LA NOBILTA’ ROMANA
I Romani antichi pretendevano discendere dagli Dei; i moderni, più modesti, si contentano di discendere dagli antichi.
Questa pretesa che ora è raramente affermata, cento anni fa era sostenuta seriamente. Un patriziato avvezzo a creare Consoli, Imperatori e Papi, scegliendoli quasi sempre dalla Nobiltà Romana, non doveva dubitare della propria gloriosa discendenza, e poteva credere fermamente che il sangue degli Anici, dei Publicola, dei Massimi, scorresse nelle proprie vene.
E’ superfluo dire che quella era un’illusione. Il Patriziato Romano disperso e quasi distrutto nella guerra gotica, fu spento in seguito dalle invasioni barbariche.
La Nobiltà Medioevale ebbe origine o dal Papato, o dai fortunati condottieri, e questa stessa nobiltà medioevale era del tutto scomparsa nel secolo passato, quando finirono le ultime reliquie dei Conti, dei Frangipane, dei Gottifredi, degli Astalli, dei Cenci, ecc.
Già fin dai tempi di Leone X, Marcantonio Altieri aveva deplorato la distruzione delle famiglie romane, o spogliate dei beni o trucidate dai Papi.
Ché appunto mentre si eclissava la gloria dei discendenti di famosi Capitani, sorgevano altre fortunate famiglie che, germogliando su quel gran tronco del Vaticano, fondavano ciascuno vere dinastie. Dalla Toscana giunsero in Roma i Borghese, i Barberini, i Chigi, gli Aldobrandini, i Rospigliosi, i Corsini, gli Sforza, i Salviati, gli Strozzi, i Ricci. Da altre provincie vennero i Doria, i Riario, i Pallavicini, gli Odescalchi, i Rezzonico, i Boncompagni, gli Ottoboni, i Ludovisi, gli Albani, i Braschi (Pio VI).
Così il Patriziato Romano, a guisa di quello di Venezia, sceglieva il Principe nel suo seno, ed il Principe-Pontefice alimentava il Patriziato.
Penso che il Silvagni abbia descritto abbastanza bene la Roma in cui l’8 giugno del 1757 nacque il futuro Cardinale.
Ma, per non citare solo il Silvagni, notoriamente anticlericale, vediamo cosa scrive al riguardo Padre Wichterich:
“Lo Stato della Chiesa contava circa due milioni e mezzo di abitanti. Economicamente era retrogrado sotto ogni punto di vista. La condizione sociale delle classi inferiori era misera, e l’accattonaggio enormemente diffuso; la moralità pubblica e privata era in pessime condizioni.
Becattini, un ammiratore di Pio VI, ricorda che durante gli 11 anni di pontificato di Clemente XIII si verificarono circa 12.000 assassinii ed uccisioni, di cui circa 4.000 a Roma.
L’Ambasciatore della Repubblica di Venezia a Roma al tempo di Pio VI, Girolamo Zulian, riferisce: «La situazione interna dello Stato della Chiesa è nel massimo disordine. Il Governo perde sempre di più forza ed autorità.».
I Papi di allora erano contrari a qualsiasi riforma. Pio VI si opponeva ad ogni innovazione. Dell’educazione del popolo non si curava e non c’è quindi da meravigliarsi che le idee di Voltaire, Rousseau, Montesquieu, foriere di rivoluzione, non potessero entrare nello Stato della Chiesa. A Roma, nonostante la situazione generale malagevole, tra la popolazione regnava la calma ed una certa contentezza. Non si aveva l’idea di una vita migliore e non veniva in mente di pretenderla.”