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1804, Napoleone viene incoronato Imperatore

1804
Pio VII si reca a Parigi
Napoleone viene incoronato Imperatore
Come di solito avviene in questi casi, Storia docet!, non ci si accontenta mai di lavorare solo per il bene della Patria e del Popolo. Ad un certo punto si cerca anche di mettere da parte qualche “briciola” per sé e per la propria famiglia, e così, tanto per cambiare, ci si fa incoronare “Imperatore”. Quando si dice: “l’appetito vien mangiando”!
Politicamente parlando”, invece, è uso dire che la nomina ad Imperatore fu un’idea geniale di Napoleone per riunire intorno alla sua persona la Francia intera, quella di tradizione monarchica e quella democratica, tale da scongiurare una possibile controrivoluzione per non perdere quanto fino ad allora conquistato con la rivoluzione stessa.
Altri affermano, invece, che se egli fosse rimasto Generale o Console, e si fosse fatto eleggere Presidente della Repubblica Francese, avrebbe dato molto di più! Senza contare che ci saremmo risparmiati, oltre ai suoi parenti, tante guerre che hanno mandato in rovina economica Nazioni intere per decenni.
Naturalmente vi fu anche chi spinse Napoleone al grande passo “per il bene della Francia”.
Il poeta Fontanes fu uno di essi e c’è chi addossa a lui il peccato originale. Fu lui che diede a Napoleone la “grande idea”.
Ce lo rivela il Fouché: “Mais je ne partegeais pas l’avis d’en venir à un concordat avec la cour de Rome. Dès le mois de jouin de l’année précédent (1801), le Cardinal Consalvi, Secrétaire d’Etat de la cour de Rome, s’était rendu à Paris sur son invitation. Je m’apercus bientot que ce projet n’était qu’un acheminement à un autre project d’une bien plus haute importance, et dont le poète Fontanes avait donné l’idée. Il fait remettre au Premier Consul, par sa soeur Elisa, dont il était l’amant, un Mémoire fort travaillé, et qui avait pour object de la porter à suivre Charlemagne pour modèle, et a cet effet, de s’allier à la cour de Rome, ainsi que Pépin et Charlemagne en avaient donné l’exemple.”
Certo che le memorie del Fouché sono una fonte inesauribile di notizie, direi alquanto diverse da quelle storico-ufficiali.
Il Fontanes, caduto Napoleone, si sbrigò naturalmente a negare le sue precedenti adulazioni servili, entrando nella numerosa schiera dei libellisti antinapoleonici.
Quest’uomo che non era neppure francese …” così scrisse il Fontanes.
Ma torniamo a Napoleone, che, messi in pratica i consigli degli adulatori, inizia la sua “carriera” di Imperatore dei Francesi facendo giustiziare il Duca di Enghien, Louis-Antoine-Henri de Condé de Bourbon, come responsabile di un complotto ai suoi danni, fortunatamente per lui scoperto e neutralizzato. La decisione di far fucilare il Duca fu presa da Napoleone in persona contro il parere dei suoi collaboratori e dell’opinione pubblica.
Il Ministro di Polizia, Fouchè, ci tramanda l’episodio con una famosa frase giunta fino a noi: "E’ peggio che un crimine. E’ una sciocchezza".
Questo argomento è stato recentemente trattato da Sergio Romano sul Corriere della Sera del 9.10.2005.
Sergio Romano, riferendosi al Fouchè, conclude il suo intervento con ironia: “Le memorie furono scritte dopo la caduta dell’Impero, quando Fouchè aveva un evidente interesse a sbiancare il suo passato. Vi riuscì infatti e divenne Ministro della Polizia di Luigi XVIII. Qualche mese dopo, tuttavia dovette dimettersi e abbandonare la Francia per passare gli ultimi anni della sua vita a Trieste. Ma a differenza di altri morì nel suo letto. Come si vede, un motto brillante al momento giusto può salvare la vita. Ecco perché molti di essi hanno tanti padri.”
Il 21 marzo del 1804 viene promulgato il Codice Civile Napoleonico. Codice su cui ancora oggi si basa la vita civile di ogni paese europeo. Vengono soppressi i privilegi nobiliari, si tutela la libertà personale dei cittadini e la loro uguaglianza davanti alla legge. Vengono introdotti il matrimonio civile ed il divorzio.
Purtroppo subito dopo, il 18 maggio, viene istituita anche l’ereditarietà dell’Impero. Come dire: “si predica bene, ma si razzola male!”.
Il 2 novembre 1804, Pio VII si reca a Parigi per incoronare Napoleone Imperatore dei Francesi ed il Cardinale rimane a Roma con pieni poteri.
Ai 2 novembre 1804 essendo partito il Papa per Parigi, per incoronarvi l’Imperadore Napoleone, rimasi in Roma con la plenipotenza assoluta in tutti gli affari sino al ritorno del Papa, che fu poco prima della Pentecoste del 1805.”
Ma, in che modo Napoleone riesce a convincere Pio VII a recarsi a Parigi? Era chiaro che nessuno a Roma si sarebbe mai fidato di Napoleone.
Sia Pio VII che tutta la Curia romana temevano che il Papa venisse trattenuto a Parigi in tempo indefinito facendogli fare la stessa fine di Pio VI.
In pratica Napoleone, attraverso lo zio Fesch, fece al Governo Pontificio due promesse: sui PRETI COSTITUZIONALISTI e sulle LEGGI ORGANICHE, che in seguito naturalmente non rispettò.
Furono queste parimenti le due ragioni, che, allorchè gli giunse la tanto pressante richiesta dello stesso Primo Console divenuto Imperadore, perché si conducesse a incoronarlo in Parigi, lo determinarono a vincere ogni altro riguardo e portarvisi.”
Entriamo nei particolari della negoziazione fatta tra il Governo Pontificio ed il Cardinale Fesch, zio di Napoleone e suo Ministro presso la Santa Sede.
La lunga negoziazione, ch’ebbe luogo prima di aderire all’invito e che si fece in Roma, tra il Card.Fesch Ministro di Francia e me, come Segretario di Stato, e direttamente anche col Papa stesso, tutta si raggirò su questo e non altro, sull’ottenere cioè una espressa e positiva e solenne e certa promessa officiale, che le anzidette domande del Papa sarebbero pienamente soddisfatte.
Basta consultare le carte di quella negoziazione, per convincersene.
Invano il Card. Fesch, per allettare alla adesione alla brama dell’Imperadore, nel principio stesso e in tutto il seguito della negoziazione, suggerì egli stesso e propose più volte che il Papa chiedesse per condizione della sua condiscendenza la restituzione delle 3 Legazioni ed un compenso per lo Stato di Avignone; e invano giunse più volte a biasimare che così non si facesse.
Il Papa stette sempre saldo nel ricusarsi a mischiar nulla di temporale in questo gran passo che gli si voleva far fare, di andare cioè a incoronare l’Imperadore, come nulla di temporale aveva voluto che si mischiasse in quello del Concordato; e stette sempre saldo nell’esiggere quelle due promesse relative allo spirituale, che gli erano tanto a cuore.
Dopo una lunga e sommamente burascosa negoziazione, di cui fanno fede le carte anzidette, si ebbe finalmente la formale e solenne promessa della più decisa cooperazione del Governo per la sommissione dei Costituzionali, che il Governo assicurò che avrebbe indotti a rinunziare alle loro Chiese, se non avessero voluto fare nelle mani del Papa in Parigi la ritrattazione nei termini da lui voluti, onde rimanesse così estinto lo scisma.
E quanto alle Leggi Organiche, si ebbe la promessa che Sua Maestà avrebbe soddisfatto a tutti i reclami già fatti dal Papa e di più anche ad altri che volesse farne.
Queste assicurazioni si ebbero ufficialmente non meno nelle Note del Card. Fesch in Roma, che in una lunga e dettagliata Nota del Ministro degli affari esteri Signor di Talleyrand al Card. Legato per inviarla al Papa, per ordine espresso dell’Imperadore.
Si ricevè ancora la promessa di soddisfare anche ai reclami fatti dal S. Padre per le violazioni fatte coi decreti del Vice Presidente Melzi del Concordato colla in allora Republica Italiana, nel qual Concordato non aveva punto giovato la cautela (suggerita al Papa dalla fatale esperienza della violazione fatta con le Leggi Organiche del Concordato Francese) di convenire con un’ articolo espresso che non si potessero fare altre Leggi o ordinazioni relative alle cose ecclesiastiche se non di concerto col Papa.
Ottenute nelle più solenni forme queste sicurezze, il Papa superò nella sola vista del bene della Religione ogni altro riguardo e nella rigida stagione, in età avanzata, con una assai debole salute e un viaggio incomodissimo e rapidissimo (come senza riguardo alcuno si volle) si condusse a Parigi.
Ma qual ne fu il frutto?
Le Leggi Organiche e i Decreti di Milano non furono revocati.
Quanto poi all’affare dei Vescovi costituzionali, se il Papa ebbe la consolazione di finalmente ottenere le loro ritrattazioni com’egli le voleva, non lo dovè al Governo, da cui non ebbe alcun’aiuto ad onta di tante e tanto solenni promesse, ma lo dovè all’aiuto del Cielo e alla impressione fatta nei loro cuori dalle attrattive della sua personale virtù, giacchè dopo avere essi osato sulle prime di ricusarsi anche in di lui presenza alle sue domande, vinti alla fine dalla efficacia dei suoi discorsi, dalla dolcezza delle sue maniere e dalla forza di una virtù, a cui non seppero resistere, fecero in iscritto quelle ritrattazioni e quelle accettazioni dei Giudizii della S. Sede sopra le Costituzioni del Clero, che avevano fin’allora ricusate.
Io dimenticava di riferire anche un’altra cosa essenziale, che dimostra con qual fede e con quali viste si procedè dal Governo nel fare il Concordato.
Finché questo non fu fatto si disse sempre dal Governo, che tutto quello che non si leggeva nel Concordato, rimaneva in piedi secondo le altre leggi della Chiesa. Ma dopo fatto, si disse che tutto quello che non era nel Concordato, non esisteva più e si intendeva abrogato, malgrado che non ci fosse il minimo principio di tale pretesa abrogazione.
Purtroppo, il principale timore, cioè quello di venir fatto prigioniero in Francia, come era accaduto precedentemente a Pio VI, si stava rivelando veritiero, ma Pio VII ed il Cardinale avevano preso le loro precauzioni, avendo provveduto a firmare un documento che rendeva vana la prigionia del Papa: si trattava di una lettera di dimissione del Papa!
Il Cardinale Francesco Maria Pignatelli, nato a Rosarno in Calabria (mori a Roma nel 1815 a 72 anni), fu il depositario della rinunzia di Pio VII al Pontificato, qualora gli si fosse fatta violenza nella sua missione a Parigi per la incoronazione.
Lo stesso Pio VII ce lo racconta, rivolgendosi in modo categorico a quel “grande Uffiziale”, di cui non volle mai dire il nome, il quale gli propose di trasferirsi definitivamente ad Avignone.
Si sparse la voce che Noi potremmo essere ritenuti in Francia. Ebbene! Ci si tolga pure la libertà: tutto abbiamo provveduto. Prima di partire da Roma abbiamo sottoscritto una regolare abdicazione, che doveva aver valore, quando fossimo gettati in una prigione: l’atto non può essere soggetto al potere de’ Francesi; il Cardinale Pignatelli n’è depositario in Palermo. E, quando si saranno manifestati i disegni che si meditano, non vi resterà nelle mani che un miserabile monaco, il quale chiamasi Barbara Chiaramonti.”
Il 2 dicembre 1804, finalmente Napoleone fu incoronato Imperatore, o meglio, si incoronò Imperatore da solo.