una mostra tenutasi a Roma nelle Scuderie del Quirinale, dove, proprio con “Ifigenia”, Lucia Brunacci fu messa in copertina:

La Lucia Brunacci proviene da Tuscania (VT) ed è anche lei una discendente del Luigi Brunacci pisano sepolto nella Chiesa di S. Sisto a Viterbo. Questo ramo oggi non è ancora estinto. Una pro-nipote di Lucia vive a Roma, sposata e con due figli. Si chiama Barbara.

Cordialmente ringrazio per l’ospitalità
Maurizio Brunacci di Mentana
dove giunsero 200 anni fa i miei avi da Osimo
e, prima ancora da Montelupone, e prima ancora da Firenze.
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APPENDICE
(finale imprevisto)
Trovato il paese di provenienza
dei Brunacci di Ostra Vetere!
 
Il 13 marzo 2013 è una data che ricorderò per sempre.
E’ il giorno in cui un fortuito ritrovamente, ma fortemente voluto, cercato e trovato, mi ha permesso di aggiungere quest’ultimo capitolo.
Un documento che prova le ricerche precedenti e le ipotesi sulla provenienza della Casa Brunacci di Montenovo.
A pag. 6 di questa ricerca, scrissi:
…  scoppia subito dopo la peste a Firenze. Chi se lo può permettere fugge, chi non può e resta, muore. Anche i Brunacci fiorentini fuggono nelle campagne toscane, dove avevano nel frattempo comprato grandi poderi. Con la produzione delle cipolle a Certaldo, ed altro in altri luoghi, incominciano, in questo periodo di carestie, ad arricchirsi enormemente.
Un ramo fiorentino, quindi, si stabilisce a Pisa dove i Brunacci costruiscono il loro Palazzo e da dove partono alla conquista di altri mercati.”
Naturalmente, ricchezza significava proliferare. Le Famiglia Brunacci fiorentina si moltiplicava in tutto il territorio toscano ed oltre. Da Firenze a Pisa e Volterra, da Arezzo a Montalcino, ecc.
In particolare nel territorio di Volterra troviamo quel ramo di Casa Brunacci che interessa a noi. Leggiamo insieme il seguente documento, di cui subito dopo vi racconterò chi l’ha scritto e come l’ho ritrovato.
Trascrivo il testo rendendolo un po’ più comprensibile:
Al Signor Dottor Gaudentio Brunacci – Venetia
Trasportato dal viaggio nei confini della Marca, mi conferii una sera all’abitazione di V.S. Eccellentissima, ove dal Signor Cavalier suo Padre fui accolto con quella benignità che pare a punto nata nella Casa Brunacci.
Non me ne meravigliai; mentre, essendo la gentilezza un carattere di Nobiltà, tosto ne restai certificato dalle prove e dalla qualità della sua Origine.
Vidi, in un angolo della Sala, l’Albero della sua Famiglia, in cui notai le sue prime radici dagli Antichi (cittadini di ) Peccioli di Pisa, che furono Confalonieri (1) di quella così famosa e degna Repubblica..
Ricevuti trattamenti così cortesi, che più non si poteva dare ad un Genio ugualmente splendido e glorioso.
Ora mi ha obbligato e il Padre e il Figliolo.
Mancava quest’altra maglia ad ingrossar le mie Catene.
Ne (di cui) le porto l’avviso, e resto (a vostra disposizione!)”
(1)
Bartolo fu membro della Repubblica Pisana. Carlo fu capitano di una galea pisana a Lepanto. Cavalieri di S. Stefano di Toscana. Altri Confalonieri contemporanei a Gaudenzio ed oltre:Alessandro di Tommaso Brunacci 1653, 1655, 1659;Brunaccio di Alessandro 1667, 1670, 1679;Tommaso di Brunaccio 1690, 1691, 1698, 1701, 1714bis, 1721, 1726;Luigi Giuseppe di Brunaccio 1692.
PECCIOLI DI PISA
Grazie Antonio Lupis! Grazie a te oggi, a distanza di 3 secoli, conosciamo la provenienza del Cav. Antonio Brunacci seniore. Si tratta di Peccioli di Pisa, oggi appartenente alla Diocesi di Volterra!
PECCIOLI, ovvero “VOLTERRA”, dove viveva un ramo della Famiglia Brunacci di Pisa che continuerà per secoli ad imparentarsi con le Famiglie più nobili toscane: con i Buonarroti (Alessandra Brunacci è la nonna di Michelngelo), con i Minucci (1675) e con i Mastiani poi. Vorrei ricordare che proprio da questo ramo, da Ignazio Brunacci di Volterra, discende il famoso scienziato Vincenzo, Rettore dell’Uni di Pavia, il cui ultimo discendente, Avv. Berto, ancora viveva pochi anni fa a Firenze. Discendente che ho conosciuto di persona e di cui la sua vedova continua a tramandarne la memoria attraverso documenti secolari.
Antonio Lupis di Molfetta, residente anche lui a Venezia, è dunque l’autore di questa lettera inviata al nostro Gaudenzio.
Antonio Lupis, giunto da Venezia ad Ancona per nave, sicuramente invitato da Gaudenzio, decide di andare a trovare i genitori ed il fratello di Gaudenzio per portare loro di persona notizie sul loro congiunto. Sicuramente, giunto al porto di Ancona, invia a Montenovo il suo famiglio con una lettera di Gaudenzio. Egli arriverà in serata, quando verrà accolto con tutti gli onori, degni di una Casa Nobile nei confronti di un Personaggio importante.
Ricostruire la lettera di Gaudenzio non è difficile: “ Vi prego di accogliere il latore di questa mia missiva, mio carissimo amico, il quale vi ragguaglierà …, ecc. ecc.”
Ma, che fine ha fatto questa lettera? E le altre di Gaudenzio e del fratello Francesco? E l’Albero Genealogico che era appeso alla parete della casa? Sicuramente vi era una cartella dove venivano conservate le lettere dei due figlioli residenti a Roma ed a Venezia.. Alla morte di Pietro Paolo, ultimo discendente di questa Famiglia, sicuramente le lettere erano ancora tutte in suo possesso!
Comunque, grazie di nuovo Antonio Lupis, che hai avuto l’accortezza di ribadire per iscritto a Gaudenzio quanto avevi letto nell’albero genealogico. E grazie, soprattutto alle tue pubblicazioni “La Valige Smarrita” ed “Il Postiglione”, dove hai riportato le lettere intercorse tra te e Gaudenzio.
Antonio e Gaudenzio divennero molto amici, così amici da potersi permettere ironie ed altro, come si può leggere in questa seconda lettera del Lupis inviata a Roma a Giovanni Sernicoli. Nonostante a Roma vivesse in quel tempo Francesco, il un po’ burbero fratello di Gaudenzio. Il Lupis non aveva timore di rischiare un offesa con il contenuto di questa seconda lettera, segno che anche Gaudenzio era un tipo scherzoso come lui. Leggiamo:
Al Signor Giovanni Sernicoli – Roma
Io e il Signor Brunacci ci vediamo tutti e due intrigati.
Egli ha un’Amorosa Zoppa, ed io me l’ho trovata orba d’un occhio.
E’ vero che la mia stenterà a mirarmi, ma la sua, Dio sa quando muoverà un passo nelle di lui compiacenze.
Questa volta la vincerò certo in concorrenza d’affetto; perché Cupido si dipinge ben sì Cieco, ma non Zoppo.
O che gusto!
La sua Signora non sarà mai una cosa dritta.
La mia poi sarà sempre di mira per tirarmi più a segno le sue gentilezze.
E’ vero, che la mia mi guarderà con cattivo occhio, ma anche la sua l’avrà per un vizio naturale andarsi sempre storta in ogni azione.
All’una, nei fondamenti della Casa manca una colonna, e all’altra, un balcone.
Io credo che la Sorte non ci poteva far urtare in un Ospedale più bello dell’Amore.
Ma alla peggio, la mia mi dispenserà le sue grazie alla cieca, che vuol dire, che senza misura (ac)contenterà le mie brame; ma con una Sciancata? Alla fine, che si contano i passi.
Mi dica, Vostra Signoria, chi di noi due ha incontrato meglio la sua ventura?
Non vi è dubbio che l’una e l’altra hanno il loro malanno.
Ne sia ella il Giudice! E resto (a vostra disposizione!)”
Divertentissima! Ma quante altre notizie vi sono in questa lettera su Gaudenzio!
Gaudenzio, innamorato!
Innamorato di una persona “claudicante”!
Sì, lui era dottore e, molto probabilmente fu chiamato dai genitori di questa ragazza ad un consulto, ma a me piace immaginare invece un incontro diverso. Forse ad un ballo! La ragazza, seduta vicino alla madre. Nessuno la invita. Un bel visetto che colpisce il nostro Gaudenzio, appena arrivato a Venezia. Il Lupis che lo invita a farsi avanti pregustando la sua sorpresa. Gaudenzio che, invece, viene colpito da Cupido. E, naturalmente, chi di spada ferisce …, anche al nostro Lupis accade la stessa sorte!
E chissà, forse toccò proprio al Lupis informare i genitori di Gaudenzio della sua morte!
Sicuramente avrà provveduto lui stesso, e la famiglia della giovane amata da Gaudentio, al funerale ed alla tumulazione in chiesa. Del perché il corpo Gaudenzio non sia stato riportato a Montenovo, molto probabilmente lo si dovette al probabile decesso per malattia infettiva. Gaudenzio era un Dottore ed il porto di Venezia era un “porto” di malattie infettive!
Tornando all’amata di Gaudenzio, non conosciamo il suo nome, ma la ricerca contina sia a Venezia, sia a Molfetta, sia a Peccioli per quanro riguarda il nonno Antonio seniore.
 
Chissà che Antonio Lupis (2) non ci faccia qualche altra sorpresa con l’ultima lettera, quella del necrologio al suo amico Gaudenzio!
(2)
Oltre ad altre lettere inviate a Gaudenzio, pubblicate nelle sopraddette sue pubblicazioni, dove si può evincere anche la situazione politica di quel periodo, ho trovato anche una biografia sull’Antonio Lupis molto recente, pubblicata, nel dicembre del 2012, da Lucinda Spera. Grazie a questa pubblicazione si può capire meglio il periodo in cui viveva Gaudenzio, oltre a trovare delle tracce per ulteriori ricerche.
Della pubblicazione di Lucinda Spera inserisco qui di seguito solo il primo paragrafo.
Romanica Cracoviensia 12 / 2012
10.4467/20843917RC.12.018.0735
Lucinda Spera (1)
Università per Stranieri
di Siena
ANTONIO LUPIS (SEC. XVII):
UN APPRENDISTA TRA GLI
INCOGNITI DI VENEZIA
Tra i più significativi consessi secenteschi, l’Accademia degli Incogniti, istituita dal nobile Giovan Francesco Loredano a Venezia intorno agli anni Trenta, ancora alla metà del secolo è in grado di richiamare intellettuali da tutta la penisola. Il fondatore – noto per le implicazioni, soprattutto giovanili, con una certa area di libertinismo che aveva avuto il proprio centro di formazione nella Padova universitaria dei corsi tenuti dal filosofo Cesare Cremonini – si era infatti posto al centro di una fitta trama di relazioni culturali, alimentando le speranze di un ceto intellettuale per il quale la scrittura rappresentava lo strumento per acquisire la fama (nonché, talvolta, anche l’unico mezzo di sostentamento) e catalizzando su di sé le attenzioni di una generazione di letterati «per vocazione e per necessità». Quando, il 13 agosto 1661, a Peschiera del Garda, Loredano muore poco più che cinquantenne nel pieno esercizio delle sue funzioni di Provveditore, ma in un momento di evidente declino della sua fortuna politica, lascia così incompiuto non solo il proprio progetto di promozione personale – che si era giovato anche di un’ampia rete di talvolta fedeli, talaltra occasionali celebratori della sua grandezza, alcuni dei quali avevano goduto della sua generosa protezione – ma anche quello di alcuni tardi epigoni di quella gloriosa stagione culturale: tra questi, l’ultimo in ordine temporale è il giovane letterato molfettano Antonio Lupis. Il suo profilo biografico risulta allo stato attuale degli studi ancora piuttosto lacunoso:vale però la pena tentare una più attenta ricostruzione delle sue vicende per almeno due motivi. Il primo è la possibilità – sinora poco praticata – di delinearne contorni più dettagliati di quelli sinora noti utilizzando le numerose informazioni personali disseminate all’interno della sua copiosissima produzione a stampa; il secondo riguarda il suo legame con gli Incogniti, la prossimità al fondatore negli ultimi anni di vita e, dunque,
l’opportunità di ricomporre attraverso la sua testimonianza i rapporti, i meccanismi di istituzione e di funzionamento e gli scopi di tale rete di relazioni, almeno nel periodo conclusivo. Questo studio intende così anticipare una più ampia e articolata indagine finalizzata alla pubblicazione, nella collana «Biblioteca del Rinascimento e del Barocco», delle uniche due biografie dedicate dai contemporanei a Giovan Francesco Loredano dopo la sua scomparsa: la prima, del medico e letterato marchigiano Gaudenzio Brunacci (1662), la seconda, appunto, dello scrittore molfettano (1663).
 (1) Colgo l’occasione per ringraziare Marco Lupis, discendente di Antonio Lupis, per avermi proficuamente indirizzato nel corso delle complesse indagini relative al suo avo e alla sua famiglia e don Luigi Michele de Palma, responsabile dell’Archivio dell’Arcidiocesi di Molfetta, per le pazienti ricerche effettuate nei Registri parrocchiali secenteschi.
 
FINE