1935, La Duchessa di Devonshire (ed il Leopardi) di Diego Angeli

LA DUCHESSA DI DEVONSHIRE
di DIEGO ANGELI

  Nel libro “ROMA ROMANTICA”, pubblicato nel 1935 a Milano dai fratelli TREVES EDITORI, Diego Angeli, a pag. 52, 53 e 54, fa parlare “il Signor Alfonso di Lamartine” della Duchessa di Devonshire e del Cardinal Consalvi:

Ma di tutte le figure romane, quella che più gli stava a cuore fu la Duchessa di Devonshire. < Ricca di un’immensa fortuna > egli dice di Lei nel < XLIX Entretien > del suo Corso familiare di letteratura < era bella, di una bellezza di cui ancora si potevano scorgere le tracce nella trasparenza delicata dei tratti >.
Aveva uno spirito rivolto sempre alle grandi cose, politica, arte, letteratura. La sua fortuna consacrata tutta agli artisti, le creava la parte di Mecenate europeo a Londra, a Parigi, a Roma.
E a Roma abitava, in un palazzo che era la Corte di ogni distinzione: uomini di Stato, poeti, scrittori, pittori, scultori, scienziati di tutte le nazioni vi si davano convegno.
Il più assiduo e il più caro dei suoi familiari era il Cardinale Consalvi, l’uomo più feneloniano
(1) che si possa immaginare e l’amico, meglio che il ministro, di Pio VII.
Ella adorava questo cardinale, che a traverso lei, influenzava la Corte di San Giacomo, mentre lei, per lui, governava Roma e le belle arti che sono il Regno dello studio.
La loro intimità era tale che taluno aveva insinuato essere essi riuniti da un matrimonio segreto, il Cardinale non essendo vincolato dagli Ordini Sacri.
Si diceva anche che ella avesse abiurato in mano sua il protestantesimo per praticare segretamente la religione cattolica.
Ma tutto ciò non era vero: uno dei soliti rumori che le apparenze fanno sorgere intorno agli uomini e alle donne celebri. Né meno la tomba dice tutto dopo la morte e il Cielo sa più segreti che la terra.”

 

(1)

Fénelon è stato un alto prelato cattolico francese, scrittore ed inventore della parola “mentore” nel significato di guida spirituale. “Feneloniano” può significare, appunto, un mentore, una guida, un riferimento morale e spirituale.



Comunque, la Duchessa di Devonshire aveva ricercato il poeta francese fino dal suo primo soggiorno a Roma.
Lo aveva presentato al Cardinale Consalvi e questi alla sua volta a Pio VII < le cui disgrazie e la cui bontà risplendevano sul suo volto più che la tiara sulla sua fronte >.
Timidissimo, il Lamartine era trattato dalla signora inglese come un figlio, sì che egli viveva in una strettissima intimità quotidiana. E questa amicizia era tanto profonda che ella volle rammentarsi di lui in punto di morte, lasciandogli un ricordo tangibile, che lo stesso Lamartine considerava inutile serbandole nel cuore il più caro e il più profondo dei ricordi.
Di quel suo soggiorno romano, sono numerose le traccie che si trovano nell’opera sua; come numerose sono le rimembranze per la sua grande amica inglese a cui dedicava le strofe – più tosto enfatiche – alla Libertà nelle < Nouvelles Meditations > strofe suggeritegli da una visita notturna al Colosseo.
Ricordate?
J’aime, j’aime à venir rever sur ce tombeau
à l’heure où de la nuit le lugubre flambeau,
comme loeil du passé flottant sur des ruines,
d’un pale demi-deuil revet le sept collines …
Ma si tratta di pura finzione poetica, perchè la gita notturna al Colosseo aveva avuto un’origine tutt’altro che lugubre.
Una sera in fatti – era al principio della primavera e l’aria < sapeva di buono > – avendo la Duchessa preparato un gran ballo nel suo palazzo del Foro Traiano, tutto a un tratto, padrona di casa e invitati ebbero l’idea di andare a finire la serata al Colosseo.
In un attimo i musicanti furono caricati su tutte le carrozze disponibili, mentre con altre carrozze tutto quel mondo elegante si precipitò, così, in grande acconciatura da ballo, verso l’anfiteatro Flavio che allora aveva l’arena non pur deturpata dall’inutile scavo odierno.
Là giunti, fecero salire l’orchestra sopra l’antico podio imperiale, e le danze interrotte ripresero con una animazione indiavolata, mentre un gruppo di popolani attirati da quel fracasso si erano appollaiati sulle gradinate circostanti, godendosi di quella sarabanda elegantissima al lume della luna.
Spettacolo – come si vede – del più schietto romanticismo.
C’era la luna, c’era la rozza croce di legno, c’erano le rovine e c’era perfino il chiarore fumigante delle torce, con le quali i servi della signora inglese, illuminavano i dubbi antri dei vomitoria vespasianei.

A pag. 92, Diego Angeli, nel capitolo “Le navi del lago di Nemi“, cita di nuovo la Duchessa di Devonshire: D’altra parte in quel principio di secolo era presa una grande passione per gli scavi. Già il grande Napoleone aveva ordinato al Camporesi d’iniziare quella sistemazione del Foro Romano che nel corso di cento anni doveva rivelare tante meraviglie archeologiche. E, dopo di lui, la Duchessa di Devonshire aveva ripreso a sue spese gli scavi, facendovi lavorare non già i galeotti – come allora era in uso – ma squadre di liberi terrazzieri generosamente retribuiti. La qual cosa fruttò alla illustre signora inglese l’elogio e il ringraziamento del Cardinale Consalvi e del Governo pontificio. Fu allora una vera ventata di curiosità archeologica.

A pag. 111, Diego Angeli, nel divertentissimo capitolo “Come Leopardi non vide Roma“, scrive del Cardinale che fa di tutto, ma inutilmente, per aiutare l’eterno insoddisfatto Leopardi: … A tutti questi elementi negativi bisogna aggiungere le disillusioni che il Leopardi dovette provare nella ricerca di una posizione sociale. A Roma egli era venuto principalmente per questo scopo e questo scopo non aveva ottenuto nessun risultato pratico. Bisogna dire che egli – terrorizzato dall’idea di dovervisi stabilire – aveva messo quel tanto di cattiva volontà per allontanare un simile pericolo. … A occuparsi di lui fu specialmente sollecito il Niebhur, che lo raccomandò di persona e con molto calore al Consalvi, come uno degli italiani che più onoravano il suo paese e più promettevano un avvenire di gloria. E il Consalvi aveva accolto abbastanza bene quella raccomandazione, consigliando al Leopardi di < prendere l’abito di Corte, il quale gli avrebbe aperto la strada ad impieghi ed onori >. Ma questo consiglio lo laciò perplesso. … Alla fine, il Leopardi conchiuse per un rifiuto. … Pensò allora ad un impiego secolare, e fissò gli occhi su quello di Cancelliere del Censo, e per una nuova raccomandazione in proposito si recò dal Niebhur che, anche questa volta, lo favorì con grande calore. … E pur troppo tutto quell’armeggio si ridusse a nienteIl soggiorno romano del recanatese fu dunque ciò che oggi si chiamerebbe < un insuccesso >. Insuccesso pratico e insuccesso sentimentale; chè non riuscì ad avere un impiego e Roma non gli piacque. … Tre anni dopo, infatti, essendo di nuovo ritornato alla carica per un impiego governativo e questa volta appoggiato dal Bunsen, si ebbe l’offerta del Cardinale  di Stato di una cattedra a Roma. Ma il pensiero di ritornare in quella aborrita città, fu così insostenibile, che ringraziò e rifiutò

A proposito del padre di Leopardi, Monaldo, in questo sito ho già scritto di lui nel Cardinale che abolisce l’uso del latino.

A pag. 129, nel capitolo “I tre soggiorni della divina Giulietta“, Diego Angeli ci parla dell’amicizia tra Madame Récamier e la Duchessa di Devonshire. Io ne avevo già scritto nel Cap. XV nel ricordare la morte del Cardinale.
Diego Angeli conferma quanto avevo già anticipato: … Il primo soggiorno a Roma della signora Récamier, fu del 1813. … Il secondo soggiorno della signora Récamier a Roma, doveva avvenire dieci anni dopo … A Roma era arrivata gli ultimi giorni di novembre del ’23 ed era scesa in un appartamento immobiliato della Via del Babuino, che le aveva procurato quella bizzarra Duchessa di Devonshire, che fu la sua amica di quel soggiorno romano. … La sua grande amica, di questo soggiorno, fu quella singolare figura di donna che era stata battezzata < La Regina dei romani > e che rappresentava in quel principio di secolo, la più pura espressione della bella donna romantica quale si riproducava negli eleganti < acciaiai > delle innumerevoli Heepsakes del tempo. La Duchessa di Devonshire, fu bella, dotta, elegante, appassionata, e con Madane Réecamier si legò subito, e la invitò in quel suo salotto cosmopolita. La Récamier ne divenne più che l’amica, la confidente. Fu anzi insieme con la Duchessa che ella si recò a visitare la salma del Cardinale Consalvi, di quel prelato illustre che della Devonshire era stato amico fedele.  E fu una visita tragica in quel palazzo invaso da una moltitudine di curiosi, mentre la Duchessa, < que le contraste de ses vetements noirs avec la paleur blanche de son teint faisait ressembler à une ombre >, immobile accanto a lei e  a sua nipote inginocchiate presso la salma appariva veramente come < le type frappant du désespoir contenu >.