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1796, Mastro Titta

1796
MASTRO TITTA ed il nostro Assessore Militare
Affronto ora un argomento molto particolare, ma, purtroppo, sono costretto a farlo per essere il più fedele possibile ai fatti storici.
Mentre scrivevo il capitolo precedente, visto che praticamente il nostro Cardinale era di fatto il Capo della Polizia, mi è venuto un dubbio a cui ho voluto dar seguito. Mi sono chiesto: ma il famoso “Mastro Titta” non aveva vissuto nello stesso periodo del Cardinale?
Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta, fu boia dello Stato Pontificio dal 1796 al 1864 e morì a novant’anni compiuti il 18 giugno 1869. Da non crederci: Mastro Titta ha vissuto di persona la “Storia” con la “S” maiuscola: la Rivoluzione Francese, la I Repubblica Romana, Pio VI, il Cardinale Consalvi, l’ascesa di Napoleone, la disfatta di Napoleone, il Congresso di Vienna, Mazzini, la II Repubblica Romana, Pio IX, la nascita dello Stato Italiano, Garibaldi e, persino, la “battaglia di Mentana”. Per un misero solo anno non ha assistito alla “Presa di Porta Pia”!
Non riesco a crederci: Mastro Titta ha iniziato la sua carriera di boia di Stato nel 1796, lo stesso anno in cui Ercole Consalvi fu nominato Assessore Militare! Cioè Ercole Consalvi fu il Capo di Mastro Titta!
Un’avvertenza: il lettore “sensibile” può (anzi: dovrebbe) saltare il seguito di questo capitolo e passare direttamente al prossimo. Non è divertente leggere le memorie di Mastro Titta. Ma chissà, forse, dopo quello che stiamo vedendo nelle guerre contemporane, non ci fa più effetto quello che Mastro Titta fece due secoli fa.
Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati.
Così iniziano le memorie di Mastro Titta “romanzate” da autore ignoto e pubblicate nel 1886.
Staccato il cadavere, gli spiccai innanzitutto la testa dal busto e infilzata sulla punta d’una lancia la rizzai sulla sommità del patibolo. Quindi con un accetta gli spaccai il petto e l’addome, divisi il corpo in quattro parti, con franchezza e precisione, come avrebbe potuto fare il più esperto macellaio, li appesi in mostra intorno al patibolo, dando prova così di un sangue freddo veramente eccezionale e quale si richiedeva a un esecutore, perché le sue giustizie riuscissero per davvero esemplari.
Avevo allora diciassette anni compiti, e l’animo mio non provò emozione alcuna. Ho sempre creduto che chi pecca deve espiare; e mi è sempre sembrato conforme ai dettami della ragione ed ai criteri della giustizia, che chi uccide debba essere ucciso
Il giorno 7 agosto 1797 fu uno de’ segnalati nella mia vita e lunga carriera. Ebbi l’onore di eseguire le mie funzioni per la prima volta in Roma, a piazza del Popolo, al cospetto de’ più eccelsi magistrati ecclesiastici, di insigni personaggi della Corte Pontificia, di ambasciatori, ministri, patrizi e dame del più alto ligniaggio, impiccando Giacomo Dell’Ascensione.
Quindi il nostro Assessore Militare era anche lui lì presente, visto che in quella data egli era ancora nel pieno delle sue funzioni.
“Era costui un pericolosissimo scassatore di botteghe, che dedicandosi a tal pericoloso mestiere, aveva saputo sottrarsi sempre alle indagini della punitiva giustizia e menar vita allegra, gioconda, lietissima. Ma dàlli e dàlli finì col cadere in una trappola tesagli con arte sottilissima.
Colto quasi in flagrante, tentò sulle prime di far resistenza, ma poi mise senno, si lasciò arrestare e condurre alle carceri, ove confessò tutti i suoi delitti. Condannato, non voleva saperne di subir la pena. Diceva che i suoi delitti non erano passibili di morte, che la sentenza era un abbominio. E ci volle del bello e del buono per metterlo legato sulla carretta. Mentre stavo per farlo salire sulla scala, mi diede un così terribile spintone che per poco non vacillai. Ma questo tratto villano mi inasprì e senza ulteriori complimenti, passatagli la corda al collo, lo mandai all’altro mondo, dove avrà portate le sue lagnanze contro la giustizia di Roma.