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1807, muore il fratello Andrea

1807
muore il fratello Andrea
ed il Duca di York
Nel 1807 si susseguono, in ordine, tre importanti avvenimenti per il Cardinale: il 50.mo suo compleanno, la morte del Cardinale di York e la morte del fratello Andrea.
Del suo 50. mo compleanno non se ne trova alcuna traccia, ma del resto non era proprio il caso di festeggiare qualcosa visto che Andrea stava male.
Ai 6 di settembre 1807 con mio dolore inesprimibile perdei il mio amatissimo fratello Andrea nella età di 46 anni, dopo 73 giorni di penosissima malattia, giudicata da un medico per idrope di petto e da un altro per un vizio organico, e così rimasi solo ed ultimo della mia casa.
Andrea si ammala, ma sulla diagnosi di questa malattia i dottori si trovano in contrasto, né trovano rimedio.
La sua salute peggiora sempre più e, nonostante il Cardinale abbia tentato di tutto, non scostandosi dal suo letto per alcun istante, dopo “73 giorni di penosissima malattia” come ci racconta il Cardinale, Andrea se ne va.
Purtroppo non conosciamo esattamente il male, causa della sua morte. In una sola lettera, scritta dal Cardinale allo zio molti anni prima, l’11 dicembre del 1802, vi è un piccolo riferimento “quelle di mio fratello (le condizioni) sono migliori”, ma non è sicuro che queste parole si riferiscano alla malattia che lo porterà alla morte.
Il 9 settembre, tre giorni dopo la morte del fratello, il Cardinale scrive a Modena agli zii Girolamo e Filippo Carandini (anche lo zio Filippo si era ririrato a Modena, dove morirà nel 1810) per comunicare il tragico evento.
Con un dolore inesprimibile debbo partecipare la morte del mio povero fratello Andrea. Ella lo conosceva tanto e l’aveva tanto favorito. Sono sicuro che lo piangerà e che suffragherà la di lui anima, del chè la prego caldamente. Io sono in un mare di afflizione!
Andrea Consalvi aveva solo 46 anni e, “non essendo Consalvi, bensì Brunacci”, egli era il penultimo dei Brunacci del suo ramo. Il Cardinale non aveva ormai più parenti, se non i Brunacci di Toscanella, cugini di secondo grado, ed i Carandini ed i Parisani da parte di madre, cugini di primo grado. Il Cardinale ormai era solo! L’amato Andrea se ne era andato. L’amato fratello con cui aveva tutto condiviso e con cui avrebbe condiviso anche la sepoltura. Infatti l’ultimo loro desiderio fu proprio quello di rimanere per sempre uniti anche dopo la morte. Da circa 185 anni i loro corpi ancora oggi dimorano insieme in un unico sarcofago nella Chiesa di San Marcello al Corso a Roma!
Il mio cuore fu trafitto dal colpo, di cui non avevo avuto mai, nè avrò più mai il più sensibile. Ah! solo nell’incominciare a parlarne mi piove in larga vena dagli occhi il pianto: or che sarebbe se fosse qui luogo a scriverne lungamente? Ah! posso io pur dire con Verità:
Tu mea, tu moriens fregisti comoda [sic] frater
Tecum una nostra est tota (a) sepulta domus!
Omnia tecum una: perierunt gaudia nostra,
Quae tuus (b) in vita dulcis alebat amor! (c)
(a) totast nostra (b) tuos (c) Catullo, Carm. 68, vv. 21-24.
Che bella espressione: “Solo nell’incominciare a parlarne mi piove in larga vena dagli occhi il pianto!”
Sì, il mio caro ed unico fratello Andrea, dopo la perdita degli altri, quello che mi amava più di se stesso e che me ne avea date tante e sì grandi riprove, quello che era uno specchio di tutte le virtù, religioso, umile, modesto, disinteressato, benefico, cortese, amabile, amoroso; quello che era pieno di talenti e di sapere e culto quant’altri mai; quello che era tutto il mio conforto, tutto il mio sollievo e sostegno; quello insomma, di cui non saprei mai dir tanto bene, quanto potesse eguagliarne i meriti, ah sì, quello, dopo una penosissima malattia di 73 giorni, in cui diede luminosissimi esempii di tutte le cristiane virtù, così nella sofferenza di dolori e pene continue e acerhissime, come nel distacco dal mondo e da me medesimo, che gli ero sì caro, e nella rassegnazione al volere di Dio e nell’amore ardentissimo verso di lui e della sua Santissima Madre con una edificazione inesprimibile della città stessa, per cui ne corse la fama, rende l’anima al suo Creatore nel giorno 6 di agosto (nel certificato di morte della Chiesa di S. Marcello e sulla lapide la data giusta è il 6 settembre) di quell’anno 1807, giorno quem semper acerbum, semper honoratum, così Dio volle, habebo.
Egli spirò, essendo io al suo fianco, non avendolo io lasciato mai, fino a rendergli gli estremi officii con fare la più viva forza al mio cuore. E come mai lo lasciai fino a che ebbe reso al Cielo lo spirito, così non lo lascierò, spero, dopo la mia morte, volendo che i nostri corpi riposino insieme e siano uniti in morte, come furono uniti in vita i nostri animi, secondo la promessa da me fattagliene quasi all’istante del suo morire, allorchè con voce già fioca e tremante, ma con tutta l’anima richiamata sulle moribonde labbra me ne fece la amorosissima dimanda e ne volle da me la espressa promessa
Io spero che il Governo, sotto cui il Cielo possa avermi destinato a morire, sarà così benigno ed umano, onde non invidiare in cosa così indifferente il compimento di questi innocenti voti di due fratelli, che le circostanze possono (parlo in ciò di me più che di lui) avere renduti disgradevoli e infelici, ma che sono stati sempre onorati e onesti e non hanno mai fatto ad altri alcun male. Io lo spero; e intanto che nudro di questa speranza quel misero avanzo di vita, di cui vivamente desidero il termine, la di lui cara memoria viverà sempre nella mia mente e nel mio cuore.
Il Cardinale, prigioniero in Francia mentre scriveva queste parole, invia un messaggio al Governo Francese pregandolo, in caso di sua morte in terra francese, di esaudire il suo desiderio di venire sepolto insieme al suo caro fratello Andrea, riportando il suo corpo a Roma.