12 giugno 1810
Il Cardinale viene inviato agli arresti domiciliari a Reims
Finalmente, Napoleone raggiunge il suo scopo sposando il 2 aprile 1810 Maria Luisa d’Asburgo, figlia di Francesco II, Imperatore d’Austria (A27).
Due mesi e mezzo dopo il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, il Ministro dei Culti convoca di nuovo i Cardinali “neri”.
“Finalmente alli 11 di giugno fummo chiamati dal Ministro dei Culti. Io arrivai il primo, e il Ministro mi disse, con volto dolente e con aria cortese che aveva il dispiacere di dovermi dire che nelle 24 ore dovevo partire per Reims dove ero destinato a stare fino a nuovo ordine egualmente che il Card. Brancadoro.”
Qui ritroviamo il Cardinale Brancadoro, a cui al tempo di Pio VI, l’allora Mons. Ercole Consalvi fece un grandissimo “regalo”. Brancadoro non ne verrà mai a conoscenza!
“Così io mi trovai disunito dal Card. di Pietro, mio amicissimo e con cui ero venuto a Parigi, e unito al Card. Brancadoro, che nel mio soggiorno in Parigi avevo veduto meno spesso di ogni altro.”
E, per finire, visto che “il lupo perde il pelo ma non il vizio”, nonostante lo spavento “mortale” in cui perennemente oramai viveva, il Cardinale testardamente continua a non cambiare il suo comportamento.
“Dopo circa un mese della nostra dimora nella nostra rilegazione, ci giunse una lettera del Ministro dei Culti, con la quale ci si notificava l’assegnamento fattoci di 250 lire mensuali per la nostra sussistenza. Siccome io non avevo mai accettato alcun assegnamento, il Ministro mi fece quella partecipazione in una maniera molto delicata. Io risposi con la maggiore politezza che seppi, ma non accettai.”
Il Cardinale non la dà vinta a Napoleone neanche in prigionia, ma decide addirittura “di fargliela pagare” mettendosi a scrivere delle “Memorie” sugli avvenimenti.
“I scritti sul Conclave, sul Concordato del 1801, sul Matrimonio, e sul Ministero potranno servire alla S. Sede in più di una occasione, e specialmente se accadrà che si scriva qualche istoria sulli avvenimenti che ne formano l’oggetto, ovvero che debba confutarsi qualche falso racconto.”
Come dice il Wichterich, il Cardinale temendo che gli sopravvenisse qualcosa di peggio, volle lasciare ai posteri un’immagine possibilmente esatta e completa della propria vita ed attività.
Vorrei a questo punto tornare brevemente a Roma per fornire una “curiosa” informazione. Pochi mesi prima di questo stesso anno in cui il Cardinale veniva esiliato a Reims, i francesi avevano introdotto la ghigliottina anche nell’ex Stato Pontificio.
E chi ritroviamo? Mastro Titta!
Il primo condannato alla pena capitale tramite questa macchina fu Tommaso Tintori, reo d’omicidio. Egli fu decapitato da Mastro Titta, al secolo Giovanni Battista Bugatti, il 28 febbraio 1810 e, fino al 1813, la ghigliottina fu da lui usata per ben altre 56 volte.