Lettere del Patriarchi al Brunacci

Raccolta di lettere di Gasparo Patriarchi
dedicata alla Nobile Signora Teresa Rubbi dal Nobile Nuzio Zorzi
LETTERE INEDITE
DI
GASPARO PATRIARCHI
PADOVANO
dirette
ALL’ABATE GIOVANNI BRUNACCI
pubblicate per le nobili nozze
RUBBI – DA RIO
VENEZIA
Dalla tipografia di G.F. Merlo
1841
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Alla Nobile Signora
TERESA RUBBI
Le giuste brame dell’ottima vostra madre sono finalmente adempiute. Oggi voi andate a marito, e che più importa, vi disposate ad uomo illustre e gentile, il quale vi renderà certamente felice.
Tuttavia, sebbene vi si prepari un avvenire lieto lietissimo, non può non tornarvi amaro il pensiero che voi dovete abbandonare una madre, la quale riamata, tanto vi ama, come cantava il celebre Sannazaro, niuno saprebbe a giusto peso apprezzare. Ma vi consolate: se una madre vi tocca lasciare, un’altra ne ritroverete, che a quella non cederà nello affetto; se da Venezia vi dilungate, in una città formerete dimora, il cui soggiorno vi saprà grado se voi avvisiate ai molti titoli che illustre e cospicua la rendono.
Gli è appunto per farvi tenere di Padova la stima dovuta, che io, godendo del vostro maritaggio, v’offro alcune lettere inedite di famoso scrittore Padovano, il quale se fosse anche solo, e ve ne hanno a copia, basterebbe ad illustrare il nome della sua patria.
Gradite questa piccola offerta, ed abbiatemi sempre.
Venezia 22 Novembre 1841
Vostro Servitore
Nuzio Nob. Zorzi
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Caro Amico,
Evviva il Brunacci. La vostra dissertazione sopra le Canonichesse di S.Pietro di costì non può essere né più erudita, né più dotta, né più concludente. Lasciate che me ne rallegri con voi, e che senza pregiudizio della vostra modestia, vi dico che siete un critico giudizioso e di prima riga. Le fiancate poi che vi veggo dare al Muratori sopra la voce converso mi paiono ragionevoli. Egli sbagliò certamente su questo punto. Gli altri capi di erudizione squisita e pellegrina che s’incontrano toccati da maestro, e circa il vescovo Castellanense, e circa la giurisdizione che pare avesse questo sopra i Monaci di S.Giogio, e circa molti altri bei lumi di antichità, io stimo assaissimo, e vi fanno ben degno di applauso e di lode. Sicché mi converrà spendere mezzo luigi, come voi dite, per far l’acquisto di un’operetta che appunto è d’oro. Intanto pensate a mandarmela, e a darmi respiro come fanno ne’ registri e ne’ quaderni i solleciti creditori.
Veniamo al Nani. Una sua sorella si marita da qui a due anni con un conte Collalto.
Vi mando l’impronta d’un sigillo ch’è stato trovato nel territorio di Oderzo. Egli è d’un metallo che tira al rame, o di ottone cattivo. Se potessi disporre del sigillo medesimo, lo manderei. Il carattere mi pare del quattrocento, ma né il Zanetti, né io possiam rilevare la leggenda. Pensate voi. Credo che avrete veduta la bella iscrizione che stabilisce il sito dell’antica città d’Industria, scoperta di fresco sedici miglia lontana da Torino. Ella è commentata e spiegata assai dottamente da due valent’uomini della reale Università di Torino. Mostrano questi ch’era situata in un luogo ora detto Moenta sotto Chivasso, e correggono il Cluerio, il Cellario, il Ferrari, lo Stefano e l’Arduino, i quali tutti accennando la situazione di questa città, mentovata due volte da Plinio, vogliono che sia Casale. Può fare a vostro proposito il sapere, che gli abitanti di quella contrada conservano ancora il nome antico poco o nulla alterato, chiamandosi Lustria il villaggio. Se foste vago di vedere l’iscrizione, eccola:
GENIO ET HONORI L POMPEI L F POL HEBENNIANI EQ ROM EQ PVB Q AER P ET ALIM AEDIL II VIRO CVRATORI KALENDARIORUM REI P COLLEGIVM PASTOPHORUM INDVSTRIENSIVM PATRONO OB MERITA
Se foste anco voglioso di scorrere la dissertazione stampata, la spedirò.
Guardate quante finezze perché mi facciate credenza d’un mezzo luigi. Addio, addio.
Venezia, 25 agosto 1745
Il vostro vostrissimo
G. Patriarchi
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Caro Amico,
Ho tardato a scriver sin ora aspettando pure occasione opportuna da spedirvi l’involto. Giovedì appunto l’avrò, e venerdì o sabato li potrete ricevere dal noto libraio. Peraltro vi ringrazio delle notizie che mi avanzate, e che potrebbero servire a qualche stampatore oltramontano mirabilmente per aggiungerle come note alla vostra dissertazione. Il Zanetti me l’ha carpite, e se le ha volute per lui, tanta é la stima che fa di voi, e di qualunque notizia spettante alla barbara erudizione.
Peraltro Zanetti stesso, ch’è un altro me, ed anco vostro procuratore ed amico, ha voluto aiutarmi ancor egli a far debito vostro d’un mezzo luigi, col recarmi quasi violentemente una copia della vostra dissertazione. Il bello é poi questo, che va raminga di mano in mano, di lettere in lettere, e non curarsi di tornare a casa e sotto l’occhio del suo padrone, e maledetto sia quello che dica la compro, o la comprerò. Al solo abate Muazzo ne ho venduta una copia, e dà a leggerla a mille. Con tutto questo non serve, il libro è dotto e curioso, e non giacerà. L’operetta fu bene accolta dagli uomini dotti di qua, e tutti ne dicono bene. Coraggio a farne un’altra. – Le vite de’ Carraresi mi piacciono pure. Credetemi che v’immortalate facendole su quel modello, e con quell’oggetto che divisammo assieme. Coraggio, coraggio e se non vi piace il soggetto, scrivete di qualche altra cosa come vi aggrada. Basta che scriviate acciò il modo letterato sia messo a parte delle cognizioni pellegrine che avete voi in questi studi, e s’invoglino gli uomini sul vostro esempio, e sotto i vostro stendardi a rischiarare e a far rifiorire ne’ nostri le memorie tenebrose ed involte de’ barbari tempi.
Intanto io cogli amici avremo tutta la cura e dovuta attenzione di promuovere in ogni modo possibile lo spaccio delle opere vostre, e di render pregiato e stimabile il vostro nome. – Ieri fui con Zanetti a tenergli la scala acciò potesse copiare una vecchia iscrizione che abbiamo qui. Voi altri farete tanto che mi ridurrò forse ancor io a lasciare da parte le cose greche e romane, per darmi alle più vicine. Temo solo di non essere io in tempo, e più che altro, la fatica e il lavoro. Intanto spianate pure la strada voi altri, perché volendoci entrare, come quegli ch’ama il suo comodo, io non m’abbia a rompere il capo o le spalle. Addio, caro il mio Brunacci, addio; vogliatemi bene.
Settembre 1745
Patriarchi
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Caro Amico,
Ho ricevuto l’involto e la lettera vostra da Venezia in Castelfranco. L’uno e l’altra son giunti opportunamente, ond’è mio debito ringraziarvi per ambidue.
Mi rallegro che da’ novellisti di Firenze sia stata renduta giustizia e lode all’opera vostra. Veramente è un prodigio che quella serpe del Lami non abbia sparso il natural suo veleno; ma le cose vostre son si preziose e di sì buona natura, che non possono temere il tossico altrui. – De’ novellisti di Venezia non so che cosa dire. Mi è nuovo che il Lastesio avesse siffatto impiego. So bene che i giudicii di chiunque ne li facesse erano parziali, falsi e corrotti, nè mai mi ho potuto risolvere a farne conto. – Nè altro di ciò.
Quando sarò tornato a Venezia vedrò destramente d’introdurre il discorso coll’Abate Conti circa l’opera nota, e ne rileverò la sua intenzione. Ad ogni modo non credo d’ingannarvi se dico che non ne farem niente, sapendo ch’egli apprezza molto quell’opera come un dono che gli fu fatto. Tuttavia non sarà male il parlare.
Ho piacere ch’abbiate fatta commemorazione di me cogli eccellentissimi Marcelli, ma non posso ingollare quello che vi soggiunsero, ch’io fossi bello. Che cosa intendano non lo so. Addio.
Castelfranco, 24 ottobre 1745
Il V. Patriarchi
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Caro Amico,
Mazzate a me che son per madre di casa Mazzanti, e derivo da valorosi Scarampj per sangue! Che minacce o che bajate son queste? – Non vi basta di aver perdute le vecchie cuoja delle pecore, che volete anche arrischiare la vostra sì viva e fresca? – Io ve lo dico, non v’impatriarcate meco, chè v’impacciate assai male, nè varranno gli scudi o le spade del Manni a guardarvi dalla furia delle mie mazze. – lasciamo le burle. Se io son parco nelle mie lettere, ne siete la causa voi latri, che non mi comandate mai cosa alcuna, nè accettate lettere oziose. Ci vorrebbero pensieri scelti e profumati, come pellegrine, coeli coelorum, per poter scrivere all’uno o all’altro di voi altri, che siete padri e maestri della letteratura italiana. Le mie ciance v’annoierebbero, e non potendo altro darvi, come pur vedete da questa, stimo meglio esser breve o tacere. Peraltro mi pregio e de’ rimproveri vostri e di quelli del Manni, lusingandomi in certo modo così che le mie baje non sienvi discare, e se non posso venirvi innanzi con cose gravi e di erudizione, approviate anche le disutili che vi scrivo, e il mio buon volere.
L’amico Girardi m’ha ragguagliato intorno al partito che saggiamente si prese costì per la pubblicazione dell’insigne vostra raccolta. Io lodo questo senza fine, nè cesserò di commendare e il bel genio e la gentilezza di codesti signori, che malgrado delle insorte difficoltà, non si perdettero di coraggio, e ne vogliono uscire per acquistarsi così colla fama del nome vostro riputazione di gente amorosa della patria, degli studii più nobili, e de’ modi cortesi. Me ne rallegro con voi, nè posso se non animarvi al pronto conseguimento di questa lode. Informato ch’io meglio sia dell’ordine che si tiene, io cercherò dal mio canto tutta la via di giovarvi, e di fare a me qualche onore coll’aggiunta de’ nuovi nomi. Riveritemi gli amici comuni, ricordatevi de’ miei precetti, che con mia indicibile compiacenza so che sapeste usare a tempo con approvazione di tutti. Senz’altro colla stima ed affezione maggiore mi soscrivo.
Venezia, 19 Gennaio 1755
Tutto vostro
Patriarchi
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ANNOTAZIONI
Queste lettere, ottenute a merito della gentilezza del bibliotecario Cav. Abate Bettio, le sole ch’esistano ispedite del Patriarchi nella Marciana, furono tratte dal Codice CLVII della classe X dell’appendice dei Codici italiani.
Il Patriarchi è conosciuto per un suo Dizionario Italiano-Veneziano-Padovano stampato a Padova nel 1775, e ristampato con aggiunte nel 1796.
Il ragionamento, cui allude il Patriarchi nel principio della prima lettera, fu stampato in Padova nel 1745.