1796
Lo chiamavano “IL DIAVOLO”
“Nell’ottobre 1796 mi ruppi il braccio sinistro per essersi ribaltata la carrozza nella strada di Albano” e sempre “nel 1796, se non erro, fui fatto Assessore della Congregazione Militare”.
La vita del Cardinale cambiava tanto velocemente quanto gli avvenimenti nazionali.
Racconta il Wichterich che “Giorno e notte Consalvi dirigeva personalmente le operazioni della sua milizia: nulla gli sfuggiva dei piani e delle macchinazioni dei ribelli, che lo chiamavano il DIAVOLO”.
Si tratta di un complimento degli avversari per le sue doti organizzative ed i suoi successi operativi nei loro confronti od un modo di dire per mandarlo a quel paese?
Di fatto era accaduto che il desiderio del Cardinale di fare una vita tranquilla tra le varie scartoffie amministrative stava per essere definitivamente cancellato dall’entrata nella sua vita della Rivoluzione francese e di un personaggio che diventerà in seguito, contro la sua volontà e desiderio, un suo grande antagonista: Napoleone Bonaparte!
Marzo 1796, inizia l’offensiva francese in Italia contro l’Austria. Guida i Francesi il generale Napoleone Bonaparte, che a maggio sconfigge gli Austriaci a Lodi, mentre il mese precedente aveva firmato l’armistizio con Vittorio Amedeo III.
Ma come arrivò il Cardinale ad occupare un posto di così grande responsabilità e così pericoloso, e che gli porterà così tanti guai personali, non ultimo anche “fisici” con la frattura del braccio avvenuta durante i suoi “veloci” spostamenti?
Egli stesso ce ne fa un racconto talmente particolareggiato, che sarebbe veramente un peccato doverlo riassumere. Cosa che, appunto, eviterò di fare, anche perché si tratta di un pezzo di Storia a noi sconosciuta.
Premetto che l’italiano scritto del Cardinale è quello del 1812-13, con qualche parola scritta grammaticalmente in modo diverso da oggi. Per cui non si tratta assolutamente di errori di battuta.
“Il genere dei studii da me fatti e la mia avversione somma ad ogni specie di amministrazione e molto più di responsabilità, come ho già accennato, mi avevano fatto prevedere tutt'altra cosa, che quella di cui vado ora a discorrere.
Prima di tutto è necessario sapere che, allorquando lo spirito rivoluzionario si estese dalla Francia in altre regioni e si videro sorgere republiche e democrazie col rovescio dei legitimi governi, la contiguità allo Stato Pontificio della nuova Repubblica Cisalpina e i tentativi, che da questa si fecero con la seduzzione e anche con delle bande armate, d'invasione e sollevamento di varie parti della dominazione della Chiesa, obbligarono il Pontefice Pio VI, non per far la guerra ai Francesi, come si è voluto calunniarlo per coprire con tal manto la ingiustissima aggressione e spoglio di tanta parte dei suoi stati nel ladroneggio di Tolentino (19.2.1797), ma per impedire nell'interno dei suoi dominii le rivolte dei cattivi, eccitati dalli esterni esempii e maneggi, e per respingere le aggressioni dei Cisalpini, che spesso si reiteravano, ad accrescere il numero di quelle pochissime truppe, che voleva assoldare lo Stato della Chiesa.
E siccome mancava affatto chi avesse la capacità ed esperienza non meno per organizzare un qualche sistema militare, che per diriggerne alla occorrenza l'esercizio, fece venire a Roma il GeneraI Caprara, suo suddito, che si trovava al servizio austriaco, ma non in attualità di servizio in quel tempo.
Il nuovo sistema non era combinabile con la totale dipendenza del militare dal prelato Presidente delle armi, come si era praticato fino a quel tempo, né era possibile che un generale comandante fosse sotto i di lui ordini. Dall'altra parte non era secondo gli usi del Governo Ecclesiastico di Roma il commettere alcuna superiore ispezzione in verun genere di cose ai secolari, anziche ai ministri ecclesiastici.
Pensò quindi il Pontefice a combinare le cose in modo, che né il generale comandante fosse sotto la dipendenza di un prelato (assoggettandolo soltanto a quella del sovrano stesso per l'organo del suo primo ministro il Card. Seg. di Stato ), né mancasse al Governo il mezzo di avere, con l'opera di uno dei suoi prelati una ispezzione in dettaglio e continua sulle operazioni del militare medesimo.
Con tali viste, abolita la carica del Presidente delle armi, coperta fino a quel tempo da uno dei chierici di Camera, fu eretta la Congregazione militare, composta del general comandante e di altri 4 o 5 militari e di un prelato col titolo di assessore, il quale era l'organo della Segreteria di Stato e sorvegliava le operazioni e condotta della Congregazione medesima.
Questa Congregazione stabilita dal Pontefice Pio VI, fu poi confermata anche in più solenne forma dal di lui successore Pio VII, avendola inserita nella bolla Post diuturnas super restauratione Pontificii regiminis.
Di questa Congregazione volle il Pontefice Pio VI che io fossi il primo prelato assessore, che è quanto dire che fui nominato tale nella sua erezzione medesima.”
Non mi valsero preghiere né rimostranze sopra la mia somma avversione ad ogni impiego, che seco portasse una qualche responsabilità, ed è facile l’imaginare che in quei tempi burrascosissimi e quanto mai dir si possa difficilissimi questo impiego portava seco la massima di tutte le responsabilità, quella cioè della esistenza stessa del Pontificio Governo minacciata ogni giorno dalle aggressioni esterne anzidette e dalle interne manovre dei cattivi, i quali, anche in numero non grandissimo, pure alla vista della impunità e sicurezza, che loro dava la protezzione cisalpina e francese e dell'avvilimento e timore delli estremi mali in cui erano i buoni, tutto ardivano, tutto tentavano d'intraprendere.”
Ecco, però, venir fuori la “soddisfazione” di aver ben portato a termine il compito affidatogli.
“Io non parlerò delle fatiche immense e delle difficoltà gravissime di ogni genere che portò seco l'impianto e la sistemazione di questa nuova istituzione, contro di cui combattevano all'ombra di potenti protezzioni le antiche abitudini e gli antichi abusi e il malcontento di quelli che con la abolizione del vecchio sistema e stabilimento del nuovo perdevano l'influsso, gli arbitrii, le dannose e ingiuste prerogative e cose simili.
Con molta pazienza, molta fatica e molta fermezza e coraggio, poté riescire, se non di estinguerle (lo che era impossibile), di comprimerle almeno e renderle inefficaci ad impedire i buoni effetti di quello stabilimento, al di cui ben imaginato impianto, non meno che alla capacità, probità, zelo dei componenti e diligentissima attenzione all'esercizio delle proprie attribuzioni, il Governo Pontificio dove non solo la cessazione di tutti i precedenti disordini nella amministrazione ed economia del militare e nel servizio del medesimo e in ogni altro genere di cose, ma la conservazione stessa del suo dominio fino a che l'impeto irresistibile di una tanto superiore forza esteriore non lo rovesciò; di modo che se il Governo Francese non poté avere la soddisfazzione di far eseguire la detronizzazione del Papa per mezzo di interne rivolte, come si era proposto, e se fu costretto a levarsi la maschera e ad eseguirla con le sue proprie mani, alle cure e ai grandi servigii resi alla S. Sede dalla Congregazione Militare si deve onninamerite questo inapprezzabile merito.
Come non ho parlato delle fatiche e difficoltà che dovevano farsi e sormontarsi nell'impianto e sistemazione del nuovo stabilimento della Congregazione Militare, così non parlerò nemmeno di quelle, che si successero le une alle altre nel suo proseguimento, riferendomi alle carte che, conservate nel suo archivio, ne fanno fede e somministrano insiememente utilissime nozioni.”
Peccato, insomma, che per saperne di più, per capire perché lo chiamassero “il DIAVOLO”, ci sia bisogno di fare una ulteriore ricerca nell’archivio della Congregazione militare. Purtroppo, tempo e possibilità ci impediscono queste ulteriori ricerche, ma penso che non sia ugualmente difficile spiegarci questo suo comportamento.
Il Cardinale, come vedremo in seguito in altre occasioni, era una persona molto, anzi troppo, intelligente, qualità che unita al suo carattere di “perfezionista”, lo portava a fare il suo dovere in modo "molto scrupoloso". Se poi a tutto questo aggiungiamo la sua indubbia “onestà morale” così da non “voler mai cedere ai compromessi”, allora avremo la precisa spiegazione del perché verrà perseguitato da così tanti guai in così breve tempo.
Nel frattempo, tra una partita di caccia ed altro (il 29 aprile gli era morta la madre), il nostro Cardinale fa in tempo a rompersi anche il braccio sinistro.
“Nel seguente ottobre, andando insieme con i nipoti del Papa ad una cacciata fuori della Porta S. Giovanni, la carrozza ribaltò ed io mi ruppi il braccio sinistro, vicino al polso, oltre una quasi slogatura della spalla. Questa mi fece soffrire per molti giorni atrocissimi dolori, ma quanto alla rottura, che fu subito curata da un abile chirurgo, non mi diede dolore alcuno ne allora, ne poi.”
Forse ora ho capito del perché il Wichterich abbia pensato che la madre si fosse sentita male durante una partita di caccia fuori porta a San Giovanni. Si tratta di questo episodio! Solo che al Wichterich, essendo egli tedesco, era sfuggito che il Cardinale parlasse di “ottobre”, mentre la madre era morta in "aprile".
Comunque, il braccio rotto non fu niente, in confronto a quello che gli accadrà fra non molto!