1776
L’ACCADEMIA ECCLESIASTICA
Per spiegare meglio in quale periodo storico ci troviamo, teniamo solo presente che il 1776 è l’anno della dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America dall’Inghilterra, che 7 anni dopo si sarebbe conclusa con la vittoria dell’esercito di George Washington sulle forze di re Giorgio III d’Inghilterra.
Questa posizione temporale mi dà la possibilità di precisare che fu questa dichiarazione d’indipendenza ad influenzare la Rivoluzione francese, che tanti guai porterà al nostro giovane Ercole Consalvi, e non viceversa.
In quello stesso anno, dunque, il giovane Ercole Consalvi esce dal Collegio di Frascati per entrare nell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici a Roma, in piazza della Minerva, dove, fino al 4 ottobre 1781, studiò scienze ecclesiastiche e civili (diritto). Aveva 19 anni e vi rimase fino a 24.
“Nell’ottobre del 1776 uscii dal Collegio di Frascati, dopo 5 anni e mezzo di dimora, ed entrai nella Accademia ecclesiastica in Roma. Il mio fratello Andrea rimase nel Collegio per terminare i studii.”
Fu grazie al titolo di “Marchese”, pur essendo un titolo recente, che gli fu permesso di frequentare le scuole nobili pontificie, “sicuro” trampolino di lancio per una “tranquilla” carriera ecclesiastica. Così almeno immaginava il Cardinale il proprio futuro. Vedremo invece che, purtroppo per lui, la sua carriera non sarà affatto tranquilla!
Guardando la composizione della sua “classe” del 1766, si scopre che Severoli, Nunzio a Vienna (e nel 1823 “mancato Papa”), fu un suo compagno di classe.
1776 la “classe” del Cardinale 19/enne
Ex-alunni della PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA
Severoli conte Antonio, Faenza, Nunzio Apostolico, Cardinale nel 1815
Consalvi marchese Ercole, Roma, Cardinale, Segretario di Stato.
Marazzani Visconte conte Giovanni Francesco, Piacenza, Cardinale nel 1826
Ercolani marchese Luigi, Senigallia, Cardinale nel 1806
Codronchi conte Antonio, Imola, Arcivescovo di Ravenna
Masi conte Giovanni Battista, Ferrara
Cavalli marchese Ferdinando, Ravenna
Fengonio conte Pietro, Spoleto
Bisleti marchese Adeodato, Veroli
Masini conte Nicolò, Cesena
Fantaguzzi conte Girolamo, Cesena
Rasponi conte Giuseppe, Ravenna
Leggendo i titoli delle Casate degli alunni, si intuisce del perché egli si sia così fortemente lamentato dell’accusa, formulatagli e fatta continuamente “pesare”, appunto dai suoi compagni di classe, che il suo titolo di “Marchese” non fosse paragonabile ai loro, essendo esso molto recente.
Nonostante, fossero passati così tanti anni da questo periodo trascorso in Accademia, quasi 40, il Cardinale proprio non l’aveva mai mandato giù, tanto da fargli iniziare le memorie con quel ricordo che sembra lo abbia fatto molto soffrire, sì da fargli scrivere che, se avesse voluto, avrebbe dimostrato facilmente che la sua famiglia era più antica della loro.
“Non mi presi mai alcun pensiero di produrre il mio esser Brunacci e non Consalvi, allorchè o la invidia, o la ignoranza della anzidetta mia qualità, fecero parlare talvolta della mia famiglia, come di famiglie di nobiltà nuova e non antica, perche i Consalvi non erano tali. Avrei potuto facilmente smentire tale imputazione o errore, ma persuaso che la più pregievole nobiltà è quella dell’animo e delle azioni, e conscio allo stesso tempo a me medesimo della falsità di quella taccia, per essere io Brunacci e non Consalvi (lo che però era pur noto a varii), disprezzai quella opinione, che con la sola esibizione in Campidoglio della mia discendenza potevo dileguare in un momento.”
Buon per lui che sicuramente non conosceva il contenuto di una lettera scritta dallo zio Filippo Carandini, non ancora nominato Cardinale, al fratello Girolamo che risiedeva a Modena, il quale Girolamo teneva i legami di tutti i Carandini sparsi per l’Italia, aggiornando di volta in volta l’albero genealogico, man mano che la parentela cresceva.
In questa lettera del 14 agosto del 1784, in risposta al fratello Girolamo, Filippo Carandini così scrive:
“Mi scordai di scrivervi il nome di Armanni (il marito della sorella Cassandra) che è Giovanni Battista e quello di Consalvi che è Giuseppe. Siccome questi parentadi non sono stati molto luminosi non saprei se fosse ben fatto di metterli in vista nell’albero della casa”.
Sicuramente il Cardinale si sarebbe molto arrabbiato con gli zii se avesse saputo di questa loro opinione visto che, a distanza di ben 40 anni, ancora ricordava malvolentieri gli sfottò subiti in Accademia. Tanto più che i rapporti con i vari ex-compagni di scuola, come i vari Severoli ed il Pacca, che ho ritrovato nella classe di Andrea, erano ancora molto stretti.
Bello, però, scoprire quanto ci tenesse alla Casa Brunacci, affermando che egli non era Consalvi, bensì Brunacci. Del resto, come ho scritto precedentemente, egli lo dimostrerà anche il giorno in cui dovrà scegliere lo stemma cardinalizio. Infatti il Cardinale sceglierà lo stemma di famiglia del nonno Gregorio, che era composto dai colori dei Brunacci più lo stemma dei Consalvi.
Tornando all’Accademia, vediamo che il futuro Cardinal Pacca, stretto collaboratore del nostro Cardinale, era nella stessa classe di Andrea.
1778
Ex-alunni della PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA
Pacca marchese Bartolomeo, Benevento, Nunzio Apostolico, Cardinale: 1809,
Pro-Segretario di Stato
Cesarei conte Francesco, Perugia, Cardinale: 1816
Onesti Braschi conte Romualdo, Cesena, Cardinale: 1786
Vidoni marchese Pietro, Cremona, Cardinale: 1816
Morozzo conte Giuseppe, Torino, Nunzio Apostolico, Cardinale: 1816
Morozzo conte Giuseppe, Torino, Nunzio Apostolico, Cardinale: 1816
Beccadelli Bologna marchese Ferdinando, Palermo
Guiccioli conte Giovanni Battista,Ravenna
Paolucci conte Marco, Forlì
Onorati marchese Settimio, Levi
Consalvi marchese Andrea, Roma
Pasolini conte Giovanni, Faenza
Precisiamo anche che ai quei tempi, come ci conferma il Wichterich, “era allora usanza che gli appartenenti alle famiglie nobili prestassero servizio presso la Corte Pontificia; se vi erano diversi figli, generalmente uno solo, il primogenito, restava in famiglia, il secondo entrava in convento, il terzo si procurava una qualche carica in Vaticano, per mezzo della quale seguiva la carriera che aveva il suo culmine nel berretto cardinalizio.”
Rovistando tra le “carte personali” del Cardinale, archiviate nel Fondo Consalvi dell’Archivio di Propaganda Fide, trovo una interessante testimonianza del 1780, una “Oratio” scritta dal Cardinale e pubblicata con il permesso dei suoi superiori, dedicata a Papa Pio VI, che riporto qui di seguito:
DE CHRISTI
IN COELUM ASCENSIONE
ORATIO
IN VATICANO HABITA
IV. NON. MA. MDCCLXXX.
PIO SEXTO
PONTEFICE MAXIMO
A MARCHIONE HERCULE CONSALVO
ACAD. NOB. ECCLESIASTICO
ROMAE
TYPIS MICHAELIS ANGELI BARBIELLINI AD MINERVAM
SUPERIORUM PERMISSU
Naturalmente, per entrare in questa Accademia “dei Nobili Ecclesiastici” non era sufficiente essere di origini “nobili”, ci voleva anche una buona raccomandazione. Non è difficile quindi pensare, che fu il Card. Duca di York a provvedervi.
Anche il fratello Andrea, terminati gli studi di Frascati, lo raggiunse all’Accademia. Qui Ercole vi rimase per 6 anni, uscendone nel 1782 insieme al fratello, che ve ne trascorse invece solo quattro.
“L’uno e l’altro inclinavamo allo stato ecclesiastico, ma io anche più di lui, e perciò lo abbracciai. Egli dopo qualche anno lasciò tale stato, non per ammogliarsi (ciò che non fece mai), ma perche la di lui salute non gli permetteva di consacrare alle occupazioni e studii tutte quelle ore.”
Sappiamo, quindi, che il motivo per cui il fratello Andrea non continuò nella carriera ecclesiastica fu la sua precaria salute. Viaggerà molto ma rimanendo sempre in contatto con il fratello.
Il Cardinale, invece, terminati gli studi, prese sì la carriera ecclesiastica ma si fermò al “Diaconato”, contraddicendo le sua vocazione iniziale. Perche cambiò idea?
Non volle mai prendere i “voti” sacerdotali, nonostante la richiesta esplicita fattagli da Pio VII, al momento del conferimento della carica cardinalizia.
Del perché di questa decisione, egli non ce ne rivela mai il motivo, neanche nelle sue “Memorie”. Gli era forse accaduto personalmente qualcosa di molto importante e grave, da fargli pensare di non esserne degno? Questa ipotesi non sarebbe da scartare, visto che egli era riconosciuto dai suoi contemporanei come uomo di integrità ed onestà morale fuori dal comune.