1806
Ricordi del Cardinale
sulle sue dimissioni da Segretario di Stato
Dare le dimissioni da Segretario di Stato per il Cardinale è stato un duro colpo. Riusciamo ad intuirlo facilmente leggendo tra le righe dei suoi ricordi.
Non si possono notare dei passi bellissimi come quando parla della propria “coscienza”:
“la riconosco, dentro di me medesimo e che perciò veniva sempre con me e non mi lasciava mai.”
Ma, soprattutto quando parla dei vantaggi che questa carica avrebbe potuto procurargli, quando dice che il fratello “era uscito nudo da questo Ministero ed anche se stesso”.
Si stenta a credergli, ma, purtroppo, è vero. Ho potuto constatare con altre fortunate ricerche che Andrea ha dovuto fare dei debiti per sé e per il fratello Cardinale mentre era prigioniero in Francia.
Colpisce altresì la sua dichiarazione che lui promuoveva i dipendenti in base al merito e non alle conoscenze o parentele. Egli finisce con l’affermare che tutto ciò che egli ha fatto lo ha fatto per il suo alto senso del dovere.
“Quanto fosse il dolore del Papa e il mio per tale separazione, non conviene a me il riferirlo. Mi sarà permesso solamente di dire che non fu senza reciproco pianto e che nel successivo tempo il Papa non smentì mai la sua immensa benevolenza verso di me.
Mi sarà permesso ancora di dire che, se io avessi provato del dispiacere di perdere la carica (che certamente era la prima fra le altre tutte), certamente a quel dispiacere avrei trovato un gran compenso nel dispiacere grandissimo che del mio ritiro dal Ministero dimostrò tutto intiero il publico.
Non parlerò delle dimostrazioni datemene dai Ministri esteri, che mi scrissero officialmente le note le più lusinghiere, contenenti le espressioni del rincrescimento sommo che ne provavano essi e che erano certi che ne proverebbero i loro respettivi Sovrani, rendendo giustizia (dicevano essi) alla onestà, lealtà e franchezza del mio carattere e al disbrigo sollecito dei loro affari.
Niuno di tali Ministri si ritenne dallo scrivermi tali note e, se la sua qualità obligò quello di Francia ad astenersene, non si astenne però, malgrado la delicatezza della sua posizione e l’essere causa della mia remozione il suo Governo, dal farmi tali officii in voce e dal venire egli pure, come tutti gli altri Ministri, l’indomani della mia partenza dal Quirinale a visitarmi nella mia casa e dal dare allora e poi le più costanti dimostrazioni di stima vèrso di me.
Ma il dispiacere, che mostrò del mio ritiro dal Ministero il publico non fu per me meno lusinghiero, anzi, se lice dirlo, lo fu di più, come quello che si diffondeva ad ogni genere di persone. Nel tempo della caduta (che tale appariva all’ora il mio stato, se non quanto al Papa, certo quanto a quella Potenza, che già tutti consideravano come l’arbitra di tutte le cose) il dispiacere e l’interesse, che mi si dimostrava non poteva essere effetto della adulazione o dell’interesse loro; anzi lo mostravano con rischio, facendosi con ciò un demerito con chi mi aveva fatto balzare dal posto.
Questo publico interessamento piacque come testimonianza di una buona condotta.
Ma io ne avevo un’altra, grazie al Cielo da cui la riconoscevo e la riconosco, dentro, di me medesimo e che perciò veniva sempre con me e non mi lasciava mai. La mia coscienza, quanto alla mia condotta ministeriale, non aveva alcun rimorso. Io non mi potevo, grazie a Dio, rimproverare di aver mai fatto alcuna soverchieria, nè ingiustizia, nè abuso alcuno del potere, nè tratto profitto dal posto che occupavo, nè per me stesso, nè per la Casa mia. lo non avevo mai accettato alcun regalo nè grande nè picciolo nell’esercizio di molti anni della carica.
È facile imaginare che non ne mancarono le occasioni, ma non si potrà citare un esempio solo, che smentisca quella mia asserzione, compresi perfino i comestibili e le regalie natalizie e di altre simili, epoche, secondo l’uso.
Il mio povero fratello sortì nudo, come ne sortivo io, dall’epoca del mio Ministero, vale a dire ne sortì quale si trovò quando io vi entrai, non avendo io prccurato a lui, benchè lo amassi tanto, il minimo vantaggio e non avendo egli permesso che niuno provasse nemmeno a procacciarsi il di lui favore presso di me.
Lo stesso accadde dei miei familiari, dei quali non si potè dire che io beneficassi alcuno, o permettessi che fossero beneficati da altri.
Non permisi nemmeno che il mio cameriere avesse un posto fra i corrieri, come lo avevano tutti i camerieri dei miei antecessori. Niuno potè dire che un solo memoriale io prendessi dalle mani dei miei domestici. Così pure non mi potei, grazie al Cielo, rimproverare la minima parzialità nella proposizione fatta al Papa per li impieghi.
Molti miei amici furono scontenti di me non essendo promossi come si lusingavano, ma io fui attentissimo a guardar sempre al merito della persona e non alle sue relazioni. Finalmente niuno potè accusarmi di non dare ai doveri dell’impiego tutte le ore della vita, nè di ritardo delli affari, nè di difficoltà di udienze, che ad ogni ora erano aperte a tutti, nè di altra mancanza qualunque.
Io non intendo nello scrivere queste cose di fare io stesso il mio elogio, della qual cosa non vi è la più sconveniente: io scrivo solamente ciò che avvenne veramente, per dire il contento interno che nella mia caduta mi fornì la mia coscienza sotto l’usbergo del sentirsi pura (Dante, Div. Comm., Inf. XXVIII, 117)
Io dico ancora perché credo che, le suddette cose essendo altrettanti stretti doveri che mi incombevano, sia pure un dovere il rendersi conto, specialmente in certe situazioni e circostanze, di averli (com’ero tenuto a fare) esattamente adempiti.”
Comunque, come spesso fa, egli ci fa notare che Napoleone aveva, nonostante tutto, fatto male i suoi calcoli, perché, anche se egli non era più Segretario di Stato, continuava ad influenzare attivamente la politica della Santa Sede attraverso la sola carica cardinalizia, che gli dava il diritto di partecipare alle riunioni del Sacro Collegio, ovvero del Governo.
“Passato dal Quirinale alla mia abitazione, io rimasi con la occupazione della direzzione di S. Michele a Ripa e con la Prefettura della Segnatura. Non ebbi più parte nei grandi affari di Francia, come quando l’avevo in ragione dell’impiego, ma ve l’ebbi come Cardinale nelle frequentissime Congregazioni Generali di tutto il Collegio, che di mano in mano il Papa andò consultando per deliberare sopra i medesimi fino alla caduta del Governo Pontificio.”
Insomma, lo “scontro personale” tra queste due grandi personalità, Napoleone ed il nostro Cardinale, continua.