11 agosto 1800
Mons. CONSALVI viene eletto
Pro-Segretario di Stato
“Monsignor Consalvi meritava una ricompensa – continua l’Artaud – e questa eragli dovuta dallo stesso Sacro Collegio. Ottenne quindi la promessa d’un cappello cardinalizio, che ricevette in appresso, congiuntamente alla carica di Segretario di Stato. Prima di ricevere il cappello il Consalvi ebbe il titolo di Segretario di Stato interinale. Consalvi ottenne questa carica interinale in una maniera assai scaltrita.
Egli disse a Pio VII: «L’Austria non ha fatto il Papa. Se voi vorreste passare in Venezia alle nomine delle diverse grandi cariche dello Stato, essa ne dirigerebbe la scelta. Indugiate particolarmente quella del Segretario di Stato, Voi ci penserete in Roma, ove sarete libero di ogni influenza.» Avendo Pio VII accondisceso a questo parere, il prelato cominciò ad occupare interinalmente la carica di Segretario di Stato, che tenne poi sempre.”
In effetti il Consalvi aveva giocato non bene, ma benissimo le sue carte. Egli aveva dimostrato di sapersela cavare benissimo in ogni frangente, sia nella direzione organizzativa, sia in quella amministrativa, ma soprattutto in politica internazionale.
Si vada a rivedere le sue analisi ed i suoi giudizi sui candidati al Pontificato e si vedrà che esse sono ponderati e precise. L’essersi poi saputo rendere “indispensabile”, va sicuramente a suo merito e non a suo demerito.
Continuamo con il racconto degli avvenimenti preso dalle sue “Memorie”:
“Finalmente dopo tre mesi e mezzo convennero gli elettori nella persona del Card. Chiaramonti, a cui andarono a baciar la mano nella sera dei 13 marzo, per indi eleggerlo nello scrutinio della seguente mattina. Terminato appena il bacio della mano, doverono pensare alle suddette lettere, che bisognava preparare al momento, dovendosi spedirle con diversi corrieri appena fatto il Papa nel giorno seguente.
Un Cardinale propose uno dei Conclavisti creduto il più atto. Le due, che fece e che esibì al designato Papa e al Card. Decano, dispiacquero tanto, che io fui chiamato nel momento da amendue e pregato (se mi è permessa questa espressione) caldamente ad occuparmene subito.”
Non si può fare a meno di notare una sua civettuola soddisfazione.
“Queste lettere presentavano, per le stesse ragioni di quelle della partecipazione della morte del Papa, le stesse difficoltà e anche maggiori, giacché il nuovo Papa scrivendo a diversi Sovrani, alcuni dei quali avevano in mano la robba sua, altri erano in altri non men difficili rapporti con la S. Sede, E’ chiaro quanta delicatezza e quanto tatto erano necessarii in tal congiuntura. Con la grazia del Cielo il mio lavoro di tutta quella notte, fatto con una inesprimibile contenzione di spirito, piacque molto a chi me lo aveva commesso ed ebbe poi corso appena seguita la elezzione.”
Il Conclavista proposto non fu all’altezza della situazione, mentre lui sì! A questo punto bisogna dargli atto che meritava assolutamente quanto gli fu concesso e quanto riuscirà in seguito ad ottenere. Un caso forse unico di “meritocrazia applicata”.
Da qui al passo successivo, tenendo conto della necessità per il nuovo Papa di circondarsi di persone “capaci”, il passo fu breve. Anche qui, Mons. Consalvi ci mette, come si dice, lo zampino. Ormai lo conosciamo.
“Appena nel dopo pranzo di quel giorno fu terminata la solita funzione della discesa del nuovo Papa nella chiesa per ricevervi la adorazione del popolo, impaziente io di mostrare col fatto che, al momento stesso del termine del Conclave, io consideravo terminata ogni mia incombenza, feci in meno di mezza ora la mia visita di congedo non meno a tutti i Cardinali, che si mostrarono sommamente stupefatti di quella sì celere mia risoluzione, che al Papa stesso, il quale se ne mostrò anch’egli sorpresissimo e, per sua clemenza, anche dispiacentissimo. Mi chiese perché volessi lasciarlo sì presto. Risposi che, la mia segreteria del Conclave essendo finita col finire del Conclave, non avevo più luogo a rimanere e che pregavo Sua Santità a permettermi di andarmene alla mia casa in Venezia.”
Se il Consalvi fosse un giocatore di scacchi, direi che ha fatto “scacco matto”! Con quest’ultima mossa costringe Pio VII, non solo a richiamarlo, ma anche a fargli una proposta che non si poteva proprio rifiutare: la Segreteria di Stato!
Però, per dovere di cronaca, riporto gli avvenimenti così come sono ricordati dallo stesso Cardinale. Non dimentichiamo che egli scrive le sue memorie, mentre già Cardinale e già Segretario di Stato, si trova prigioniero in Francia.
“Trascorsi tali giorni, ebbi una mattina una chiamata dal Papa, acciò mi conducessi al momento all’isola di S. Giorgio. Non potevo indovinarne l’oggetto, ma pensai che mi si chiederebbe forse qualche notizia intorno a qualcuno delli affari passati per le mie mani nel tempo dell’impiego da me coperto. Qual fu mai la mia sorpresa quando, giunto ai suoi piedi, egli mi disse, che aveva da confidarmi una cosa di un gran rilievo, ed era che gli si era dato un assalto vivissimo dal Ministro dell’Imperadore Card. Herzan per fargli prendere per Segretario di Stato il Card. Flangini; che egli per giustissime ragioni non lo voleva in conto alcuno; che, trovandosi però in casa dall’Imperadore, cioè in Venezia, ed essendosi ivi tenuto il Conclave e sperandosi dall’Imperadore la restituzione dei dominii della S. Sede, che erano occupati dalle sue armi, aveva creduto che non convenisse dargli una brusca negativa e che perciò aveva preso un mezzo termine naturalissimo dicendo che egli non credeva di dover fare un Card. Segretario di Stato non avendo Stato e che, avendogli risposto il Card. Herzan che ciò non ostante non era possibile che egli non si facesse servire da qualcuno, gli aveva replicato che avrebbe continuato a prevalersi del prelato Segretario del Conclave, che aveva avuto fino ad allora gli affari in mano, e lo avrebbe dichiarato Pro-Segretario di Stato, per provedere poi in seguito, secondo che le circostanze esiggerebbero.
Quindi concluse dicendomi che mi avrebbe fatto spedire il biglietto di Pro-Segretario di Stato in quel giorno medesimo per mezzo del Card. Braschi, secondo lo stile che il nipote del Papa defunto spedisca i primi biglietti sotto il nuovo Papa quando il Segretario di Stato non sia fatto ancora.”
Naturalmente credere a quanto segue è molto più difficile, visto che le sue mosse portavano inevitabilmente e direttamente proprio a questo risultato.
Io non potrei esprimere di quanta angustia e dolore mi riempisse tale notizia, che avrebbe empiuto molti altri della massima delle contentezze. Dopo averlo ringraziato quanto seppi meglio di sì gran bontà verso di me e di una fiducia che non meritavo e dopo averlo scongiurato quanto più potei di cambiar pensiero e scegliere qualche altro prelato giacchè non voleva in quel momento un Cardinale, vedendo che non bastava per essere esaudito, gli manifestai con candore la mia antica e vivissima repugnanza ad ogni impiego di responsabilità, onde molto maggiore l’avevo a quell’impiego che porta la responsabilità di tutte le cose e delle massime fra tutte le cose, e gli feci conoscere il danno che la mia incertezza e timidezza, effetto del timore della responsabilità, potevano arrecare agli affari stessi e finalmente non vedendomi esaudire giunsi quasi alla inciviltà, o almeno alla desobligeance, dicendogli che io gli confessavo ancora che non avevo la minima ambizione del Cardinalato, al cui più sollecito conseguimento poteva procacciarmi del meriro l’esercizio di quel tanto rilevante impiego, ma che se poi anche avessi quella ambizione la mia qualità di Uditor di Rota me l’assicurava, quando fossi giunto al Decanato, senza aver bisogno di fare altri passi, e che alla mia età (io avevo allora 43 anni) potevo aspettare ancora quelli altri 8 o 10 anni al più che mi ci volevano per esser Decano, giacchè anche a 52 o 53 anni sarei divenuto Cardinale ancor troppo giovane, nè tralasciai perfino di manifestargli la mia passione di viaggiare, che potevo, come Uditor di Rota, soddisfare nelle vacanze sì abbondantemente in un decennio.
Ripensando poi a tutte queste cose ch’io gli dissi, conobbi che avevo trascorso i limiti permessi, ma io era cieco in quel punto e non udivo altra voce che quella della infinita mia repugnanza a quel posto e tutto mi parve lecito per disimpegnarmene.
Ma il Papa fu invincibile e mi disse che dopo ciò che aveva detto al Card. Herzan non poteva far cambiamenti e che per assumere un altro prelato non aveva un pretesto così naturale e giusto come per me, di cui poteva dire che avevo già tutti li affari in mano: mi disse che la mia medesima repugnanza lo invogliava maggiormente di avermi al suo fianco e aggiunse cose, che la sola bontà sua gli dettò e non alcun merito mio, e concluse infine che il suo riposo in questo primo spinoso affare e il suo disimbarazzo da un impegno così fecondo di conseguenze dipendeva dalla mia accettazione.
Fu impossibile di resistere a cosa di tal natura e, gittatomi ai suoi piedi nel dimandargli perdono di una repugnanza che nasceva dal modo di pensare e non da mancanza di gratitudine o di desiderio di servirlo, mi ridussi a pregarlo che almeno non mi desse il titolo di Pro-Segretario di Stato, a cui avevo una repugnanza invincibile.
Egli mi rispose: «ma qual’altro titolo possiamo darle? come la chiameremo?» Io dissi: «Pro-Segretario di Sua Santità». Egli acconsentì e, abbracciandomi clementissimamente, mi congedò. io corsi subito alle stanze del Card. Braschi per pregarlo che, quando il Papa gli parlerebbe di ciò, egli non dimenticasse, se mai lo dimenticasse il Papa, di insistere e ottenere l’ordine di nominarmi nel biglietto nel modo accennato di sopra, e così poi avvenne.
In tal modo io mi trovai nell’impiego di Segretario di Stato, che non avrei mai sognato di coprire, tanto più che, il Card. Chiaramonti essendo sempre al suo Vescovado, io non avevo avuta con lui alcuna entratura e in Roma l’avevo visto una sola volta: in Conclave poi lo avevo visitato solamente nei tre giorni che era stato Capo d’Ordine, secondo lo stile da me tenutovi, come ho detto di sopra. Io non mi sottoscrissi mai, in tutto il tempo che esercitai da prelato quell’impiego, in altra forma che nella seguente, cioè Ercole Consalvi Uditore della Sacra Rota e Pro-Segretario di Sua Santità, ma tutti mi chiamavano Pro-Segretario di Stato senza che io potessi impedirlo.
Così verso i 18 o 20 di marzo io incominciai l’esercizio di quell’impiego”.
Non si può commentare una tale bravura!