ADELCHI BRUNACCI (1922-2010)
TESTIMONE DEL BOMBARDAMENTO INGLESE DEL 1944
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Dal giornale locale “Hinterland” del 2 giugno 1994
“3 giugno 1944 il più nefasto per i mentansi”
di Brunacci Adelchi
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Adelchi Brunacci scrive da Mentana il suo racconto del 3 giugno 1944.
Dopo l’armistizio, i tedeschi erano già in ritirata e gli alleati, arrivati a Roma, bombardarono alcuni punti strategici per ostruire il passaggio di alcune strade.
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I caduti in quell’episodio furono 72 cittadini di Mentana, ricordati in una stele presso il Monumento garibaldino. Ma la data del 3 giugno non è mai stata commemorata.
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"RICORDO ancora chiaramente quel giorno.
Il 3 giugno ’44 fu il più nefasto per il popolo mentanese.
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Io e mio fratello Archimede eravamo appena giunti nel nostro terreno in località Mezzaluna, per raccogliere le fave. Avevo appena preso il falcetto quando, improvvisamente, il cielo venne solcato da una pattuglia di aerei (Spitfire) inglesi. Uno di questi, seguito poi dagli altri, con una virata si diresse verso Mentana sopra la quale iniziò a sganciare le bombe.
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Dissi a mio fratello: “Nascondi il falcetto: Io corro a Mentana, tu vienimi dietro”.
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Con tutta la velocità che mi consentivano le gambe mi lanciai verso l’abitato, verso il mio paese: Mentana. E l’ironia del caso volle che, dopo circa 300 metri io incontrassi una donna che si chiamava proprio Mentana, Mentana Pandolfi, che mi chiese cosa stava accadendo. Lei non si era accorta di nulla. Correndo le risposi che c’era stato un borbandamento.
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Giunto all’incrocio con via Sant’Antonio mi venne incontro un gran nugolo di polvere. Un uomo gridava: “Poveri figli miei!” Era Erminio Tabanella. Correndo ancora, giunsi in via III Novembre, dove mi trovai davanti ad un spettacolo allucinante: le case erano scomparse su un tratto del lato sinistro. Era rimasto un gran cumulo di macerie.
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La casa di Pietro Moretti non era crollata del tutto. Lui miracolosamente illeso stava seduto sul letto, con le gambe penzoloni nel vuoto. Sulla destra, sopra una porta scardinata, una ragazza molto giovane gridava: “Portatemi via”. Il suo volto era tumefatto e la mandibola rotta. Io non la riconobbi, né riuscii a capire il suo nome quando me lo disse. La presi in braccio e la portai all’infermeria dei tedeschi, poco lontano, dove fu accolta e medicata con cortesia. Giunse poco dopo una donna che la riconobbe come sua nipote: questa donna era Giuliana Marcheggiani.
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Un rapido sguardo mi permise di capire che, dopo il Comune, per almeno 40 metri le case erano state distrutte e non ci volle molto a capire che intere famiglie erano morte sotto le macerie. Corsi a casa e, dopo aver constatato che i miei cari erano salvi, presi una pala. Con l’aiuto di mio fratello, poi di altri volontari, fu salvata anche una bambina che era figlia di Rodolfo Tedeschi.
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Qualcuno mi disse che lungo la strada, sotto le macerie, qualcuno gridava. Corsi con la mia pala e, dopo aver scavato con molta difficoltà portai alla luce Bruna, la ragazza che lavorava presso la famiglia del dottor Gaetano Lodi. L’esplosione l’aveva sorpresa mentre andava al lavatorio. Era bella e forte ma non riuscii a liberarla perché aveva una gamba sotto il longherone di una macchina tedesca. Rubai anche alcuni cric di macchine tedesche parcheggiate in piazza San Nicola per fare leva, ma non fui in grado di farlo. Intervennero allora i pompieri e solo allora la ragazza potè essere liberata. Ma all’ospedale la sua gamba fu amputata e il suo fisico non resse, tanto che morì il giorno dopo.
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Ho assistito anche alla fine di Fabio Lodi, aiutato dagli sforzi sovrumani del fratello e di un frate che fu meraviglioso a prestare i soccorsi. Ma fu inutile. Le sue ultime parole furono: “fratello mio, anche se tanto forte, non ce la farai a tirarmi fuori”. Dopodiché le macerie lo ricoprirono.
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Tra i morti che furono 72, c’era anche il mio amico Attilio Lodi. Qualche giorno prima, nel suo negozio, mi diceva che ormai la guerra era alla fine e ormai noi ne eravamo comunque fuori. Invece la morte era in agguato e lo ghermì proprio nel fiore degli anni. Ricordo tutto con profonda commozione: quando recuperammo il suo corpo, con quello della sorella e della mamma, del fratello e dei cuginetti, sembrava anche lui un bambino.
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Il prossimo 3 giugno saranno 50 anni da quel giorno. Sarebbe opportuno che la nostra città ricordasse i nostri fratelli morti con una commemorazione degna. Da parte mia, non posso che augurarmi che il mondo dopo tante assurde guerre, antiche o recenti, riesca finalmente a far scoppiare la pace. Ma per essere sensibili a tutto questo, lo credo fermamente, c’è bisogno di sapere."
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ADELCHI BRUNACCI (1922-2011)
2 giugno 1994