1811-1812
Il Cardinale termina di scrivere le “Memorie”
In Reims il Cardinale rimase dal 12 giugno 1810 al 13 marzo del 1813. Dopodichè fu trasferito a Béziers fino all’aprile del 1814, quando liberati, egli e Pio VII, tornarono a Roma. Quasi tre anni di prigionia in Francia!
“Sono ….. mesi che dimoro in Reims, menandovi la stessa vita, che menavo in Parigi, cioè ritiratissima. Non ho accettato alcun invito. Non ho fatto altre conoscenze, che di tre o quattro case, dove ero stato raccomandato, o per altra combinazione. Non sono intervenuto mai ad alcuna conversazione o assemblea. Ho passato sempre la serata nella casa del mio compagno, che ha tenuto la stessa condotta. Viviamo fra noi, restituendo solo qualche visita di convenienza, o facendone, secondo le circostanze.”
Morti lo zio Girolamo Carandini ed anche lo zio Card. Filippo Carandini, egli corrispondeva ormai soltanto con i cugini Carandini.
In una lettera del 23 maggio 1811 scritta da Reims al cugino Giuseppe Carandini, si legge:
“quanto alla mia salute, essa è sufficiente, e quanto al resto potete immaginarlo”.
L’unico suo pensiero durante la prigionia era quello di voler tramandare ai posteri la sua versione sugli avvenimenti napoleonici. L’unica sua preoccupazione era la fedeltà nei confronti dello Stato di cui era rappresentante.
“Io mi propongo di emendare e polire questo scritto che non ho nemmeno riletto, quando ne avrò il tempo, volendo prima scrivere altre memorie, che i quotidiani pericoli non permettono di differire. Anche prima di polirlo, io anderò aggiungendo in questo alle cose scritte fin qui quelle più interessanti, che mi anderanno accadendo di mano in mano.”
Il Cardinale scriveva di notte e passava poi il giorno seguente i fogli agli amici che lo venivano a trovare, i quali a loro volta provvedevano a portargli altri fogli bianchi. Insomma sembra di essere tornati a Galileo che si comportava nello stesso modo per gabbare l’Inquisizione.
“Queste memorie, essendo scritte dopo quasi 11 anni dall’epoca del principio del mio Ministero (che fu circa i 18 o 19 marzo del 1800) e dopo quasi 5 anni da quella del suo fine, che fu ai 17 giugno del 1806, e di più essendo scritte in momenti di sommo pericolo, al segno di non essere io sicuro di non venire ad ogni istante sorpreso nel fare un lavoro che potrebbe costarmi assai caro se fosse conosciuto, non possono per tali ragioni essere nè piene, nè esatte, nè accompagnate da quei rilievi, che i fatti stessi esigerebbero, giacchè nè io ho tutte presenti alla mente le cose avvenute, nè ho presso di me carta alcuna che me le ricordi, nè si trova meco alcuno di quelli che, essendone stati in parte al giorno per effetto del loro officio, potrebbero supplire al difetto della memoria e dei documenti, nè finalmente, scrivendole nel mio esilio e più ancora nei momenti sopraindicati, mi è conceduto da tali circostanze quanto mi bisognerebbe e di tempo e di calma e di sicurezza e di libertà, per corredarle delle riflessioni e rilievi opportuni.
Quindi, nel fare in somma fretta questo lavoro, altro io non mi propongo, se non che scorrere, come suol dirsi, a fior d’acqua su quelli avvenimenti che scrivendo mi verranno alla mente, a solo oggetto che non ne perisca affatto la memoria, la quale nello spoglio sofferto dalla S. Sede di tutti i suoi archivii, potrà forse un giorno essere utile a qualche cosa per gli interessi o difesa della S. Sede medesima.
La sola Provvidenza sa quello che ci è riserbato in seguito.”
Il Cardinale termina questa parte delle sue memorie con queste parole:
“Si vive intanto nel nostro esilio, ritirati da ogni società, come conviene alla nostra posizione e allo stato delle cose della S. Sede e alla situazione del nostro Capo.
I Cardinali Rossi sono rimasti in Parigi, e si sente che sono nel gran mondo.”
Quanta delusione in quest’ultima frase! Quasi tre anni di prigionia, mentre i suoi colleghi Cardinali dimenticano anche la prigionia del loro Papa, Pio VII.
“Si sente che essi sono nel gran mondo!, sospira il Cardinale, Io ho scritto questi fogli in un critico momento e sempre col timore di essere sorpreso.
Quindi ben lungi dall’avere avuto il tempo di stenderli con quella pienezza che avrei voluto, e ben lungi dall’avere il tempo di polirli e emendarli, sono anzi costretto a deporre la penna quanto posso più presto e nasconderli.”
Fine
Rheims
verso la fine del 1812
E. Card. Consalvi
Insomma, anche nel finale, il Cardinale non ha potuto resistere dal mettere in risalto che, mentre lui era agli arresti domiciliari, mentre lui scriveva, con sommo pericolo, per il bene della Santa Sede, mentre lui aveva rischiato tutto e di più, i suoi Colleghi cardinali “Rossi” si davano alla bella vita a Parigi.
Nello stesso anno, il 1812, Raffaele Stern ed il Conte Camillo de Tournon, Prefetto Imperiale di Roma, portavano a termine il restauro del Palazzo del Quirinale, che era stato dichiarato “Palazzo Imperiale” nell’anno precedente, esattamente il 25 febbraio, dallo stesso Napoleone.
Le intenzioni di Napoleone erano quelle di venire a Roma proprio nel 1812, ma la Campagna di Russia e le successive vicissitudini fecero sì che egli non riuscì mai a visitare la Città eterna ed in particolare il Quirinale, pronto da allora per sua dimora.
Il sottoscritto, invece, è riuscito finalmente, e per la prima volta, a visitarlo. La delusione, purtroppo, è stata immensa. Forse, sarebbe stato meglio se avessi continuato a visitarlo solo con l’immaginazione e la fantasia.