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1941, il Petrocchi

1941
il PETROCCHI

   Su 283 pagine, il libro vero e proprio del Petrocchi ne comprende solo 117, mentre le rimanenti 156 pagine sono composte da allegati (soprattutto corrispondenza tra il Severoli, Nunzio a Vienna, ed il Cardinale).

   A titolo di informazione si fa presente che il Petrocchi, nella sua opera, cita soprattutto autori tedeschi in lingua originale.

  Detto questo, per evitare di appesantire ulteriormente questa ricerca con l’argomento proposto dal Petrocchi, ottimo, ma molto tecnico, mi limiterò a proporre frasi ed affermazioni che possano essere di complemento alla ricerca del sottoscritto.

STUDI E DOCUMENTI DI STORIA DEL RISORGIMENTO
Collezione diretta da Giovanni Gentile e da Mario Menghini
di MASSIMO PETROCCHI
LA RESTAURAZIONE
IL CARDINALE CONSALVI E LA RIFORMA DEL 1816
FELICE LE MONNIER
FIRENZE
MCMXLI-X1X
1941

“Pio VII, più pastore di anime che statista o diplomatico, nel Governo dello Stato Pontificio, se aveva consapevolezza equilibrata di alcuni problemi e un buon senso, quello che il Ranke chiama «gesunden Menschenverstand», non possedeva invece sode e comprensive attitudini di comando, per cui preferiva affidarsi, in tal caso, al Cardinal Consalvi, Segretario di Stato, una persona di cui aveva grande fiducia, non senza il pericolo talora, specialmente durante l’assenza o sotto la spinta dei nemici di costui, di seguire transitoriamente le correnti opposte.

   Il Petrocchi, citando il Ranke ed anche lo Schmidlin, si riferisce in particolare, come abbiamo già visto, al Pacca ed al Rivarola.

“Ercole Consalvi: una di quelle figure che hanno avuto una grande attrattiva e un grande fascino — ed anche l’aspetto fisico vi collaborava — : occhi acuti e penetranti, sotto sopraccigli folti ed arcuati; volto sereno, che temperava la rudezza del suo sguardo aquilino; tono della voce velato, ma dolce: così ce lo descrivono le fonti. Anzi, se ci è permesso di esser pettegoli, avrebbe in gioventù fatto girar la testa a parecchie dame.
Il Petrocchi fa questa affermazione citando “Trompeo P.P: in Aspetti di Talleyrand (in La Cultura, anno IX, voi. I, fase. 7, luglio 1930-VIII, p. 504).

  Sul carattere (del Cardinale), continua il Petrocchi, getta luce una lettera che scrisse ad un amico da Venezia, il 25 marzo 1800, pochi giorni dopo essere stato nominato Prosegretario di Stato.
  (La lettera, gentilmente comunicatami dal Prof. E. Michel, si trova nella Biblioteca Labronica di Livorno, Autografoteca Bastogi, busta 16, n° 2203).
  Purtroppo sulla lettera non vi è il nome dell’amico a cui scrive. Mi sono informato presso l’Archivio di Livorno e mi hanno detto soltanto che la lettera in questione faceva parte della “Collezione Yorich”, che doveva essere uno pseudonimo di un pittore livornese.
  La lettera rispecchia esattamente, come abbiamo già visto, quello che lui dichiarerà anni dopo nelle sue memorie.

«Sono obbligato, egli scrive, a Voi più di tutti appunto perché non vi rallegrate con me. Dio mi è testimonio del quanto ho ripetuto il transeat a me calix iste, arrivando col Papa quasi fino alla inciviltà e al disobbligarlo. Altra speranza ora non mi rimane, senonchè l’altrui sete ne lo tolga di mano presto. Bon prò faccia a chi ne ha voglia: per me vi giuro, caro amico, che è aceto e fiele amarissimo. Voi conoscete che ho care altre passioni, ma non certamente quella dell’ambizione. Ma se mi si vuol credere, dirò che ho 43 anni e che in 8 o 10 anni sarò sicuramente Decano della Rota e perciò Cardinale, senza perdere affatto la mia libertà, senza una aspra fatica e, quel ch’è più, senza una responsabilità terribile, e Voi vedete in questi tempi! Basta dare una sola occhiata alle relazioni papali con tutta 1’Europa. Io non mi conosco atto in questi brutti casi, né lo dico per umiltà: io servirà male la cosa pubblica, romperò il collo a me stesso nel conflitto di tanti diversi interessi, perderò la mia libertà interamente, avrò una fatica immensa (immaginate che sono solo con due miseri amanuensi), e quando pur mi vada bene mi [daranno] al dimettere questa carica (ambita da troppi, e certo non poco efficacemente), mi daranno, dico, una carica cardinalizia che poco più poco meno mi condurrà al Cappello alla stessa epoca che il Decanato della mia amatissima Rota. Non vi parlo di vedermi così impedito il soddisfare alla mia passione fortissima e predominante che è quella del viaggiare e conoscere il mondo, ciò che mi proposi stando in Rota, dove sapete che si hanno 5 mesi ogni anno di vacanze, senza bisogno nemmeno di impetrare licenze. Ma tutte queste ragioni, che pur sono grandi per me, sono un nulla in vista, come ben voi dite, dei tempi e della asprezza delle circostanze, e della natura dell’ impiego addossatomi. Ed inoltre converrete con me che la stessa qualità interinale, e la mancanza di una tal quale rappresentanza accresce i miei svantaggi. Io non posso rimproverarmi certo di averlo ambito, perché saprete che lo stesso giorno della elezione io fui tanto sollecito in ottenere il mio congedo, e tornare a casa mia, quanto altri sarebbe forse stato restio a rimanere in S. Giorgio e a non distaccarsi dalla Reggia, se così mi si permette di chiamarla. Fui richiamato il dì seguente, perché la sera fu stabilito questo mezzo termine di continuare la mia opera interinalmente, lo che sbarazzava dalle pressure di molti. Questo stesso oggetto farà durare la cosa fino che passi in Roma, dove poi si farà un Cardinale Segretario di Stato, se pure qualche forte urgenza non producesse la mia liberazione più presto, di che però dubito molto. Assicuratevi che io parlando in questo modo, sento bene che offendo la riconoscenza, ma al cuore non si comanda. Insomma io sono afflittissimo. Sento però quanto debbo alla clemenza che mi mostra il Papa, che vi assicuro essere ottimo. Egli ha rapito il cuore di tutti. Non ho più tempo da trattenermi con voi onde vi lascio pregandovi ad usare con una certa cautela di qualche espressione che mi è uscita singolarmente dei desideri degli altri, che voi ben intendete che non conviene che si rilevino da me …”

pag. 31
Mentre la natura di Pio VII era più intimamente mistico-ascetica, quella del Consalvi era più tecnicamente politico-diplomatica, non tanto che fosse radicalmente areligiosa, che anzi viveva abbastanza sentitamente la sua vita religiosa; spesso era visto pregare solitario in qualche chiesa.

E qui il Petrocchi cita il Fischer, anche lui nel Cardinal Consalvi del 1899.

Pur non essendo un temperamento teologico-canonistico, dimostrava attaccamento tenace alla sua condizione clericale. Napoleone stesso avrebbe detto che, benché non volesse aver l’aria di essere prete, lo era più di tutti gli altri; e non soltanto sentiva compenetrata nel suo spirito la tradizione etico-politica del Papato ma anche, nella sua opera empirico-pratica, accettava dai tempi mutati solo quello che credeva non essere contrario a quanto di immutabile ha la Chiesa.
È perciò bene dare uno sguardo alla sua prassi ed alla sua ideologia politica.

Purtroppo il Petrocchi è assolutamente illegibile!
Come si può riportare il suo pensiero, se si trovano continuamente formule di questo tipo: “astrattivismo razionalista dei rivoluzionari, astrattivismo storicistico dei controrivoluzionari” ed anche “paternalismo illuminato”?

pag. 40
Il Pacca dubitava dell’umiltà del Consalvi, e diceva che in maggioranza le riforme consalviane erano destinate a fallire, perché, imperniandosi in lui, accentratore, sarebbero state esautorate, con la sua caduta.
pag. 41
Le condanne dei settari non furono sotto il Ministero Consalvi molto gravi rispetto a quelle dei ministeri successivi. Il Consalvi esigeva sempre di fronte ai moti e ai loro propugnatori, nei confini rigidi della più scrupolosa legalità, un esatto e giusto esame nel procedimento giudiziario. Sullo scorcio del marzo 1821, per esempio, quando contemporaneamente, in un momento così delicato, raccomandava vigilanza a vari legati e delegati, al delegato apostolico di Ascoli scriveva: « non dissento dal di Lei suggerimento intorno agli esempi di un giusto rigore ; ma per procedere a questi atti senza taccia di despotismo si rendono necessarie delle prove determinate. Queste prove mancano; e mentre Ella mi parla dei telegrafi, delle Spedizioni, e dei luoghi, ove sono più abbondanti i faziosi, non mi significa i fatti, le circostanze, e le persone, le quali notizie possono determinare ad un sano consiglio. Io interesso tutte le di Lei sollecitudini per lo scoprimento tanto delle persone, quanto delle corrispondenze, e dei mezzi che si adoprano per eseguirle».
pag. 42
Come molti uomini della Restaurazione, più diplomatici maliziosamente scaltriti, che statisti saldamente costruttivi, il Consalvi ha un’importanza notevolissima come uno dei più intelligenti diplomatici del secolo ; la riunione ed il ritorno dei territorii pontifici sotto la sovranità del Papa, sanciti nel Congresso di Vienna, e, al di sopra di una amicizia a doppio filo più apparente che sostanziale con la corte austriaca, il tentativo, spesso riuscito, di troncare la longa manus austriaca nei dominii papali, sono due momenti fortunati della politica estera del Segretario di Stato.
ed ancora:
Il Consalvi si lamentava, nel 1821, col Legato Card. Sanseverino per la troppo fiera interpretazione dei suoi intendimenti, in quanto, superando «fra le due legazioni il numero delti arrestati e delli espulsi» «non di poco il centinaio» si faceva «passare il Papa per il più accanito dei persecutori». E continuava: «Tutti gli esiliati o gli arrestati esclamano tutti contro la tirannia e l’abuso della forza. Tutti dicono d’avere almeno il diritto di essere sentiti e di discolparsi costituendosi in un forte. Come negarsi a tale giusta istanza ? O almeno, come lusingarsi che ad altri entri nella testa che si possa saltar sopra ad ogni forma e ad ogni regola? A me sembra che questo affare vada a diventare di una difficoltà somma. Il decoro, una giusta e sana politica, il non disgustarsi i buoni, esigono di non far passi retrogradi, almeno così presto. Dall’altro canto, la giustizia, la carità, i dovuti riguardi vogliono che non si cancelli ogni regola, e si dia accesso ai reclami giusti, potendo esservi dei non giustamente colpiti dalle misure prese». E per il futuro quindi si devono sospendere «nuovi arresti e nuovi colpi».
pag. 43
Un aspetto simpatico della personalità consalviana è quello artistico-culturale. Dotato di una buona, anche se invecchiata cultura e poeta arcade, era spinto dai suoi interessi spirituali all’amore della musica cimarosiana e rossiniana, alle dotte dispute con Canova e Thorwaldsen, alla vicinanza di Lawrence e di Niebuhr.  Sotto l’intero Pontificato di Pio VII si lavorò a scavi (Foro Romano, Ostia), a. restauri (Colosseo, archi di Settimio Severo, di Costantino e di Tito, Chiese e basiliche, ecc.), a revisioni urbanistiche (Piazza del Popolo e Pincio), ad arricchimenti di accademie e biblioteche, alla creazione del ricchissimo museo Chiaramonti e ad altre opere in Vaticano. E il Consalvi, che si giovava della preziosa collaborazione di uomini eminenti, era sempre un incitatore cordialmente convinto.
pag. 50
Durante la permanenza del Consalvi a Vienna, la politica interna era guidata dal Pro-segretario di Stato Bartolomeo Pacca e dal Protonotario Agostino Rivarola, uomini ambedue rigidissimi. Sotto il nome del Rivarola uscì, il 13 maggio 1814, un editto, col quale si sopprimevano il codice civile, il codice commerciale, il codice penale e di procedura, senza derogare «all’attuale sistema ipotecario», si rimetteva in vigore l’antica legislazione civile e criminale (le cause si sarebbero dovute riassumere, nello stesso stato e negli stessi termini, in cui si trovavano al momento della cessazione della magistratura passata), si aboliva lo Stato Civile con il conseguente passaggio dei registri ai curati, si abolivano i diritti e le percezioni del Registro, la carta bollata, ecc. E mentre, successivamente, si soppressero tutte le innovazioni francesi, l’illuminazione delle strade, la vaccinazione, le leggi contro la mendicità, si accordarono protezioni agli accaparratori, cosa che nocque all’equilibrio interno provocando l’auménto artificiale dei prezzi e il rincaro dei viveri.
Il Consalvi, quindi, ripigliando nei primi del luglio 1815 le leve della Segreteria di Stato, oltre superare la crisi del dopoguerra e del passaggio da uno stato laico ad uno stato clericale, doveva anche riparare eccessi, errori, mancanze di tattica dei suoi nemici occulti od aperti.”
pag. 66
«Fermo però nelle inalterabili massime di anteporre i1 bene pubblico anche a costo della mia quiete …

DISPACCI DEL NUNZIO SEVEROLI AL CONSALVI
pag. 139, 29 luglio 1815

La protezione dell’Imperatore Alessandro per la famiglia di Bonaparte rende sempre più certa la futura sorte del Principe Eugenio.
pag. 158, 7 ottobre 1815
Si parla molto alto contro di noi in un’alta Società, che V.E. conosce, a motivo dell’E.mo Fesch ritornato in Roma, ed accolto senza risentimento.
pag. 168, 21 ottobre 1815
Rimangono alcuni stupiti, che vi sia in Parigi un deputato per Avignone, e per gli affari di quella povera chiesa. Mi diceva ieri il nostro Pilat, che se vi fosse stato a Parigi il Cardinale Consalvi, Avignone nelle negoziazioni fatte non sarebbe stato assicurato alla Francia, o avrebbe avuto la sorte della Savoia renduta al suo Padrone.
pag. 171, 1 novembre 1815
Opportunissimo mi è giunto il dispaccio 15 ottobre, che mi parla dei congiunti di Bonaparte. Dai miei fogli precedenti V. Em. avrà raccolto, che noi conoscevamo per relazioni private la determinazione degli alleati, sul soggiorno in Roma de’ sudetti congiunti. Con tale notizia ho potuto al rittoccarsi di questo tasto prender le parti del S. Padre, e far conoscere la vera origine di quest’incidente.
pag. 179, 18 novembre 1815
Mi è stata opportuna la lettera di V. Eminenza che parla de’ congiunti di Bonaparte. Tutti i ministri esteri sapevano i dissapori tra la S. Sede e la Corte di Napoli, ma pochi conoscevano le saggie risposte del Santo Padre, mi persuado che ora tutti le conoscono, giacché ne ho tenuto discorso con molti che se le saranno comunicate scambievolmente.
“È voce che si siano in Vienna posti i sigilli sulle carte d’un inglese, ch’era in sospetto di corrispondere col punito Murat, e colla di lui moglie, della quale sembra, che alla notizia del supplizio dato al.marito, non si sia addolorata tanto quanto alla notizia d’un suo bastimento perduto con parte de’ suoi tesori.

DISPACCI DAL CONSALVI AL SEVEROLI
pag. 236, 12 agosto 1815

Giovedì sera mi giunse un corriere spedito da Siena dal S. Cardinal Fesch, il quale mi scrisse una lettera, ed un’altra me ne accluse per Sua Santità chiedendo il permesso di recarsi in Roma con Mad.a Letizia sua sorella asserendo che era questa la volontà di Luigi XVIII e degli Alleati partecipatagli in voce, e in iscritto dal Ministro della Polizia di Parigi. Ella comprende bene quale ha dovuto essere la risposta dopo conosciute tali disposizioni dei Sovrani. I due ospiti non sono però ancora giunti.
pag. 238, 4 ottobre  1815.
Conosciutosi appena l’arrivo del Principe di Canino in questa Capitale dalla Corte di Napoli, quei ministri tenendone discorso coll’E.mo Sig.r Card. Caracciolo, gli significarono il dispiacere, con cui il Re Ferdinando IV vedeva, che si trattenesse in Roma un soggetto così strettamente appartenente alla famiglia di Napoleone.
Partecipatomi dal lodato E.mo questo discorso, credei opportuno di narrargli precisamente la storia del ritorno del nominato Principe di Canino, e di mostrargli, che Sua Santità non aveva avuto in questo affare che una parte meramente passiva, essendosi anteriormente ad ogni determinazione protestata di non volervi prendere alcuna parte attiva ma di essere disposta ad aderire a tutto ciò, che le Alte Potenze Alleate avessero stabilito sulla sorte del detto Principe.
Quindi avendogli queste, nella sessione del 27 agosto, destinato Roma per soggiorno, il S. Padre in conseguenza non meno delle dichiarazioni fatte che dei riguardi che si preggia di professare alle stesse Alleate Potenze, si era trovato obbligato a non ricusarvisi.
Aggiunsi, che a tenore della risoluzione delle Potenze la sorveglianza la più esatta si sarebbe costantemente usata dal Governo Pontificio su di lui, e degli altri membri della famiglia alla quale sorveglianza si sarebbe aggiunta anche quella delle Legazioni delle Corti Alleate, che sono qui, e di quella di Francia.
Era da credersi, che il solo racconto di una tanto prudente condotta di Sua Santità dovesse bastare a togliere ogni ombra e dileguare ogni timore ; ma con grande sorpresa Sua Santità ha dovuto leggere un dispaccio del Sig. Marchese di Circello, la di cui sostanza porta, che il Re vede con infinito disgusto la vicinanza ai suoi Stati del Principe di Canino, del Cardinal Fesch, e degli altri membri di una famiglia sua nemica ; che non avendo diritto d’impedire al S. Padre di fare ne’ suoi Dominj ciò che più gli piace, Egli però per sicurezza, e tranquillità del suo Stato prenderà misure più severe per impedire ogni comunicazione fra i suoi Dominj, e quella della Chiesa, malgrado il danno, che potrà venirne al commercio, e che queste misure dureranno finche un solo individuo della famiglia di Napoleone sia nel territorio pontificio.
Il dispaccio non è nemmeno esente da espressioni denotanti che si ascrive a volontà del Governo Pontificio ciò, che non è che l’effetto della volontà altrui.
Il più singolare è, che prescindendo anche da ogni altra considerazione il S. Padre non potrebbe allontanare dai suoi Stati i suddetti individui neppure se lo volesse, chiedendosi officialmente al Ministro Imperiale, che nulla s’innovi su di loro senza 1a previa partecipazione alle Alte Corti Alleate, dalle quali, dice Egli, la loro sorte dipende principalmente, e direttamente.
V. S. Il.ma ben vede quanto grave amarezza debba cagionare nell’animo del S. Padre (oltre il dispiacere di una Corte vicina) il vedersi attaccato con una misura, la quale può avere delle serie conseguenze nel paese che risentirebbe il più grave danno.
Sì va a rispondere in una imaniera conveniente insieme, ed energica, onde non si realizzi quanto ci è stato significato ; ma se non si volesse entrare nella giusta idea dell’affare, e si persistesse in volerci fare il più gran male, e porsi verso della S. Sede in una specie di rottura converrebbe ben risolversi a giustificare non meno presso il publico, che presso le Corti la condotta irreprensibile che si è tenuta.
pag. 243, 11 dicembre 1815.
Ha Ella ragione di consolarsi per la restituzione dei monumenti d’arte. È questo certamente un trionfo non già mio, ma di N. S. Alcuni oggetti di arte in scultura, in pittura sono stati rilasciati a Parigi, non avendo voluto Sua Santità per un riguardo a S. M. Cristianissima spogliare intieramente di tutto quella Capitale, che tutto possedeva, quantunque ingiusto fosse il titolo, con cui lo possedeva. Le statue più interessanti sono in viaggio: si ha però la dispiacente notizia che nel Montcenis si è rovesciato il carro in cui era la famosa statua del Lacoonte, che n’è stata alquanto danneggiata.
pag. 246, 34 febbraio 1816
Un gran flagello e nell’anno corrente quello della carestia dei generi. Da tutte le parti giungono lettere di desolazione e di angustie. Le montagne del Bolognese, del Monte Feltro e dell’Ascolano, mancanti perfino di castagne e di ghianda, mettono i poveri contadini alla disperazione.
Il Governo gli ha fatto somministrare dei soccorsi ed ha ordinato da per tutto dei lavori pubblici, per dar loro il modo di guadagnarsi il pane. Non sono mancati però dei disordini, i quali sono accaduti più per la gravezza dei prezzi e per la mancanza dei mezzi, che per la mancanza stessa del genere.
In Rimini tutta la Marineria con un cannone preso dal porto si diresse contro la città ed obbligò le autorità costituite a pubblicare un Editto, col quale si promettesse un prezzo determinato fino alla nuova raccolta del grano e del formentone.
Mons. Delegato di Forlì istruito del fatto, si condusse nella notte a Rimini con circa 50 uomini. Al di lui comparire la città tutta lo ricevè con giubilo e con gli evviva; fece arrestare i capi della rivoluzione, che furono condannati alla galera da una Commissione sommaria, revocò l’Editto pubblicato del prezzo fisso del grano, e del formentone diede delle disposizioni per assicurare la sussistenza di quella ciurmaglia, e si presentò poi solo senza armati al Porto, dove riscosse immensi applausi, ed i marinai stessi, che erano stati immersi nella rivolta, gli si metteano in ginocchio, chiedendo perdono del fatto. Tutto in quella città fu restituito all’ordine ed alla calma.
In Budrio è accaduta per lo stesso oggetto dei grani una popolare sommossa. Quando dico per l’oggetto dei grani, non intendo parlare della mancanza di essi, e del formentone, perché realmente non mancano, anzi nelle Marche si può quasi dire che se ne abbondi, ma la scarsezza di un generale raccolto in tutti i Stati ha fatto salire ad un assai alto prezzo i generi di prima necessità.
Quei popoli avvezzi ad averli sempre ad infimo prezzo soffrono di mal animo di pagarli cari, ed ecco perché s’indispongono, e perché in Budrio accadde un tumulto, nel quale furono minacciati i proprietari dei generi di un saccheggio ed insultate, e scacciate le Autorità costituite.
Il Delegato vi spedì pochissima forza, ed un Tenente con 18 uomini di Cavalleria ricondusse al suo posto le Autorità costituite, ed eseguì l’arresto dei 19 capi tumultuari.
In Ancona mentre da per tutto era pieno di farine e di pane, s’intesero tumultuare delle donne, le quali a turme si affollarono al Palazzo del Delegato, e quindi essendo egli sortito, circondarono la di lui carrozza, schiamazzando per avere il pane ed il grano a minor prezzo. Il Delegato non mostrò quella energia che è necessaria in simili casi, energia spiegata con tanto elogio da Mons. Pacca nel fatto di Rimini, ed il disordine perseverò per tutta la giornata.
Essendosi poi messa in opera qualche misura vigorosa, il basso popolo si è calmato e tutto è tornato alla primiera tranquillità. Il Governo ha creduto necessario di accordare a tutti i Delegati le facoltà sommarie, creando una Commissione per far giudicare militarmente in casi di tumulto. Egli è certo però, che vi sono dei luoghi montani ed alpestri, che scarseggiano infinitamente dei generi, e quel che è più riflessibile, mancano dei mezzi per provvedersene, mancando loro i lavori per le immense acque e le copiose nevicate cadute.
pag. 248, 8 marzo 1816
Nel Concistoro segreto di questa mattina la Santità di Nostro Signore si è degnata di promuovere l’Eminenza Vostra (il Severoli) all’onore della Sagra Porpora.