1999 – Ricorso al T.A.R. contro la divisione del Comune di Mentana

20.01.1999        
Ricorso di alcuni cittadini mentanesi contro la divisione del Comune di Mentana presentato al TAR della Regione Lazio.
Alcuni cittadini mentanesi, cercando di contrastare la divisione del Comune di Mentana in due Comuni autonomi, decisero di costituirsi in “Comitato per il NO” e presentarono al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR) il seguente RICORSO.
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(Seguirà la sentenza del TAR con la quale il Tribunale respinge il ricorso, dando così via libera alla divisione.)
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R I C O R S O
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Per il “COMITATO PER IL NO” del Comune di Mentana,
in persona del Presidente pro-tempore Sig.ra Emilia Ottavi
e dei cittadini
Francesco Mercuri,
Marco Spagnuolo
Alessandra Damiani
Antonio Vella
Giancarlo Pandolfi
Maurizio Brunacci
Renato Rosari
Giulia Rosari
Cecilio Rosari
Giuseppa Sebastiani
Giuseppe Prosperi
Marisa Salbetti
Ludovico Rosari
Tommaso Fiorenza
Alberto Lanzidei
Angela Sellisti
Gabriele Ribaldi
Settimio Ribaldi
Laura Ribaldi
Guglielmina Lodi
Angelo Moretti
Amelina Vallecorsa
Umberto Moretti
Agada Mosido
Marilena Fiorenza
Dino Tocchi
Alessandro Dari
Giancarlo Zagni
Antonio Finozzi
Luciano Zoppi
Roberto Zoppi
Davide Milonia
Mara Dominici
Maria Buzzi
Alberto Colò
M. Silvia Ingrosso
Raffaella Del Grande
Alberto Lucchesini
Edelwais Cresta
Angelo Dominaci
Antonella Quaranta
Pamela Odoardi
Silvana Vespa
Piero Odoardi
Stefano Ficarani
Cristiani Odoardi
Maria Alba Garuffo
Gianluca Lanzone
Michela Maurizi
Giovanni Lanzone
Mario Pandolfi
Fernanda Petrollini
Paolo Stocchi
Luca Properzi
Andrea Angelo
Gaetano Bevilacqua
Antonio Giacomoni
Guerrino Belardi
Bruno Piermarini
Antonio Balbi
Enzo Vicari
Giancarlo Ruggeri
Aldo Oliva
Claudio Fioravanti
Cesare Lucchesini
Romilda Galossi
Franco Barba
Walter Piccolo
Antonio Ruggeri
Osvaldo Valentini
Sestimo Verdecchia
Enrico Tempesta
Serena Rossi
Dario Alaimo
Luigi Moretti
Luciana Pacchera
Mascia Brunacci
Bruno Dettori
Delia Taddei
Giuseppe Galossi
Romolo Quaranta
Antonio Finozzi
Ignazio Diliberto
Augusto Fratangeli
Giuseppe Monea
Gaita Luciani
Maria Grazia Francioni
Anna Valenti
Giorgio Santoni
Graziella Gazzella
Mario Lattieri Barbato,
 
tutti residenti in Mentana elett.te dom.ti in Roma, via Adelaide n. 12, presso lo studio dell’Avv. Fabrizio Trani, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al presente atto.
contro
-la REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro-tempore
-il COMITATO PROMOTORE DEL COMUNE AUTONOMO DI FONTE NUOVA, in persona del Presidente pro-tempore Anna Di Pompeo.
e nei confronti
del MINISTERO DELL’INTERNO
e del COMUNE DI MENTANA
per l’annullamento
del decreto del Presidente della G.R.L. n. 1728 del 25 settembre 1998 (doc. 1) di indizione e di fissazione per il 29 novembre 1998 del referendum consultivo tra i cittadini dei Comuni di Mentana e Guidonia Montecelio per esprimere il loro parere in ordine all’istituzione del Comune autonomo di “Fonte Nuova”; della consultazione referendaria, svoltasi in data 29 novembre 1998, delle relative operazioni, dell’eventuale dichiarazione di accoglimento e relativo verbale; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresi la deliberazione del C.R.L. del 21 febbraio 1996 n. 83 (doc. 2) di regolarità formale della proposta di legge regionale di iniziativa popolare di istituzione del Comune di “Fonte Nuova”; della deliberazione del C.R.L. del 22 dicembre 1997 n. 417 di indizione del referendum consuntivo (doc. 3); del decreto del Presidente della G.R.L. n. 500 del 19 marzo 1998 (doc. n. 4) di fissazione della consultazione referendaria per domenica 14 giugno 1998; della delibera del C.R.L. n. 433 del 22 aprile 1998 (doc. 5) che ha sospeso per un periodo di 90 giorni gli effetti giuridici della precedente delibera consiliare n. 417 del 22.12.1997; del decreto del P.R.G.L. n. 803 dell’11 maggio 1998 (doc. 6) di revoca del precedente decreto n. 500/98 e di rinvio all’emanazione di un successivo decreto per la fissazione della nuova data di convocazione del referendum.
FATTO
1.      In data 22 dicembre 1997, il Consiglio Regionale del Lazio, con delibera n. 417, dopo aver ritenuto la regolarità formale della proposta di legge regionale di iniziativa popolare concernente l’istituzione del Comune di “Fonte Nuova”, ha determinato di:
–         indire, per parti separate, un referendum consultivo tra tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni di Mentana e di Guidonia Montecelio;
–         di sottoporre a voto popolare il quesito nella seguente formulazione “E’ favorevole all’istiutzione del Comune di < Fonte Nuova > per distacco delle frazioni di Tor Lupara di Mentana e di Santa Lucia di Mentana dal Comune di Mentana (provincia di Roma) e della frazione di Tor Lupara di Guidonia di Montecelio per distacco dal Comune di Guidonia Montecelio (provincia di Roma)”;
–         di fissare la data di convocazione della consultazione entro 10 giorni dalla esecutività della deliberazione.
2.      Il Presidente della G.R.L., con decreto n. 500, del 19 marzo 1998, fissava per domenica 14 giugno 1998 la data di svolgimento del referendum, chiamando alla consultazione tutti i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei Comuni interessati. La motivazione di tale decisione (nella parte in cui la Regione aveva disatteso la richiesta del Comitato promotore di limitare la consultazione ai soli residenti le frazioni da distaccare), come si legge nella stessa delibera del C.R. n. 417/97 (doc. 3), era conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 433/1995 che aveva dichiarato incostituzionale quella parte della legge regionale 8 aprile 1980, n. 19, come modificata dalla legge regionale 20 agosto 1987, n. 49, che limitava la partecipazione alla consultazione dei referendum consultivi alle sole popolazioni interessate.
3.      Successivamente, però, lo stesso Consiglio Regionale, su pressione del Comitato promotore (preoccupato di non raggiungere il quorum dei votanti richiesto dalla legge in una consultazione referendaria correttamente estesa a tutti i cittadini dei comuni interessati), sospendeva, con delibera n. 433 del 22 aprile 1998 (doc. 5), il precedente provvedimento n. 417/98 per un periodo di 90 giorni sul presupposto di “approfondire le implicazioni della richiesta del comitato promotore anche attraverso una opportuna consultazione delle amministrazioni comunali”. E disponeva che, trascorso tale termine senza ulteriori determinazioni, riprendesse l’iter procedurale con un nuovo decreto del Presidente della Giunta regionale di fissazione della data di effettuazione del referendum. Tale sospensione veniva deliberata dal Consiglio regionale in aperto contrasto con la stessa motivazione posta a base del provvedimento sospeso (la citata sentenza della Corte), la univoca giurisprudenza in merito (Corte Cost. 27 luglio 1989, n. 453; TAR Toscana I. 22 febbraio 1996, n. 96), e soprattutto senza alcun potere (specialmente dopo il decreto del Presidente della Giunta n. 500/98 (doc. 4) che aveva già fissato per il 14 giugno 1998 la consultazione referendaria).
4.      Il Presidente della Giunta regionale, conseguentemente, con decreto n. 803/98 (doc. 6), revocava il precedente decreto (n. 500 del 1998) di fissazione della consultazione referendaria per il 14 giugno 1998.
La illegittimità dell’operazione regionale tesa a favorire il Comitato promotore, al dilà del pensabile, con ogni mezzo ed in ogni modo, non si limitò a rinvii e sospensioni, operate in barba ai termini perentori stabiliti nella legge regionale n. 19/80 (doc. 7) (la consultazione referendaria deve svolgersi entro 130 giorni dalla delibera consiliare di indizione del referendum), ma si spinse fino ad escludere totalmente i Comuni interessati, in aperto contrasto con lo statuto e con la stessa delibera di sospensione adottata proprio sul presupposto di “una opportuna consultazione delle amministrazioni comunali”.
Così, il Comune di Mentana che aspettava di essere consultato dalla Regione (secondo quanto disposto nella delibera del Consiglio regionale n. 433 del 1998), accortosi che l’ente aveva come scopo non già una legittima consultazione referendaria, ma unicamente l’obiettivo di assicurare il quorum nell’interesse del Comitato, allungando illegittimamente i termini procedurali, in modo da far svolgere il referendum insieme alle elezioni provinciali, approvò, pressoché all’unanimità, l’ordine del giorno n. 62 del 14.7.98. Con tale ordine, indirizzato alla Regione, il Comune sollevava alcune serie ragioni di riflessioni sul referendum sottolineando, fra l’altro, come la richiesta di smembramento del Comune, non solo sollevasse numerosi problemi, ma fosse palesamente contrastante con la legge regionale n. 19 del 1980 e con la L.R.L. del 30.7.96 che, in ottemperanza alla L. 142 del 1990 ed alle disposizioni contenute nelle leggi finanziarie, poneva limiti ben precisi alla costituzione di nuovi Comuni.
 
5.      La Regione, non prese neppure in esame gli atti dell’ente territoriale, che pure rappresentava la popolazione interessata al referendum, tesa come era a favorire unicamente il Comitato promotore. E per raggiungere tale scopo non si fece scrupolo di intervenire presso il Ministero dell’Interno per ottenere l’autorizzazione di fissare la consultazione referendaria lo stesso giorno delle elezioni provinciali. Anzi più precisamente, come risulta dalla stessa delibera del Presidente della G.R.L: n. 1728 del 25 settembre 1998, indiceva addirittura “una riunione tecnica in data 19 settembre 1998 presso la sede della Regione Lazio per la predisposizione di un Protocollo d’intesa da stipularsi tra il Ministero dell’Interno, la Regione Lazio e l’Amministrazione provinciale di Roma che permettesse, lo stesso giorno 29 settembre 1998, lo svolgimento congiunto della consultazione elettorale per l’elezione provinciale e per il referendum del nuovo Comune”. Con ciò evidenziando che i rinvii, le sospensioni degli effetti delle delibere, i ritardi, le palesi violazioni delle proprie determinazioni, il mancato rispetto dell’iter procedurale, la violazione di specifiche norme e sentenze, erano tese tutte all’unico scopo di disattendere i termini fissati dalla L.R.L. n. 19 del 1980 per poter fissare la consultazione referendaria in concomitanza con quella elettorale provinciale in modo da favorire, in aperta violazione della par condicio e del rispetto della volontà popolare, il Comitato promotore che era seriamente preoccupato di non raggiungere il quorum, così come sottolineavano alcuni organi di stampa locale.
DIRITTO
1.      VIOLAZIONE DELL’ART. 2 L.R.L. 18 DEL 1990. ECCESSO DI POTERE PER ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI, CARENZA DI POTERE, SVIAMENTO.
Ai sensi del secondo comma dell’art. 133 Cost., le Regioni possono con proprie leggi istituire nuovi Comuni o modificare le loro circoscrizioni “sentite le popolazioni interessate”.
La Regione Lazio, nell’ambito della sua potestà legislativa esclusiva, ha regolato la consultazione popolare, garantita dall’art. 133 cost., con la legge n. 19 del 1980 (doc. 7), disciplinando l’iter procedimentale, le modalità, i termini ed i modi della partecipazione popolare e dello svolgimento dei referendum consultivi. Tali disposizioni, dettando norme a garanzia del principio della autodeterminazione dei cittadini, sono “blindate”, cioè poste al riparo di condizionamenti non solo esterni ma anche della stessa Regione, con termini perentori che non possono essere disattesi, proprio per tutelare il libero e corretto esercizio di diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini.
Ebbene nel caso in esame, la Regione Lazio, pur di raggiungere l’obiettivo di far coincidere l’elezione provinciale con la consultazione referendaria, ha palesemente disatteso le sue stesse determinazioni legislative ed ha sospeso i termini perentori del procedimento posti dalla legge regionale n. 19, del 1980, a garanzia del regolare svolgimento dell’iter referendario e della par condicio dei soggetti interessati.
Illegittimità di non poco conto, considerando che i termini rivestono una enorme rilevanza in un sistema garantistico, in quanto tesi ad evitare che con brusche accelerate o esasperanti lungaggini, si possa influenzare la libera formazione della volontà popolare, riuscendo a fissare le consultazioni popolari in un periodo che si ritiene più favorevole ai propri desideranda. Influenza, ancor più rilevante per la consultazione referendaria che è legata ad un quorum minimo di votanti; fissare, infatti, la consultazione referendaria in pieno agosto significa palesemente aiutare coloro che ad essa si oppongono, in quanto sarà più difficile raggiungere il quorum, al contrario indirla insieme ad altre consultazioni elettorali significa agevolare il raggiungimento del quorum.
Rispettare i termini e le modalità dell’iter referendario legislativamente posti, significa, dunque, garantire da interferenze esterne o interne il corretto esercizio dell’iter referendario, nel rispetto della par condicio e delle forze in campo.
Nel caso di specie, invece, la Regione ha violato tutti i termini stabiliti dall’art. 2 della L.R.L. n. 19/80.
 
1.1 Violazione del primo comma dell’art. 2 della L.R.L. 8 aprile 1980 n. 19.
Il comma primo, dell’art. 2, L.R.L. n. 19 del 1980 (doc. 7), dispone che il referendum consultivo è indetto con decreto del Presidente della Giunta regionale da emanarsi entro dieci giorni dall’esecutività della deliberazione di indizione del referendum.
La deliberazione del C.R.L. n. 417 del 22.12.1997 (doc. 3) di indizione del referendum consultivo, pubblicata sul BUR in data 10.2.1998, non essendo soggetta a controllo, è divenuta esecutiva in data 20.2.98, ai sensi dell’art. 47 della L. 142 del 1990. Il Presidente della G.R.L. ha emanato il decreto di fissazione (n. 500) in data 19.03.98 (doc. 4), cioè ben oltre i dieci giorni indicati dal primo comma dell’art. 2 L.R.L. n. 19 del 1980.
Ancor più illegittimamente lo stesso Presidente ha successivamente revocato tale decreto, con provvedimento n. 803 del 1998, emanando quello definitivo solo in data 25 settembre 1998, cioè addirittura dopo sei mesi il provvedimento del Consiglio n. 417/97 del 22.12.1998 di indizione del referendum.
Il tutto in palese violazione dell’art. 2 della L.R.L. n. 19 del 1980.
1.2 Violazione del secondo comma dell’art. 2 della L.R.L. n. 19 del 1980; Eccesso di potere per sviamento; Carenza di potere.
Il comma secondo dell’art. 2 cit. dispone che il decreto del Presidente della G.R. che indice la consultazione referendaria, da emanarsi ai sensi del comma primo dell’art. cir., entro 10 giorni dal decreto consiliare di ammissione, deve fissare la data della convocazione degli elettori in una “domenica compresa tra il sessantesimo ed il centoventesimo giorno successivo a quello di emananazione del decreto stesso”. Cioè la consultazione referendaria deve essere fissata e svolta non oltre 130 giorni (120 + 10) dalla data di esecutività della delibera consiliare di ammissione del referendum. Poiché la delibera del Consiglio regionale di indizione del referendum è divenuta esecutiva in data 20.2.1998 (cfr punto 1.1), ne consegue che la consultazione referendaria si sarebbe dovuta svolgere, al massimo, entro il 30.6.1998.
Essa, invece, è stata fissata e si è svolta, in data 29 novembre 1998, contemporaneamente alle elezioni provinciali, dando così luogo ad una aperta violazione dei termini perentori fissati dalla legge ed a un evidente sviamento di potere.
2.      VIOLAZIONE DELL’ART. 2 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1980; ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO, CARENZA DI POTERE E DI MOTIVAZIONE.
Il Consiglio regionale del Lazio con la deliberazione n. 433 del 22 aprile 1998 (doc. 5) ha sospeso la deliberazione n. 417 del 22.12.1997 di indizione del referendum, dopo che il Presidente della Giunta Regionale aveva già fissato, in sua esecuzione, la consultazione referendaria in data 14 giugno 1998.
Sospensione che rende illegittimo l’intero iter procedimentale per violazione di legge, carenza di potere e sviamento, come risulta dalle seguenti considerazioni:
Il procedimento referendario fissato dalla L.R. n. 19 del 1980 è a competenze ripartite (l’ammissione è del Consiglio, l’indizione è del Presidente della Giunta) e successive, da esercitarsi entro termini perentori.
Da ciò consegue che la potestà discrezionale di sospensione dell’efficacia giuridica di un provvedimento può avvenire solo ed in quanto non sia già stata esercitata la competenza successiva. Infatti, in tal caso, la potestà di autotutela che, in via generale, potrebbe esercitarsi anche con la sospensione temporanea degli effetti dell’atto, non è più esercitatile con l’istituto della sospensione (in quanto il provvedimento è già stato eseguito con l’emanazione del successivo atto), ma con l’annullamento.
Nel caso di specie, il Consiglio Regionale ha sospeso l’esecutività del proprio provvedimento in data 22 aprile 1998 (doc. 5) cioè successivamente all’emanazione del decreto di fissazione del referendum emesso, in sua esecuzione, dal Presidente della Giunta in data 19 marzo 1998.
Il tutto incidendo in maniera illegittima nel procedimento del referendum ed obbligando il Presidente della Giunta Regionale a revocare il proprio decreto di fissazione.
Illegittimità ancora più grave ove si pensi che la sospensione ha inciso su termini perentori che la L.R.L. n. 19 del 1980 aveva posti a tutela della garanzia di esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, (la consultazione referendaria deve essere svolta entro 130 giorni dall’esecutività del decreto di ammissione).
Sospensione, in verità, operata all’unico scopo di procrastinare i termini perentori posti dalla legge regionale 19/80, in modo da poter fissare la consultazione referendaria insieme a quella elettorale per il rinnovo dei consigli provinciali.
Il tutto con un evidente sviamento di potere, reso ancor più palese dalla assoluta carenza di motivazione limitata in un “occorre approfondire le implicazioni della richiesta del comitato promotore” su una circostanza (la partecipazione di tutti i cittadini o di solo quelli residenti nelle frazioni da distaccare) che lo stesso Consiglio regionale aveva già ampiamente valutato, risolto e motivato proprio nel provvedimento sospeso (doc. 3): “vista la sentenza della Corte costituzionale n. 433 del settembre 1995 con la quale sono state dichiarate incostituzionali alcune disposizioni contenute nella legge regionale 8 aprile 1980, n. 19, come modificata dalla legge regionale 20 agosto 1987, n. 49, cioè quelle relative alla indicazione delle popolazioni interessate al referendum consultivo. Ritenuto che ai sensi della richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 433/1995 l’esito del referendum per essere considerato valido deve riportare la maggioranza dei voti in entrambi i Comuni di Mentana e di Guidonia Montecelio, i quali dovranno provvedere ad espletare il referendum stesso ciascuno nell’ambito del rispettivo territorio, così come previsto dalla legge regionale n. 19/80”.
Una sospensione, dunque, emanata senza alcuna ragione ed in assenza assoluta di interesse pubblico, se non quello palese di favorire una parte dei soggetti interessati alla consultazione, violando quella par condicio che la L.R.L. n. 19 del 1980 aveva voluto garantire disciplinando un procedimento con termini perentori.
Un procedimento, dunque, illegittimo in quanto “è illegittimo il provvedimento con cui l’Amministrazione sospende l’efficacia di una propria deliberazione senza motivare in ordine al pubblico interesse, adducendo soltanto ragioni di maggiore approfondimento della questione, in quanto la P.A. può portare ad esecuzione il proprio provvedimento assumendosene ogni responsabilità o procedere all’annullamento dello stesso nell’esercizio del potere di autotutela e non già soprassedere all’esecuzione dell’atto sulla base di detta motivazione” (TAR Lazio, I, 16 luglio 1991, n. 1308; TAR Lombardia, Milano, III, 15 marzo 1994, n. 143).
 
3.      VIOLAZIONE DELL’ART. 2 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1990.
In ogni caso, se pur si dovesse ritenere legittima la sospensione, ma così non è, risulta sempre violato l’art. 2 comma primo della legge regionale n. 19 del 1980 nella parte in cui impone al Presidente della Regione di emanare il decreto di fissazione del referendum entro dieci giorni dalla esecutività del provvedimento consiliare di ammissione.
Ed infatti, la delibera del C.R. n. 433, del 22 aprile 1998 (doc. 5), ha sospeso gli effetti giuridici della deliberazione n. 417 del 1997 “per un periodo di novanta giorni a decorrere dalla data della stessa deliberazione”, cioè fino al 22 luglio 1998. Data dalla quale il provvedimento di ammissione comincia ad essere nuovamente esecutivo e dalla quale, pertanto, cominciano a decorrere i dieci giorni stabiliti dall’art. 2, della L.R.L. n. 19 del 1980 entro i quali va emanato il decreto di fissazione della consultazione referendaria. Il decreto presidenziale di fissazione del referendum è stato emanato in data 25 settembre 1998, cioè ben oltre i dieci giorni previsti dall’art. 2 cit. Il tutto in palese violazione della legge.
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4.      VIOLAZIONE DEL QUARTO COMMA DELL’ART. 2 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1980.
Il comma quarto dell’art. 2 della L.R.L. n. 19 del 1980 prevede che il decreto di indizione del referendum consultivo sia pubblicato nel BUR entro dieci giorni dalla sua emanazione e notificato entro lo stesso termine al Commissario di Governo, al Presidente della Corte d’Appello di Roma, al Presidente delle commissioni mandamentali interessate, nonché al Sindaco dei Comuni interessati. Non risulta che i termini indicati siano stati rispettati e che il decreto sia stao notificato.
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5.      VIOLAZIONE DEL QUINTO COMMA DELL’ART. 2 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1980.
L’ultimo comma dell’art. 2 cit. prevede che, nei Comuni interessati, siano affissi quarantacinque giorni prima della data fissata per la votazione manifesti che contengano il giorno, il luogo della convocazione ed il testo della proposta di legge oggetto del referendum. Non risulta che manifesti di tal guisa siano stati affissi nei Comuni interessati e nei termini indicati.
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6.      VIOLAZIONE DEL COMMA SECONDO DELL’ART. 6 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1980.
L’art. 6 della Legge regionale n. 19 del 1980 prescrive “le operazioni di voto hanno inizio alle ore otto della domenica fissata nel decreto di indizione del referendum e terminano alle ore ventuno dello stesso giorno”.
In violazione di tale disposizione, le operazioni di voto per il referendum sono iniziate alle ore 7,00 e sono terminate alle ore 22,00 della domenica.
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7.      VIOLAZIONE DEL QUARTO COMMA DELL’ART. 6 DELLA L.R.L. N. 19 DEL 1980.
Il quarto comma del citato art. 6 prescrive che “le operazioni di scrutinio avvengono immediatamente dopo la chiusura delle urne e proseguono ad esaurimento”. In violazione di tale specifica disposizione lo scrutinio delle schede del referendum non solo è iniziato il giorno successivo a quello delle votazioni, ma anche dopo lo spoglio delle schede elettorali per il rinnovo del Consiglio regionale.
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8.      VIOLAZIONE DELL’ART. 5 DELLA LEGGE REGIONALE 19 SETTEMBRE 1974, N. 63; ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’, ERRONEITA’ NEI PRESUPPOSTI.
L’art. 5 della L.R.L. n. 63 del 1974 prevede che ai fini delle variazioni e determinazioni della costituzione di un nuovo Comune per distacco di frazioni dovrà essere predisposto, oltre al progetto di delimitazione territoriale, anche uno schema di bilancio “che rifletta la situazione patrimoniale e finanziaria degli enti interessati a variazione territoriale avventa”. Bilancio che ha assunto una valenza sempre più prevalente nella considerazione delle successive leggi finanziarie tese ad evitare che potessero essere costituiti Comuni per smembramento che non avessero la forza finanziaria di attendere alle proprie competenze ed alla cura del pubblico interesse.
Un bilancio, dunque, che rispecchi la situazione patrimoniale e finanziaria delle realtà territoriali che si intende variare e che perciò tenga conto, come d’altronde, richiede espressamente la norma, della variazione territoriale nel suo aspetto sociale ed economico. Insomma ciò che deve risultare dal bilancio non è la quantità del territorio da distaccare, ma la sua qualità economica e sociale (varia infatti profondamente il bilancio di un Comune se la parte da distaccare, indipendentemente dalla sua ampiezza e dalla popolazione ivi esistente, sia una zona ricca o no, sia produttiva oppure no, dia un reddito diretto al Comune o non, ecc. …).
Nulla di tutto ciò si riscontra nel sedicente schema di bilancio predisposto per il referendum (doc. 10), consistente nella fotocopia dei bilanci dei Comuni di Mentana e di Guidonia, riferiti nientemeno che al 1991 (cioè sette anni prima del referendum), con un riparto per il nuovo Comune da istituire in percentuale della popolazione da scorporare (45% per Mentana, 5% per Guidonia),.
Un semplice riparto (fra l’altro, del tutto illogico, in quanto vengono ripartite in quota percentuale anche le indennità di carica per il Sindaco, per il Segretario Generale, per i Consiglieri comunali) in cui non vi è traccia, né della situazione finanziaria conseguente alle valutazioni in termini economici delle variazioni territoriali, soprattutto con riferimento alle attività economiche notoriamente prevalenti nel territorio dei due Comuni che maggiormente contribuiscono alle entrate comunali, né della situazione patrimoniale, cioè delle proprietà comunali, da definire in termine di redditività anche fondiaria e di utilità per le comunità locali. Né v’è neppure una specificazione dei diritti di uso civico gravanti sul territorio da smembrare; valutazione essenziale al fine del bilancio, poiché gli usi civici costituiscono fonte di reddito.
Evidente pertanto la violazione dell’art. 5 della legge regionale n. 63 del 1974.
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9.      VIOLAZIONE DEL SECONDO E TERZO COMMA DELL’ART. 5 DELLA L. 63 DEL 1974.
Il secondo e terzo comma dell’art. 5 stabiliscono che il progetto di delimitazione territoriale ed il progetto di bilancio devono essere pubblicate “all’albo pretorio dei Comuni interessati a partire dal quindicesimo giorno antecedente alla effettuazione del referendum fino alla chiusura delle votazioni”.
Come risulta dalla dichiarazione del Comune di Mentana la delimitazione territoriale ed il progetto di bilancio sono stati pubblicati all’albo pretorio il giorno 6 novembre 1998; cioè solo 13 giorni prima del 29 novembre 1998, data di effettuazione del referendum. Con evidente illegittimità dell’intero procedimento per violazione di legge.
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10. ECCESSO DI POTERE PER ERRONEITA’ NEI PRESUPPOSTI, CONTRADDITTORIETA’.
Il quesito referendario, riportato nelle schede fornite ai votanti è del seguente tenore: “E’ favorevole all’istituzione del Comune di FONTE NUOVA per distacco delle frazioni di Tor Lupara di Mentana e di Santa Lucia di Mentana dal Comune di Mentana (provincia di Roma) e della frazione di Tor Lupara di Guidonia Montecelio per distacco dal Comune di Guidonia Montecelio (provincia di Roma)” (doc. 11).
Orbene, come risulta dagli atti censuari e territoriali, le frazioni di Tor Lupara e di Santa Lucia risultano essere una pura invenzione dei promotori il referendum. Infatti, il territorio del Comune di Mentana è ripartito in “centro abitato di Mentana- Frazione geografica di Mentana; centro abitato di Tor Lupara; centro abitato di S. Lucia; Frazione di Castelchiodato” (doc.).
Il territorio è costituito, dunque da due frazioni “Mentana” e “Castelchiodato” e due centri abitati “Tor Lupara” e “Santa Lucia” che non hanno la configurazione giuridica e territoriale di frazione.
Pertanto illegittimo risulta il quesito referendario in quanto non trova rispondenza nella realtà effettuale e giuridica.
Ma c’è di più.
Risulta dal progetto di delimitazione territoriale non pubblicato nei termini previsti dall’art. 5 della L.R.L. n. 63 del 1974 (cfr. punto 7 del ricorso) e dalla proposta di legge di costituzione del nuovo Comune che il territorio interessato dal distacco dal Comune di Mentana è molto più esteso dei centri abitati di Tor Lupara e di Santa Lucia, comprendendo anche una parte consistente proprio della frazione di Mentana (Casali).
La planimetria allegata non lascia dubbi (doc. 13).
Ne consegue la illegittimità del quesito per mancanza corrispondenza sia con la delimitazione territoriale depositata presso la Regione che con l’art. 3 della proposta di legge sottoposta a referendum.
Contraddittorietà resa ancor più rilevante per la mancanza (sia nella proposta di legge, sia nella delimitazione, sia nel quesito) dell’indicazione in ettari o metri quadrati dell’estensione complessiva del territorio da distaccare.
Mancata corrispondenza che si riflette anche in uno sviamento della formazione della volontà dei consultati che si è formato su erronei presupposti e con cognizioni diverse da quelle realmente contenute nella proposta di legge sottoposta all’approvazione della Regione. Erroneità che ha falsato la consultazione referendaria in quanto può aver indotto gli abitanti della parte della frazione di Mentana, non indicata nel quesito referendario, ad esprimere il loro assenso al referendum sull’erroneo presupposto che la costituzione del nuovo Comune per distacco non contemplava la zona in cui insistono le loro proprietà.
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11. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’ MANIFESTA, ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI, VIOLAZIONE DELLE NORME SUGLI USI CIVICI.
I confini nel progetto di delimitazione territoriale sono stati tracciati senza alcun criterio né territoriale, né topografico, né patrimoniale. Con la conseguenza che la soluzione indicata nella proposta di legge (ripetiamo diversa da quella indicata nel quesito referendario) non appare sicuramente inquadrabile in alcun contesto logico. Essa, infatti, non è stata proposta né secondo le caratteristiche morfologiche e geografiche dei terreni da ripartire nei due Comuni, né della loro valutazione in termini economici (di reddito fondiario) né in termini di utilità locali, soprattutto con riferimento alle attività economiche produttive. Ne v’è una specificazione dei diritti di uso civico gravanti sugli stessi territori, dal momento che l’esercizio di questi diritti costituisce per i cittadini del Comune una fonte di sostentamento e di reddito.
Problema questo particolarmente rilevante nel Comune di Mentana in cui il territorio oggetto del nuovo Comune è costituito da parte di quei 900 ettari comprati dai cittadini di Mentana nel lontano 1916, dopo varie cause vinte presso le corti di Appello di Bologna (1904) e di Roma (1916) e divenuti di proprietà del Comune a seguito della soppressione dell’Università Agraria, destinati a demanio civico, ricadenti nell’ambito della L. 1766 del 1927, tuttora in vigore (doc. 14). Il loro utilizzo, fra l’altro, è disciplinato da uno specifico regolamento che stabilisce che gli “utenti” sono solo i residenti del Comune di Mentana e che la qualità di utente si perde con il trasferimento della propria residenza in altro Comune (doc. 15).
Residenza de iure trasferita per tutti coloro che abitano nel territorio dell’istituendo Comune di Fonte Nuova, ivi compresi quelli della frazione di Mentana (non indicata nel quesito referendario) che, senza essere stati preventivamente informati, saranno dichiarati decaduti dalla concessione. A ciò si aggiunga che l’art. 18 del regolamento, prescrive che gli utenti decaduti non possano “accampare” diritti di alcun genere anche per eventuali migliorie fatte nel fondo, (problema particolarmente grave per i numerosi utenti che hanno realizzato su tali aree, e spesso condonato senza affrancare, la loro abitazione o costruzioni destinate all’agricoltura).
Era necessario pertanto, prima di indire il referendum, valutare, e sottoporre alle autorità competenti, l’elemento rilevante degli usi civici che gravano sul territorio oggetto del referendum, nonché gli aspetti economici e giuridici ad essi connessi con particolare riferimento all’ammissibilità della consultazione, tenendo conto che la proprietà dei terreni è del Comune di Mentana.
Era altresì necessaria una adeguata informazione dei cittadini che, invece, è totalmente mancata, con evidente vizio della consultazione.
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12. VIOLAZIONE DELLA LEGGE REGIONALE N. 19 DEL 1980, VIOLAZIONE DELLA DELIBERA DEL C.C. N. 417 DEL 1997 DI AMMISSIONE DEL REFERENDUM; ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’ MANIFESTA, ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI.
La delibera consiliare di ammissione del referendum n. 417 del 1997 prescrive che la consultazione referendaria deve essere indetta “per parti separate” (doc.) Cioè i cittadini di ciascun Comune dovranno rispondere al quesito referendario relativo al proprio ambito territoriale. Infatti, ove così non fosse si avrebbe la non democratica conseguenza che i destini degli abitanti di un Comune, il cui territorio è maggiormente interessato dalla scissione o dalla annessione, verrebbe ad essere deciso dagli abitanti di un altro Comune, soltanto in minima parte interessato, che abbia un numero di votanti maggiori.
Con un quesito referendario non posto “per parti separate”, in violazione di legge e della delibera di ammissione, si è falsata quella autodeterminazione delle singole comunità locali riconosciuto e garantito dall’art. 133 della costituzione, poiché ogni comunità può determinarsi ed esprimere la propria volontà solo sul territorio del Comune in cui risiede. Far votare i cittadini del Comune di Mentana sulla scissione del Comune di Guidonia, o i cittadini del Comune di Guidonia sullo smembramento del Comune di Mentana significa attribuire poteri decisionali a comunità estranee all’ambito territoriale a cui appartengono, e coartare la volontà di altre comunità in violazione del principio costituzionalmente garantito di autodeterminazione della popolazione delle singole realtà territoriali interessate.
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13.        VIOLAZIONE DELLA LEGGE REGIONALE N. 30 DEL 1996.
I provvedimenti di ammissione e di indizione il referendum, pur richiamando nei “consideranda” la legge regionale 30 luglio 1996, n. 30 (doc. 16), hanno totalmente disatteso dalle disposizioni in essa contenute. E’ pur vero che l’art. 15 della stessa legge dispone la non applicazione ai procedimenti “in corso al momento della sua entrata in vigore”, ma è altrettanto vero che il procedimento in esame è iniziato oltre un anno e mezzo dopo l’approvazione della legge, con l’ammissione del referendum, cioè con la delibera del Consiglio regionale 22 dicembre 1997, n. 417.
Non rileva, infatti, né la presentazione delle comunicazioni dei cittadini (fra l’altro integrate successivamente all’entrata in vigore della legge) né la presa d’atto della regolarità formale della domanda, in quanto è solo con l’ammissione del referendum che inizia il relativo procedimento. Ciò è tanto vero che la stessa Regione negli atti e decreti regionali di ammissione ed indizione del referendum, richiama espressamente la legge n. 30 del 1996 (doc. 4 – 5).
Legge che risulta totalmente violata. In particolare:
a)      l’art. 3 della legge citata prescrive che “per l’istituzione di nuovi Comuni e per la riduzione territoriale di Comuni esistenti è altresì necessario che gli stessi abbiano i mezzi finanziari sufficienti ad assicurare i pubblici servizi a pareggio dei rispettivi bilanci”. Nessuno accertamento è stato compiuto in merito.
b)      il comma terzo dell’art. 9 cit. prevede al punto a) che la proposta di legge deve essere accompagnata da una “dettagliata descrizione dei confini dell’istituendo Comune e di tutti i Comuni interessati dalla variazione territoriale con riferimento alla situazione esistente e a quella risultante dalla istituzione o variazione”. Allegata alla proposta vi è una confusa indicazione dei confini solo dell’istituendo Comune (fra l’altro non coincidenti con quanto indicato nel quesito referendario).
c)      il punto c) dello stesso comma prescrive che alla proposta di legge vengano allegate “indicazioni di natura demografica, topografica, socio-economica, che motivino l’istituzione del nuovo Comune”. Nella relazione di accompagnamento non si rinvengono le indicazioni di carattere topografico (intese come descrizione particolare del terreno, della sua accidentalità, della giacenza delle valli, la direzione e l’altezza delle montagne, il corso e la larghezza dei fiumi, i laghi, le strade, ecc.) che motivino la divisione o la ragione di proprio quella delimitazione proposta.
d)      il punto d) dello stesso comma prescrive la necessità di “schemi di bilancio che riflettano la situazione patrimoniale e finanziaria del nuovo Comune o dei Comuni interessati dalla modifica territoriale, anche a modificazione avvenuta”. Come già indicato al punto 6 del ricorso, manca qualsiasi indicazione in merito che possa avere dignità di uno schema di bilancio.
e)      il punto e) dello stesso comma terzo, prevede che allegata alla legge vi sia anche “una proposta di riorganizzazione e di gestione dei servizi pubblici sul territorio interessato e che evidenzi i vantaggi economici per gli enti locali e la migliore resa dei servizi all’utenza”. Manca totalmente qualsiasi indicazione in merito.
f)        Il comma quinto dell’art. 9 cit. prescrive che tutta la documentazione indicata al comma stesso sia affissa negli albi pretori dei Comuni interessati almeno quindici giorni prima la indizione del referendum. Non risulta affisso all’albo per il termine legislativamente imposto non solo la documentazione mancante (per l’ovvia ragione dell’inesistenza) ma neanche quella esistente (anche se erronea ed insufficiente) come indicato al punto 7 del ricorso.
P.Q.M.
si chiede l’accoglimento del ricorso con ogni consequenziale pronuncia in ordine alle spese.
Roma, 20 gennaio 1999