28 aprile 1815
Canova inviato a Parigi
Ed ora arriviamo finalmente a quella materia che tanto stava a cuore al Cardinale, tanto è vero che, mentre il Congresso di Vienna era ancora in corso, egli, in continuo contatto con il Papa, che nel frattempo era tornato a Roma, provvede ad inviare il Canova a Parigi con l’ordine di recuperare tutte le opere italiane trafugate da Napoleone.
Al Canova non riuscirà pienamente la missione, ma il Cardinale non glielo farà mai pesare, anzi gliene sarà eternamente riconoscente.
Ricordiamo con il Rinieri (nel primo volume della sua Diplomazia pontificia) cosa era precedentemente accaduto:
“Forse mai Roma e lo Stato pontificio non si erano trovati in condizioni così miserande, come nel tempo dell’elezione di Pio VII. Il tesoro vuoto ed indebitato; le campagne disertate per la triplice, invasione de’ francesi, de’ repubblicani; degli austro-napoletani; il Vaticano ed il Quirinale saccheggiati; i palazzi de’ Principi romani messi si può dire a ruba; il fior dei capi d’arte, in opere di statue, di quadri, di numismatica, di codici, di ceselleria esportato a Parigi su centinaia di carri, al cospetto dell’attonita e fremente Italia, e il resto a Napoli!».
Il seguito ce lo facciamo raccontare (vedere in A29) da un nostro contemporaneo, Antonio Cederna, il quale trattò esaurientemente questo argomento sulla “La Repubblica, di martedì, 2 febbraio 1993, pag. 36”.
Oltre ad Antonio Cederna, anche l’Associazione dei Romanisti, ha voluto ricordare il “romano” Ercole Consalvi, attraverso lo stesso episodio del recupero delle opere d’arte, con un bellissimo articolo del socio prof. Tarcisio Turco, pubblicato nella Strenna dei Romanisti nel 1984 (A30).
«Tutto quello che c’è di bello in Italia sarà nostro», aveva scritto Napoleone al Direttorio. E così fu!
Comunque, l’autore materiale di questa “selezione” fu il Barone Dominique-Vivant Denon, soprannominato “l’occhio di Bonaparte”.
Come il Canova per noi italiani, così Dominique Vivant Denon (1747-1825), perfetto sconosciuto ai più, fu per la Francia il suo alter-ego.
Se il Canova, alla caduta dell’Impero, riuscì a riportare in Italia la maggior parte delle opere d’arte trafugate da Napoleone, Dominique Vivant Denon riuscì ad impedirgli, però, il pieno successo, di cui il Canova sempre si dolse finché visse.
Infatti, è grazie a Dominique Vivant Denon che la Francia ha oggi il Louvre così come oggi noi lo conosciamo, ed è grazie allo stesso Dominique Vivant Denon che l’Italia fu predata, o meglio “depredata”, delle migliori opere d’arte da lui meticolosamente selezionate e consigliate a Napoleone, il quale (insieme allo zio Fesch) non se lo fece dire due volte.
Su un giudizio possiamo essere d’accordo con i Francesi, e cioè che egli fosse un uomo di grande cultura, da saper appunto “scegliere” le migliori opere che si trovavano nei territori occupati da Napoleone, che lui aveva già visitato quando era al servizio di Luigi XIV e che “rivisitò” inviato da Napoleone.
Sembra che da qualche parte, su una facciata del Louvre, sia stato scritto il suo nome a perenne ricordo. A proposito, il Louvre, ai suoi tempi si chiamava “Museo Napoleone”!
Ma torniamo alle opere d’arte trafugate. Sembra che alcune di esse presero una strada diversa dei Musei francesi, ad esempio quella della casa del Cardinale Fesch (A22).
Una tesi afferma che il Fesch abbia creato la sua collezione di opere d’arte attraverso acquisti pienamente legali. Un’altre afferma che il Fesch accompagnasse Dominique Vivant Denon durante i suoi viaggi in Italia alla ricerca di opere da inviare al Museo Napoleone.
Comunque, dall’inventario fatto alla sua morte, sappiamo che il Fesch era arrivato a possedere ben 16.000 quadri.
Il Museo Fesch di Ajaccio, raccoglie un’imponente collezione seconda in Francia solo a quella del Louvre, ricca di capolavori del Botticelli, Bellini e Tiziano, di cinque secoli di pittura italiana, dalla scuola di Giotto al XVIII secolo, donata dal Cardinale Fesch.
Ma come entrò il Fesch in possesso di tutti questi dipinti?
Nella biografia ufficiale vi è scritto che egli li ha tutti comprati, mentre in altri scritti si legge:
“Egli ebbe la fortuna di poter approfittare dei bottini d’arte che Napoleone portò con sé al rientro dalla prima campagna di conquista in Italia. I primi pezzi furono acquisiti direttamente dalla galleria dell’arciduca di Toscana che, terrorizzato dall’arrivo di Napoleone, cedette le superbe tele della sua collezione, tra cui spiccavano particolarmente le opere dei ‘primitivi’.
Divenuto esperto conoscitore dunque, il Fesch viaggiando al seguito dell’esercito napoleonico, prelevò i pezzi migliori dalle chiese, dai monasteri e dalle gallerie private per spedirli al Louvre e, in parte, per aggiungerli al suo «tesoro».”
Sergio Romano, collaboratore del Corriere della Sera, afferma però, con una logica disarmante che:
“Non credo che l’Arte Italiana godrebbe di tale universale reputazione se le sue opere non fossero presenti in alcuni fra i maggiori musei del mondo.
Il Louvre, il British Museum, la National Gallery di Washington, il Metropolitan di New York, l’Ermitage di Pietroburgo, la Alte Pinakotheke di Monaco di Baviera, il Prado di Madrid e il Kunst Historiches Museum di Vienna sono visitati ogni anno da milioni di persone provenienti da ogni continente. E in ciascuno di quei musei il visitatore trova l’Italia!”
Stimo molto Sergio Romano ma non mi trova assolutamente d’accordo!