LA PLEBE
Di tratto in tratto si udivano grida e domande disperate di soccorso. Ora erano persone a cui i ladri forzavano porte di case e botteghe; ora erano donne che per qualche estrema necessità avevano osato di mettere piede fuori di casa, ed erano violate o rapite.
Talora la “Corte” (pattuglia di sbirri) volendo impedire qualche delitto, si azzuffava con malfattori, o con bravacci di principi, di ambasciatori, o di cardinali. Di quando in quando, il mattino, si aveva la spiegazione degli orrori accaduti di notte, vedendo portare sopra un mulo un malfattore, che si esponeva alla berlina e poi si assoggettava al cavalletto, ovvero vedendo penzolare dalle forche, a Piazza del Popolo, qualche assassino o ladrone così conciato, senza processo, senza forma di giudizio, e senza difesa.
Scrivendo della plebe romana, il Silvagni se ne esce con un altro elogio nei confronti del Cardinale:
“… negli Stati della Chiesa avvennero diecimila omicidi sotto il pontificato di Clemente XIII, che regnò dieci anni e sette mesi (1758-1769) ed in Roma soltanto, se ne commisero quattromila …
La plebe adunque cent’anni fa era rozza, sanguinaria, dedita all’ubbriachezza, feroce per gelosia, avida di giochi e di spettacoli, superstiziosa, fanatica, credula …
La fermezza dei primi anni del regno di Pio VI, ne diminuì la ferocia, l’Impero cominciò a disciplinarla, il Cardinal Consalvi continuò a dirozzarla …”.
Ad onda di tante belle prescrizioni contenute in cento bandi, si rubava, si borseggiava, si falsificavano bilancie e misure.
Né i plebei soli commettevano delitti. L’abate Ceracchi, che fu poi appiccato, uccise il fratello; il dottor Lunadei tolse a forza dal braccio del marito, ed in pubblico, la moglie; l’abate Anguilla, spedizioniere apostolico, commise un atroce delitto; il Principe Chigi avvelenò per gelosia il Cardinal Carandini (su cui torneremo) che ne scampò per miracolo; e così via via.