Il cardinale e gli Ebrei
Sul fatto che quegli storici che hanno spesso accusato la Chiesa Cattolica di misfatti passati, ad esempio il Silvagni più volte citato, abbiano però contemporaneamente riconosciuto al nostro Cardinale doti morali superiori ai personaggi suoi contemporanei, va aggiunta un’altra “testimonianza” del Kertzer, figlio di un rabbino ebreo, a favore del Cardinale.
C’è da chiedersi perché il Cardinale non abbia fatto quasi niente per gli ebrei rinchiusi nel ghetto e perché si sia dovuto addirittura attendere i Piemontesi per risolvere questo triste uso.
Nella prefazione del libro scritto dal Kertzer si legge:
“Nel porsi la fondamentale e tragica domanda se la Chiesa cattolica abbia una qualche responsabilità non solo nello sterminio ebraico ma nella nascita del moderno antisemitismo, l’autore ripercorre la storia del ghetto ebraico di Roma sin dal XVI secolo, dedica interi capitoli alle spinose questioni dei battesimi forzati e degli omicidi rituali, infine, analizza, alla vigilia del primo conflitto mondiale, il clima politico diffuso nel resto dell’Europa, soprattutto in Austria e in Francia, dove la stampa cattolica alimentava drammaticamente l’antipatia verso il popolo ebraico.
Kertzer riflette di non aver voluto scrivere un libro sulla battaglia tra bene e male, in quanto la chiesa e i suoi uomini hanno creduto di agire secondo il volere di Dio, non mancando personaggi, come il CARDINAL CONSALVI, che hanno lottato SEPPUR INVANO per modificare la politica restrittiva della Santa Sede verso gli israeliti prigionieri nel ghetto e perché gli ebrei venissero trattati in modo più umano.
“Nel 1800 divenne papa Pio VII, suo segretario era Consalvi che capiva che il mondo era cambiato, perciò voleva favorire gli ebrei, ma era ostacolato dai conservatori, detti anche zelanti.”
Ma, andiamo a vedere se lo stesso Cardinale ha scritto qualcosa nelle sue memorie riguardo agli ebrei. Egli li cita solo una volta, quando al tempo delle trattative per il Concordato con la Francia, egli si lamenta che la Religione cattolica sia messa al pari delle altre religioni, compresa quella ebraica. Poi niente più!
Su internet è stata trovata la seguente affermazione:
“Per gli ebrei dello Stato romano, e non solo per loro, le cose si complicano infatti con l’elezione di Leone XII, succeduto a Pio VII nel 1823. Il regno di papa Della Genga (1823-1829) segna infatti il ritorno a una politica di piena restaurazione, senza quei tratti di equilibrio che hanno contraddistinto il governo consalviano. Riaffermando le varie interdizioni israelitiche, dall’obbligo di assistere alle prediche conversionistiche al divieto di proprietà di beni immobili, Leone XII provoca l’emigrazione delle maggiori famiglie ebraiche di Pesaro. Le affermazioni pontificie della subalternità giudaica sono periodiche e dopo la prima recrudescenza, di solito, sono altrettanto periodicamente disattese; ma queste di Leone XII risultano tanto più intollerabili perché giungono dopo il lungo intervallo napoleonico e dopo il moderato governo del Consalvi.”
Avrebbe potuto il Cardinale fare di più nei confronti degli ebrei?
Sperando in una assoluzione un po’ più ampia, è stata fatta una ricerca su libri scritti da studiosi ebraici, sperando di trovarvi più fatti concreti.
Purtroppo Pio VI soprattutto, ed anche Pio VII, non ne escono assolutamente bene, e se pensiamo che la carriera del Cardinale ha preso il via proprio sotto Pio VI, allora, non si può proprio essere contenti del suo “non operato”.
Infatti, in questo caso la scusa che egli fosse un uomo dei suoi tempi, perde di valore. Questa scusa storica per lui, per Pio VI, Pio VII e Leone XII non ha alcun valore, perché essi hanno voluto “volontariamente” cambiare la politica di Papa Clemente XIV, loro predecessore, nei confronti degli Ebrei, per tornare a quella oscurantista del profondo medioevo.
Allora, proviamo a parlare un po’ bene di Papa Clemente XIV. Egli, con due chirografi del 5 agosto 1769 (il Cardinale aveva 12 anni) e del 7 marzo 1772 (qui ne aveva già 15), liberò l’Università ebraica dalla giurisdizione e dalla sorveglianza diretta del tribunale della Inquisizione. Nel 1773 ce ne fu uno successivo che confermò il tutto ed anche altre “liberazioni” sui mestieri. I cinquemila e più ebrei che allora si trovavano a Roma avevano raggiunto, grazie a questo Papa, una libertà fino allora sconosciuta.
Passarono solo altri due anni e nel febbraio del 1775 fu eletto Pio VI. Il 5 aprile, dopo soli due mesi dalla sua elezione, uscì il nefando “Editto sopra gli ebrei”.
Ercole Consalvi aveva 18 anni.
Di nuovo era tutto proibito per gli Ebrei, ma, cosa ancora più grave, fu ripristinato il segno giallo da mostrarsi sui vestiti. A proposito di questo segno giallo, forse è meglio chiarire una volta per tutte che non furono i Papi ad inventare un segno di distinzione sugli abiti, bensì gli Arabi. Esso fu immaginato per la prima volta dal Califfo Omar nel lontano 640 e fu applicato sempre dagli Arabi nell’887 in Sicilia, ben 228 anni prima del Concilio Lateranense del 1215, quando Innocenzo III lo fece approvare.
Innocenzo III morì solo pochi mesi dopo. Per pochi mesi, quindi, Innocenzo III ci ha fatto un regalo che a 700 anni di distanza ha avuto conseguenze disastrose sia per chi ha subito (gli Ebrei) le persecuzioni, sia per chi le mise in pratica (i Cristiani). E pensare che gli Arabi in Sicilia in quel lontano 887 imposero il segno di distinzione non solo agli Ebrei, ma anche ai Cristiani.
Ma torniamo a Pio VI ed a Pio VII. La motivazione che indusse questi due Papi a restaurare il ghetto fu la collaborazione tra gli ebrei romani con i francesi. Essi avevano per la prima volta trovato ed assaporato la piena libertà.
Addirittura, mentre ancora Pio VII era in viaggio per tornare a Roma dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e mentre il Cardinale intraprendeva il suo viaggio che l’avrebbe portato nelle varie Corti europee ed al Congresso di Vienna, a Roma c’era già chi pensava a far ricostruire il ghetto.
Era il Cardinal Vicario di cui, purtroppo, non è noto al sottoscritto il nome, ma il dubbio che fosse il tristemente famoso Cardinale Agostino Rivarola rimane.
La cosa sarebbe da approfondire, anche perché nel libro di Attilio Milano, “il Ghetto di Roma”, leggo che “il 12 aprile 1814, lontano ancora il Papa da Roma, i portoni del Ghetto vennero sbarrati durante la notte.”
Il che significa che già nel 1814 il Cardinal Vicario aveva una maggioranza in grado di cambiare politica nei confronti degli Ebrei. Dico questo, perché, finalmente, sempre il Milano spiega che, però, il 29 agosto del 1800 Pio VII, appena eletto Papa, permise agli Ebrei di eleggere una propria Assemblea di 27 amministratori, abbonò alcuni debiti arretrati e, cosa molto importante, permise loro la conservazione delle loro recenti aziende commerciali.
Il che significa che tutto questo lo si deve alla benefica influenza su Pio VII del Cardinal Consalvi, messo poi in minoranza anni dopo.
In un rapporto del 1815 sui lavori svolti per chiudere il ghetto, si legge con molta tristezza “terminati li muri e li fusti delli cinque portoni del Ghetto, e ancora chiuse e murate varie porte particolari di alcune Case di Ebrei, che poteano avere accesso alle confinanti strade fuori dal ghetto medesimo.”
Sembra strano, ma queste mura furono abbattute da un altro Papa nel 1848, dopo soli 33 anni. Questo Papa sarà Pio IX.
Ma questa è un’altra storia, che ebbe il suo picco nel 1867 nella battaglia di Mentana e che finì con l’Unità d’Italia avente Roma a Capitale.
Una Roma, che comunque fu sempre Capitale dell’unico stato italiano mai sottomesso a Potenze straniere:lo Stato Pontificio!