1810
Critiche del Cardinale ai suoi colleghi cardinali
Arrivato a Parigi, il Cardinale era deciso anche qui a proseguire nel suo comportamento di rifiutare contatti con le autorità francesi, anche se si fosse trattato di personaggi con i quali avesse precedentemente stretto rapporti di amicizia.
Egli decide di attenersi scrupolosamente all’invito di Pio VII.
“Il Papa aveva vietato in Roma ai Cardinali e prelati di intervenire a qualunque pranzo e qualunque ricevimento e festa in un tempo di tanto lutto della Chiesa e della S. Sede.”
Anche se “Tutti i Grandi della Corte, tutti i Ministri mi conoscevano personalmente e, dirò anche, mi amavano. L’Arcicancelliere, l’Arcitesoriere, il vice Grande Elettore, il Ministro dei Culti, il Ministro della Police (Fouchè) e quasi tutti gli altri Ministri erano in questo caso a mio riguardo. Ma dirò di più io conoscevo personalmente tutta la famiglia Imperiale, la madre dell’Imperadore, i fratelli, le sorelle, i cognati, i nuovi Re e Regine, che avevo tutti serviti in Roma, dove vennero nel tempo del mio Ministero, oltre averli conosciuti anche nel mio primo viaggio a Parigi per il Concordato.”
Ma, i suoi colleghi cardinali “intervenivano a tutti i pranzi, correvano a tutte le assemblee, nelle case dei Grandi e dei Ministri.”
“Io non intendo di accusarli, ma narro semplicemente il puro fatto”, e meno male che le “Memorie” sono state pubblicate 40 anni dopo questi avvenimenti!
Li accusa eccome! Ne salva solo tre:
“È facile però imaginare quanto mi costasse il non agire così, quando agivano così tutti gli altri, eccettuato quel Cardinale (Di Pietro), che venne con me a Parigi, e due altri (il Pignatelli ed il Saluzzo) giuntivi contemporaneamente, animati delle stesse mie considerazioni.
Egli decide, insieme ai tre colleghi, che, “alla riserva dei primi atti assolutamente indispensabili di dovere e di convenienza, la mia vita sarebbe stata ritiratissima.”
Così, per non accusare pubblicamente i suoi colleghi cardinali, decide di comportarsi in questo modo:
“Quanto ai pranzi, dissi che la mia salute mi obligava a pranzare sempre in casa. Quanto alle assemblee, conversazioni, visite e altre cose simili, nelle quali non potevo produrre la medesima scusa, di fatto me ne astenni sempre e lasciai che si credesse ciò che si volesse. Io non potevo transigere con ciò che credevo mio dovere.
Così alla riserva di pochissime delle prime visite appena arrivato, non intervenni mai ad alcun publico luogo, nè conversazione, nè assemblea, nè pranzo, nè altra cosa simile. Non si lasciò di comprenderne la vera cagione, nè tal contegno mi costò poco nelle mie particolari circostanze, ma con l’aiuto del Cielo superai ogni riguardo e feci ciò che credei che mi convenisse, per tutto, il tempo della mia dimora in quella gran capitale.”
E la pensione di 30.000 franchi? Ormai conoscendolo, quale poteva essere mai la sua risposta?
“Un altro terribile affare fu per me quello della pensione dei 30 mila franchi. Tutti i miei colleghi, che mi avevano preceduto a Parigi, 1’avevano accettata.”
E lui cosa fa? La rifiuta! Confortato in questo dall’esempio degli altri 3 cardinali:
“… essendo noi 4 di parere che non ci fosse permesso di accettare …”
Un rifiuto che gli costò la chiamata ufficiale del Ministro del Culto Francese.
Interessante in questo capitolo non è soltanto il minuzioso racconto sull’avvenuto colloquio, ma anche l’essere “il Cardinale dei proverbi”.
L’avevo già notato precedentemente, ma qui ne tira fuori altri due consecutivamente: “strinsi i denti, come in proverbio dice il volgo” e “la carta, la quale, come si dice in proverbio, non si fa rossa.” Cosa significhi il secondo non l’ho proprio capito!
Comunque, proverbi o no, il Cardinale persiste nel suo rifiuto di non voler accettare la pensione.
Ecco un terzo proverbio citato mentre egli sta per raccontarci del suo prossimo incontro con l’Imperatore: “che la carafa essendo crepata, come suol dirsi in altre mani ..”