1820
Don Modestino PELLICANI
Don Modestino PELLICANI
Trattasi di una supplica inviata al Cardinale, con lettera aperta e in stampa, da un certo Don Modestino PELLICANI, interessante non solo per le varie notizie storiche che si possono estrapolare dal contenuto, ma, soprattutto, per la scritta che vi si legge: “ITALIA 1820”.
MEMORIA
DA MILANO INVIATA ALLA DOMINANTE
PER SUA EMINENZA REVERENDISSIMA
IL SIGNOR CARDINALE CONSALVI
SEGRETARIO DI STATO DI SUA SANTITA’
A CUI VENNE CON UFFICJ RIMESSA
DA PERSONA TAGGUARDEVOLISSIMA SULLA META’ DI FEBBRAJO 1820
PER CONTO E NOME DELL’ORATORE
DON MODESTINO CAVALIER PELLICANI DI MACERATA
ABATE DI CAMPOFILONE
E TUTT’ORA SOSPESO INTERNUNZIO DI TORINO
ITALIA 1820
DA MILANO INVIATA ALLA DOMINANTE
PER SUA EMINENZA REVERENDISSIMA
IL SIGNOR CARDINALE CONSALVI
SEGRETARIO DI STATO DI SUA SANTITA’
A CUI VENNE CON UFFICJ RIMESSA
DA PERSONA TAGGUARDEVOLISSIMA SULLA META’ DI FEBBRAJO 1820
PER CONTO E NOME DELL’ORATORE
DON MODESTINO CAVALIER PELLICANI DI MACERATA
ABATE DI CAMPOFILONE
E TUTT’ORA SOSPESO INTERNUNZIO DI TORINO
ITALIA 1820
EMINENTISSIMO PRINCIPE
Il Cavaliere Abate Pellicani umilissimo ed ossequiosissimo Servitore dell’Eminenza Vostra Reverendissima, e da ormai cinque lustri anche addetto più specialmente alla Santa Sede, pieno di profondo rispetto si dà l’onore di rappresentarLe:
Che obbligato da parecchie circostanze ed affari a mutare ne’ mesi andati il soggiorno di Roma (*) in quello d’Imola, Bologna, Toscana, Genova e Milano, si è trovato anche al caso in essi ed in altri Luoghi di arossir tante volte quante state son le domande a lui fattesi nelle private e pubbliche Società sulla presente sua situazione e precedente Rappresentanza alla Real Corte di Torino.
(*) Ciò avvenne in Luglio 1819, ed all’effetto di accudire a parecchi interessi dell’unico suo nipote e pupillo ch’è tutt’ora nel Collegio Tolomei di Siena, come ancora per trattare varj proprj interessi col Consiglio Misto in Milano riunito per la Liquidazione del Debito Pubblico ec.
Cangiati parimenti in tutt’altro i riguardi che ad esso si ebbero fino a che fu dal Pubblico ravvisato qual’Internunzio della Santa Sede, si è dovuto anch’accorgere che tutte sono in suo sfavore le altrui opinioni non che i propositi che si tengono all’opportunità sulle vicende che lo riguardano.
Nota inoltra a Milano la sua persona per la condotta misurata che vi serbò ben due anni e mezzo nel cessato Regno d’Italia, come altresì per la trionfante sua stampata Memoria sull’Abbadia di Campofilone, tanto più il privato suo ritorno ha prodotto in questa capitale del Regno Lombardo-Veneto de’giudizj in di lui svantaggio, quanto che, accreditato da due anni e più nell’esercizio della sua Carica il fu suo semplice Segretario Abate Valenti, ei si è veduto senz’impiego, senza compensi e senz’alcuna considerazione contro ogni pubblico non che privato, e proprio attendimento.
Quello però ch’è riuscito più sensibile ancora all’animo dello scrivente, che ha posto il colmo alle sue amarezze, e che lo ha pure determinato a umiliare questa sua rispettosa Memoria a Vostra Eminenza con le quì sottoposte notizie che ha avuto comodo di procacciarsi sul come opinasi di lui in Piemonte ed in Torino segnatamente, dove viva abbastanza rimane anch’al presente la ricordanza di sua persona.
Appurato pertanto che il suo buon nome è malmenato da un tal partito sopra ogni credere, e che più o meno sono tutte sinistre le impressioni verso di lui, nella varietà de’ consiglj in proposito ricevuti, e de’ divisamenti immaginati in difesa del proprio onore, quello in oggi ha stimato anteponibile di render note a Vostra Eminenza le proprie idee nel mentre ancora quì raccolti Le accenna i ragionamenti che in Italia, in Piemonte e in Torino si tengono allorchè avviene di doversi parlare della di lui persona e Rappresentanza.
Avvolte dunque le altrui opinioni in un masso di equivoci e di supposti insussistenti, oscurata tralle più folte tenebre la un giorno splendida sua estimazione, precipitata eziandio in un abisso il più profondo la candida verità, che di meglio potea proporsi il ricorrente che sottomettere alla ben nota Sua rettitudine e penetrazione i ragionamenti sopraindicati che pur troppo feriscono da tanto tempo la buona di lui opinione?
Dicesi dunque che la dimenticanza in cui è stato posto sia un risultato dei sentimenti potuti manifestare contro il proprio Governo o da mal ponderati discorsi ch’abbia saputo mai proferire ne’ tempi andati contro la Real Famiglia di Savoja; da adesioni al passato ordine di cose, e da una vita o condotta men conveniente alla sua educazione ed al suo carattere.
Ch’eletto appena l’attual Pontefice, cominciò la sua Corte a mostrargli de’mali umori per molte voci contro lui divulgatesi, e per l’acquisto segnatamente di alcuni fondi ecclesiastici, che si disse aver fatto non appena tornato dal Piemonte alla Patria sua.
Che gravatosi pel suo Impiego di forti debiti, dovea averli potuto anche soddisfare senza tante tergiversazioni praticate fino al presente co’ sovventori, non ignorandosi tra le altre cose che dal suo stesso esiglio in Toscana gli avea il Pontefice al detto scopo conceduto di aggiudicare per qualche tempo ai Piemontesi creditori quelle annue lir. 7500 che ha tuttora la Reverenda Camera ne’ Monti della Città di Torino, e che a lui date vennero a titolo di stipendio allorchè fu spedito Internunzio presso la detta Corte.
Che senza qualche rilevante mancamento, fors’occulto alla Società ma palese al proprio Sovrano, non si saprebbe né intendere né spiegare quella pratica degradazione in cui trovasi in faccia al Pubblico dappoichè specialmente tornò Pio VII alla sua Sede e la Corte di Torino agli estesi Dominj de’ suoi Reali Predecessori.
Che noto altronde nel Piemonte il suo deciso attaccamento per tutto ciò che concerneva a suo tempo il decoro, i vantaggi e il buon servigio della Santa Sede e del Principato, non può presumersi ch’abbia il Governo senza imponenti ragioni paralizzata la di lui attività in un tempo in cui poteva più specialmente prevalersene.
Che rimessi quei che servivano ne’ loro Posti, anzi ancora avvanzati ad altri migliori, non si comprende il perché sia rimasto nella dejezione ed avvilimento il detto solo Internunzio di Torino, di cui pur non è ignoto il rispettoso attaccamento per la R. Casa di Savoja come del pari sono palesi le istanze che umiliò a tempo debito ad ambo le Corti o per ripristinarsi nel suo interrotto Ministero, o per sortirne e terminarlo colla dovuta sua convenienza.
Che sempre solita la S.ta S.e di rimovere onorevolmente dalla R. Corte chi ebbe l’onore di risiedervi per quella di Roma, sarà di eterna rimembranza il contrario fatto che si è veduto e si ammira tuttora nella persona del suo Inviato, di cui non potrà mai parlarsi anco nell’avvenire senza attribuirglisi de’falli segnalati e delle imperdonabili fellonie.
Che conosciuta la mitezza e clemenza d’un Pio VII, come nota all’Europa la magnanimità de’principj dell’illuminato Suo Primo Ministero, non si potrebbe conciliare un rigor senz’esempio contro un pubblico Pontificio Rappresentante se a di lui carico non esistessero colpe reali o demeriti straordinarj.
Che certe infine le indulgenze degli II. E RR. Sovrani anche verso i più immeritevoli, non si spiega perché il semplice Pellicani non sia stato, come tutti gli altri, compreso da tante amnistìe precedenti, o per lo meno dai recenti Trattati di Parigi e di Vienna, quand’anche avvolto fosse stato trovato in affari politici e d’opinione.
Più ed altre rimarcabili deduzioni ed eccezioni pur si potrebbono riferire sul temperamento cui si appigliò per rimanere alla meglio nella sua residenza anche dopo il richiamo che n’ebbe in Aprile del 1798 dalla così detta Repubblica Romana, come altresì sulla da pochi motivata di lui inabilità per sostenere e disimpegnare la Pontificia Rappresentanza, ma parlando mille fatti in suo favore contro quest’ultima imputazione, e dato sfogo eziandio del temperamento suddivisato nell’Apologìa ch’esibì di persona in Venezia all’Eminenza Vostra dopo creato il Regnante Sommo Pontefice, tanto più si dispensa dal riportare altre cose co’lor dettagli, quanto che si è prefisso la moderazione e la brevità nella presente sua Rimostranza.
Costretto nondimeno a difendere la compromessa sua convenienza non men per se che pe’ rapporti che lo legano alla famiglia, alla patria, alla società e all’Accademia Ecclesiastica in cui si gloria di aver vissuto per un sesennio, altro mezzo non conosce più conveniente che cercare e ferventemente implorare dal Santo Pedre e da Lei un Processo anche rigoroso, AMBEDUE assicurando sul proprio onore che le discolpe scevre saranno da ogni menoma ambiguità, e che franche, ingenue e leali saranno pure le risposte alle relative interpellazioni quando ancora arrecar gli dovessero conseguenze le più dannose.
Senza di ciò, e con un silenzio ulteriormente prolungato, che non saprebbe, Principe Eminentissimo, ritrovare e inventare la maldicenza dopo sua morte se tanto con effetto ideò mentre pur vive a tutto carico del suo buon nome e de’ suoi interessi?
Sì, Eminenza Revma, un PROCESSO l’oratore domanda a Sua Santita’ colla di Lei valevolissima mediazione e con fondate speranze di ottenerlo, perché non può la giustizia permettere che una creatura di Pio VI e a Lui non discara, un Pontificio Rappresentante, un Inviato a una R. Corte, dopo aver consumato i suoi bei giorni in seno all’avvilimento, scender debba al sepolcro con una maschera di cui mai intese di ricoprirsi, e che dee pure essergli stata male applicata in diverse guise da’ suoi malevoli nelle passate turbolenze e calamità.
Chi sa che non sia questo appunto il momento dalla Provvidenza ordinato ( come lo fu dopo un decennio per il riacquisto di sua Badìa) alla spiegazione di tanti equivoci, allo scioglimento di tanti enigmi, al diradamento di tante tenebre, alla produzione di notizie bene importanti e tutt’ora dalla stessa Vostra Eminenza non conosciute, alla tranquillità finalmente e al sollievo di un suddito in contumacia condannato benchè presente e da quattro e più lustri fino a quest’epoca sottoposto a mille sorta di avversità sol per aver servito con suo dispendio ne’ momenti i più disastrosi il proprio Principe presso un Monarca!
Un colpevole che non sente rimorsi, un reo che ignora fin le punite sue delinquenze, un deviato, che in tale ipotesi altro non brama se non ricredersi, emendarsi e in faccia al Pubblico disapprovare i suoi trascorsi verso due Corti, in che altra guisa potrebbe meglio condursi all’ordine, e disingannare sì lui che un Pubblico mal così prevenuto, che col comunicarglisi tutto ciò che può esister contro lui nella Segreteria di Stato, e che ha servito mirabilmente allo scopo de’ suoi avversarj, di cioè renderlo non grato a Sua Santità, inviso a Vostra Eminenza, inutile alla Santa Sede ed al Principato e di ammirazione, di stupore se non anche di scandalo alle private e pubbliche Società ?
Del rimanente, ritornando alle sovra già esposte cose abbastanza feconde di rilievi per se medesime, nulla più lo scrivente in questi foglj vi aggiugnerà, ma ben profitta di sì acconcia combinazione per protestare al Santo Padre, al Sagro Collegio ed a Vostra Eminenza che i sentimenti di ossequio e di vero attaccamento alla Santa Sede sono in lui stati, sono e saranno sempre uguali e conformi a quelli che professò con il cuor sulle labbra a’ piedi dell’immortal Pio VI sin da quando si degnò destinarlo Internunzio alla R. Corte di Torino.
Con queste rispettose sincerazioni che derivano dal più profondo dell’animo, e con analoghe disposizioni di finire i suoi giorni nella fermezza de’ suoi principj altro più non desidera, dopo l’ambito onore de’ rispettabili suoi riscontri e comandi, che di tracciare una più giusta norma ai successivi suoi pensamenti in affare sì delicato; e pieno infine del più sommesso ossequio e della più profonda venerazione bacia a Vostra Eminenza la Sacra Porpora.
PELLICANI
Il Cavaliere Abate Pellicani umilissimo ed ossequiosissimo Servitore dell’Eminenza Vostra Reverendissima, e da ormai cinque lustri anche addetto più specialmente alla Santa Sede, pieno di profondo rispetto si dà l’onore di rappresentarLe:
Che obbligato da parecchie circostanze ed affari a mutare ne’ mesi andati il soggiorno di Roma (*) in quello d’Imola, Bologna, Toscana, Genova e Milano, si è trovato anche al caso in essi ed in altri Luoghi di arossir tante volte quante state son le domande a lui fattesi nelle private e pubbliche Società sulla presente sua situazione e precedente Rappresentanza alla Real Corte di Torino.
(*) Ciò avvenne in Luglio 1819, ed all’effetto di accudire a parecchi interessi dell’unico suo nipote e pupillo ch’è tutt’ora nel Collegio Tolomei di Siena, come ancora per trattare varj proprj interessi col Consiglio Misto in Milano riunito per la Liquidazione del Debito Pubblico ec.
Cangiati parimenti in tutt’altro i riguardi che ad esso si ebbero fino a che fu dal Pubblico ravvisato qual’Internunzio della Santa Sede, si è dovuto anch’accorgere che tutte sono in suo sfavore le altrui opinioni non che i propositi che si tengono all’opportunità sulle vicende che lo riguardano.
Nota inoltra a Milano la sua persona per la condotta misurata che vi serbò ben due anni e mezzo nel cessato Regno d’Italia, come altresì per la trionfante sua stampata Memoria sull’Abbadia di Campofilone, tanto più il privato suo ritorno ha prodotto in questa capitale del Regno Lombardo-Veneto de’giudizj in di lui svantaggio, quanto che, accreditato da due anni e più nell’esercizio della sua Carica il fu suo semplice Segretario Abate Valenti, ei si è veduto senz’impiego, senza compensi e senz’alcuna considerazione contro ogni pubblico non che privato, e proprio attendimento.
Quello però ch’è riuscito più sensibile ancora all’animo dello scrivente, che ha posto il colmo alle sue amarezze, e che lo ha pure determinato a umiliare questa sua rispettosa Memoria a Vostra Eminenza con le quì sottoposte notizie che ha avuto comodo di procacciarsi sul come opinasi di lui in Piemonte ed in Torino segnatamente, dove viva abbastanza rimane anch’al presente la ricordanza di sua persona.
Appurato pertanto che il suo buon nome è malmenato da un tal partito sopra ogni credere, e che più o meno sono tutte sinistre le impressioni verso di lui, nella varietà de’ consiglj in proposito ricevuti, e de’ divisamenti immaginati in difesa del proprio onore, quello in oggi ha stimato anteponibile di render note a Vostra Eminenza le proprie idee nel mentre ancora quì raccolti Le accenna i ragionamenti che in Italia, in Piemonte e in Torino si tengono allorchè avviene di doversi parlare della di lui persona e Rappresentanza.
Avvolte dunque le altrui opinioni in un masso di equivoci e di supposti insussistenti, oscurata tralle più folte tenebre la un giorno splendida sua estimazione, precipitata eziandio in un abisso il più profondo la candida verità, che di meglio potea proporsi il ricorrente che sottomettere alla ben nota Sua rettitudine e penetrazione i ragionamenti sopraindicati che pur troppo feriscono da tanto tempo la buona di lui opinione?
Dicesi dunque che la dimenticanza in cui è stato posto sia un risultato dei sentimenti potuti manifestare contro il proprio Governo o da mal ponderati discorsi ch’abbia saputo mai proferire ne’ tempi andati contro la Real Famiglia di Savoja; da adesioni al passato ordine di cose, e da una vita o condotta men conveniente alla sua educazione ed al suo carattere.
Ch’eletto appena l’attual Pontefice, cominciò la sua Corte a mostrargli de’mali umori per molte voci contro lui divulgatesi, e per l’acquisto segnatamente di alcuni fondi ecclesiastici, che si disse aver fatto non appena tornato dal Piemonte alla Patria sua.
Che gravatosi pel suo Impiego di forti debiti, dovea averli potuto anche soddisfare senza tante tergiversazioni praticate fino al presente co’ sovventori, non ignorandosi tra le altre cose che dal suo stesso esiglio in Toscana gli avea il Pontefice al detto scopo conceduto di aggiudicare per qualche tempo ai Piemontesi creditori quelle annue lir. 7500 che ha tuttora la Reverenda Camera ne’ Monti della Città di Torino, e che a lui date vennero a titolo di stipendio allorchè fu spedito Internunzio presso la detta Corte.
Che senza qualche rilevante mancamento, fors’occulto alla Società ma palese al proprio Sovrano, non si saprebbe né intendere né spiegare quella pratica degradazione in cui trovasi in faccia al Pubblico dappoichè specialmente tornò Pio VII alla sua Sede e la Corte di Torino agli estesi Dominj de’ suoi Reali Predecessori.
Che noto altronde nel Piemonte il suo deciso attaccamento per tutto ciò che concerneva a suo tempo il decoro, i vantaggi e il buon servigio della Santa Sede e del Principato, non può presumersi ch’abbia il Governo senza imponenti ragioni paralizzata la di lui attività in un tempo in cui poteva più specialmente prevalersene.
Che rimessi quei che servivano ne’ loro Posti, anzi ancora avvanzati ad altri migliori, non si comprende il perché sia rimasto nella dejezione ed avvilimento il detto solo Internunzio di Torino, di cui pur non è ignoto il rispettoso attaccamento per la R. Casa di Savoja come del pari sono palesi le istanze che umiliò a tempo debito ad ambo le Corti o per ripristinarsi nel suo interrotto Ministero, o per sortirne e terminarlo colla dovuta sua convenienza.
Che sempre solita la S.ta S.e di rimovere onorevolmente dalla R. Corte chi ebbe l’onore di risiedervi per quella di Roma, sarà di eterna rimembranza il contrario fatto che si è veduto e si ammira tuttora nella persona del suo Inviato, di cui non potrà mai parlarsi anco nell’avvenire senza attribuirglisi de’falli segnalati e delle imperdonabili fellonie.
Che conosciuta la mitezza e clemenza d’un Pio VII, come nota all’Europa la magnanimità de’principj dell’illuminato Suo Primo Ministero, non si potrebbe conciliare un rigor senz’esempio contro un pubblico Pontificio Rappresentante se a di lui carico non esistessero colpe reali o demeriti straordinarj.
Che certe infine le indulgenze degli II. E RR. Sovrani anche verso i più immeritevoli, non si spiega perché il semplice Pellicani non sia stato, come tutti gli altri, compreso da tante amnistìe precedenti, o per lo meno dai recenti Trattati di Parigi e di Vienna, quand’anche avvolto fosse stato trovato in affari politici e d’opinione.
Più ed altre rimarcabili deduzioni ed eccezioni pur si potrebbono riferire sul temperamento cui si appigliò per rimanere alla meglio nella sua residenza anche dopo il richiamo che n’ebbe in Aprile del 1798 dalla così detta Repubblica Romana, come altresì sulla da pochi motivata di lui inabilità per sostenere e disimpegnare la Pontificia Rappresentanza, ma parlando mille fatti in suo favore contro quest’ultima imputazione, e dato sfogo eziandio del temperamento suddivisato nell’Apologìa ch’esibì di persona in Venezia all’Eminenza Vostra dopo creato il Regnante Sommo Pontefice, tanto più si dispensa dal riportare altre cose co’lor dettagli, quanto che si è prefisso la moderazione e la brevità nella presente sua Rimostranza.
Costretto nondimeno a difendere la compromessa sua convenienza non men per se che pe’ rapporti che lo legano alla famiglia, alla patria, alla società e all’Accademia Ecclesiastica in cui si gloria di aver vissuto per un sesennio, altro mezzo non conosce più conveniente che cercare e ferventemente implorare dal Santo Pedre e da Lei un Processo anche rigoroso, AMBEDUE assicurando sul proprio onore che le discolpe scevre saranno da ogni menoma ambiguità, e che franche, ingenue e leali saranno pure le risposte alle relative interpellazioni quando ancora arrecar gli dovessero conseguenze le più dannose.
Senza di ciò, e con un silenzio ulteriormente prolungato, che non saprebbe, Principe Eminentissimo, ritrovare e inventare la maldicenza dopo sua morte se tanto con effetto ideò mentre pur vive a tutto carico del suo buon nome e de’ suoi interessi?
Sì, Eminenza Revma, un PROCESSO l’oratore domanda a Sua Santita’ colla di Lei valevolissima mediazione e con fondate speranze di ottenerlo, perché non può la giustizia permettere che una creatura di Pio VI e a Lui non discara, un Pontificio Rappresentante, un Inviato a una R. Corte, dopo aver consumato i suoi bei giorni in seno all’avvilimento, scender debba al sepolcro con una maschera di cui mai intese di ricoprirsi, e che dee pure essergli stata male applicata in diverse guise da’ suoi malevoli nelle passate turbolenze e calamità.
Chi sa che non sia questo appunto il momento dalla Provvidenza ordinato ( come lo fu dopo un decennio per il riacquisto di sua Badìa) alla spiegazione di tanti equivoci, allo scioglimento di tanti enigmi, al diradamento di tante tenebre, alla produzione di notizie bene importanti e tutt’ora dalla stessa Vostra Eminenza non conosciute, alla tranquillità finalmente e al sollievo di un suddito in contumacia condannato benchè presente e da quattro e più lustri fino a quest’epoca sottoposto a mille sorta di avversità sol per aver servito con suo dispendio ne’ momenti i più disastrosi il proprio Principe presso un Monarca!
Un colpevole che non sente rimorsi, un reo che ignora fin le punite sue delinquenze, un deviato, che in tale ipotesi altro non brama se non ricredersi, emendarsi e in faccia al Pubblico disapprovare i suoi trascorsi verso due Corti, in che altra guisa potrebbe meglio condursi all’ordine, e disingannare sì lui che un Pubblico mal così prevenuto, che col comunicarglisi tutto ciò che può esister contro lui nella Segreteria di Stato, e che ha servito mirabilmente allo scopo de’ suoi avversarj, di cioè renderlo non grato a Sua Santità, inviso a Vostra Eminenza, inutile alla Santa Sede ed al Principato e di ammirazione, di stupore se non anche di scandalo alle private e pubbliche Società ?
Del rimanente, ritornando alle sovra già esposte cose abbastanza feconde di rilievi per se medesime, nulla più lo scrivente in questi foglj vi aggiugnerà, ma ben profitta di sì acconcia combinazione per protestare al Santo Padre, al Sagro Collegio ed a Vostra Eminenza che i sentimenti di ossequio e di vero attaccamento alla Santa Sede sono in lui stati, sono e saranno sempre uguali e conformi a quelli che professò con il cuor sulle labbra a’ piedi dell’immortal Pio VI sin da quando si degnò destinarlo Internunzio alla R. Corte di Torino.
Con queste rispettose sincerazioni che derivano dal più profondo dell’animo, e con analoghe disposizioni di finire i suoi giorni nella fermezza de’ suoi principj altro più non desidera, dopo l’ambito onore de’ rispettabili suoi riscontri e comandi, che di tracciare una più giusta norma ai successivi suoi pensamenti in affare sì delicato; e pieno infine del più sommesso ossequio e della più profonda venerazione bacia a Vostra Eminenza la Sacra Porpora.
PELLICANI