1817, il Cardinale compie 60 anni

8 GIUGNO 1817
Il Cardinale compie 60 anni
si parla di una congiura per avvelenarlo
Nel 1817, troviamo di nuovo Mastro Titta che, nel raccontarci la decapitazione eseguita il venti di gennaio a Macerata a scapito dell’uxoricida Saverio Gattofoni, ne trae un’interessante riflessione.
Da Pusolo, da Recanati, da Civitanova e da tutti i paesi circonvicini, era accorsa una folla immensa, per assistere al nuovo spettacolo, intorno al quale si erano diffuse le più strane dicerie. Si credeva che la ghigliottina agisse automaticamente per un interno congegno meccanico e non fu scarsa la sorpresa, quando mi videro giungere col condannato, salire con lui sul palco, legargli le mani dietro al dorso, spingerlo innanzi sulla piattaforma e premere il bottone per far cadere la mannaia. Quasi quasi pareva loro d’essere stati defraudati.”
Scopriamo che il Cardinale, mentre era occupato ad organizzare gli aiuti alle popolazioni marchigiane, fu particolarmente festeggiato da Pio VII con una cerimonia a sorpresa e con l’incisione di una medaglia per ricordare l’avvenimento. Cosa abbastanza rara che un Papa faccia incidere una medaglia per festeggiare il compleanno del suo Segretario di Stato.
In occasione, quindi, dei 60 anni del Cardinale, Pio VII diede un grande ricevimento a cui parteciparono nobiltà, ambasciatori e persone di cultura. Da un lato di questa medaglia fece incidere l’effigie del Cardinale con la scritta:
HE. R.T. S.AGATH.
AD SUB.
CA. CONSALVI
ECCELLENZA R.T. S. AGATA
IN SUBURRA
CARDINALE CONSALVI
mentre nella parte posteriore fece incidere la frase:
PRUDENTIA
ET ALACRITATE
IN REP GUBERNANDA
SPECTABILIS
PII VII PMA SECRETIS
TRACTANDIS Q NEGOTIIS
NEL GOVERNO DELL’AMMINISTRAZIONE
DELLO SPETTABILE PIO VII PONTEFICE MASSIMO
CON SAGGEZZA ED OPEROSITA’
NELLE SEGRETE ATTIVITA’ DA SVOLGERE
ANNO 1817
Questa medaglia è stata ritrovata dal sottoscritto negli Stati Uniti d’America e un giorno potrebbe essere lasciata in eredità alla Città di Tuscania, la Toscanella del Cardinale, insieme a tutto l’archivio cartaceo, se ivi si riuscirà a creare un centro culturale a memoria dell’illustre cittadino, magari con l’istituzione di un premio letterario “Ercole Brunacci-Consalvi” che venga assegnato ad autori di ricerche storiche.
A Toscanella, nel frattempo, muore, nello stesso anno del suo compleanno, lo zio Pietro Paolo Brunacci, a cui il Cardinale era molto legato.
Era il 2 novembre 1817 e Pietro Paolo aveva ormai la bella età di 86 anni.
Sempre nel 1817, c’è un’altra interessante notizia sul Cardinale, riguardante il Cimitero Acattolico a ridosso della Piramide Cestia. I promotori di questo cimitero si erano rivolti al nostro Cardinale per ottenerne l’autorizzazione.
Nel 1817, i rappresentanti Diplomatici di Prussia, Hannover e Russia si rivolsero al Cardinale Consalvi, allora Segretario di Stato Pontificio, per ottenere il permesso di recingere, a proprie spese, il Cimitero. Benchè contrario, il Cardinale si dimostrò disposto a cedere un’area confinante «dei prati del popolo romano», che venne recintata a spese delle Autorità Pontificie”.
Peccato non vi sia scritto anche il motivo per cui il Cardinale fosse contrario! Comunque, pur essendo contrario, diede ugualmente il permesso e, cosa strana, ne pagò anche le spese.
Ma, nel 1817, come se non bastasse Gubbio, vi furono anche i moti di Macerata.
Il 24 giugno 1817 vi fu la rivolta di Macerata, la quale fu soffocata nel sangue dalla polizia pontificia. Pochi giorni dopo, un pentito, Paolo Monti, si presenta al vescovo di Fermo e si offre come informatore. Portato dal Segretario di Stato, il Cardinale Consalvi, in Vaticano, ne diviene la spia nelle Marche. (notizia ripresa su internet sul sito cattolico di Totustuus).
E, come se non bastassero Gubbio e Macerata, il Cardinale doveva continuamente guardarsi le spalle dai soliti noti.
Il prof. Cassi afferma che “il Governo sul conto del Cardinale Fesch, che abitava a Roma, non fosse molto tranquillo, tanto che cercava di intercettare le lettere di chi corrispondeva con lui” e che “il Fesch corrispondeva in cifrario”. D’altra parte detta documentazione prova che “il Cardinale Consalvi, che seguiva con occhio attento e vigile le mosse di coloro che mostravano di professare sentimenti liberali e nazionali, … ritenne che alla tradizione napoleonica mancava ogni consistenza vitale e che perciò, anziché tradursi in fatti reali, era destinata ad esaurirsi senza un fine raggiungibile.”
Il Cardinale, in effetti, dimostrava di non preoccuparsi molto dei “rivoluzionari” non ritenendoli ancora in grado di far cadere il Governo Pontificio, e non aveva cambiato opinione neanche quando anni prima, nel 1815, era entrato in possesso della seguente lettera inviata al Cardinale Fesch da un certo Paolo Multedo:
Non si è mai veduto un tale entusiasmo in favore dell’Imperatore. L’antichi soldati raggiungono i loro corpi senza forza, e già più di 400.000 vecchi soldati sono alla nostra frontiera.”
Come abbiamo già visto, il Fesch aveva raggiunto il nipote ed era rimasto con lui nei famosi “cento giorni”, per poi tornare di nuovo a Roma dopo Waterloo, dove fu accolto “di nuovo” dal nostro Cardinale.
Così, nonostante fosse a lui noto che “il fermento politico bolle in tutti i punti del globo, e lo spirito di rivoluzione è divenuto la malattia del giorno”, “egli non deviò di una linea”, continua il Cassi, dalla sua politica moderata, riuscendo a superare le difficoltà dei moti di Macerata e quelle interne” (almeno fino alla morte di Pio VII!).
Interessanti sono alcuni documenti ritrovati dal Cassi, da cui si evince che a qualcuno, (siamo nel 1815-17), erano fin troppo conosciute le difficoltà interne che il Cardinale aveva.
Il Cassi ha trovato un libello composto da 14 versi, il settimo del quale afferma: “Discordia fra Consalvi ed i Porporati”. Sembra che l’anonimo scrittore fosse ben al corrente di tali divergenze.
Nonostante tutte queste difficoltà, il Cardinale continua per la sua strada ed il Cassi ci fa un lungo elenco di esempi con il quale cerca di dimostrare “lo spirito di moderazione del Segretario di Stato di Pio VII”, arrivando alla conclusione che “la condotta della Segreteria di Stato, durante e dopo il Moto di Macerata, fu pertanto ispirata a quel senso di moderazione, che fu una massima fondamentale per il Governo di Pio VII”.
Ma, grazie al Cassi, troviamo anche le prove dell’esistenza di una congiura a danno sia del Cardinale che di Pio VII.
Il Cassi inizia con l’esaminare che l’editto del Motu Proprio del 1816 era stato accolto favorevolmente tra le popolazioni di Civitavecchia, di Ascoli Piceno, di Spoleto e di Viterbo, ma non in Ancona, né a Macerata. Mentre a Bologna esso era stato accolto con diverse opinioni.
In uno scambio di lettere col Cardinale, il Nunzio in Vienna, contrario all’editto, gli fa notare che “molti Vescovi sono in conflitto con il nuovo piano”.
Il Cardinale gli risponde in modo molto chiaro, facendogli presente che lui era perfettamente al corrente di questo ed anche di più: “i suddetti vescovi sono anzi ben pochi, e sarebbero anche in minor numero, se non fossero stati essi indegnamente e vergognosamente eccitati da Roma con circolari a insorgere e a reclamare”.
Il Cassi non ha fatto altro che riportare ciò che lo stesso Cardinale aveva letto e che sicuramente nel Conclave successivo alla morte di Pio VII gli sarà tornato in mente.
Era accaduto che da un processo verbale di Montenovo di Forlì, si rilevava che la Polizia “era in moto, essendosi sparsa per opera di un prete, la voce che a Roma era stato nominato Papa, senza Conclave, il Cardinale della Genga e che il Consalvi aveva ceduto il portafoglio al Cardinale Arezzo”.
Il Cardinale avrà scosso semplicemente la testa nell’apprendere tale notizia come un semplice tentativo di destabilizzare il Governo, pur sapendo che il Della Genga c’entrava, eccome!
Il Cassi ha trovato un documento nel quale il Cardinale veniva avvertito di un tentativo di avvelenamento nei suoi riguardi.
Eminenza Reverendissima, (alcuni) hanno formata contro l’Eminenza Vostra Reverendissima una congiura, per farlo cessare di vivere. Si conta fra questi il Conte Domenico Gallo Ruffo ed un prete che va animando i poveri ed idioti penitenti a suscitare tumulti ed insurrezioni, tentanti direttamente a massacrare l’Eminenza Vostra, con scienza, di far sì che l’Eminenza Vostra Reverendissima sia avvelenato.”
Insomma, vi era una congiura in corso per assassinare il Cardinale, reo di aver tolto i privilegi alla Classe Alta.
Ce lo dice chiaramente, nella lettera ritrovata dal Cassi, il Nunzio in Vienna: “L’abolizione de’ privilegi getta del malumore nella classe alta, e le lettere, che qui giungono, parlano con acerbità di una tale abolizione.”
Il giornalista Indro Montanelli, sui Moti e sul Cardinale così scrive nella sua opera “La Storia D’Italia”.
Nel 1817 la polizia scoprì un complotto per una sollevazione popolare a Macerata. Ci furono un centinaio di arresti e un processo che si concluse con undici condanne a morte. Consalvi ebbe il suo daffare per commutarle in carcere a vita.
Irritati dalla sua clemenza, gli Zelanti passarono al contrattacco istituendo anch’essi una società segreta di squadristi manganellatori, la Santa unione, detta anche, senza alcun sottinteso umoristico, I Pacifici. Così Consalvi si trovò preso fra due estremismi. Egli non aveva più altro appoggio che il Papa, ma Pio VII era ormai alla fine.
Questa affermazione di Montanelli, è una bella sorpresa!
Ma, qual è l’opinione che Montanelli ha sul Cardinale?
Montanelli cita la frase del Cardinale Albani che il Goethe usò per spiegare come si viveva allora a Roma sotto il Governo Consalvi.
A meno che voi non montiate su una sedia in piazza di Spagna per dire che il Papa è l’anticristo, potete fare e dire quel che volete”.
Montanelli precisa che il Cardinale Albani in realtà mirava a criticare il Consalvi, ma il Goethe riprendendo la stessa frase dell’Albani gli aveva dato un significato diverso.
A Vienna, racconta il Montanelli, i Plenipotenziari stavano decidendo le sorti dell’Italia. Nessuno metteva in discussione il diritto del Papa a riprendere possesso dei suoi Stati. Ma c’era il problema delle Legazioni (Bologna, Ferrara e la Romagna) che, annesse prima alla Cisalpina, poi al Regno d’Italia del Lombardo Veneto, e ora presidiate dalle truppe austriache, non mostravano alcuna voglia di tornare sotto il Governo di Roma.
Metternich cercava di sfruttare la loro agitazione per rendere permanente l’occupazione e confermare l’unione di quelle provincie al Lombardo-Veneto, di cui l’Austria era ridiventata padrona.
Per parare la sua mossa, il Papa aveva mandato a Vienna l’elemento migliore di cui la Chiesa disponeva: il Cardinale Consalvi, Segretario di Stato, un uomo di formazione illuminista, fermamente avverso a ogni ideologia che avesse qualche parentela con quelle della Rivoluzione, ma altrettanto ostile a un puro e semplice ritorno al passato.”
Con questo Montanelli conferma comunque l’opinione che il Cardinale fosse un “conservatore”, essendo egli fermamente avverso ad ogni (nuova) ideologia (rivoluzionaria).
Egli sventò, continua Montanelli, la manovra del Cancelliere Austriaco e ottenne la restituzione delle Legazioni, ma solo al termine di una spossante lotta non tanto contro la volpina abilità di Metternich, quanto contro l’ottusità del suo proprio Governo.
Partito infatti Consalvi per la sua missione, la Curia era rimasta in mano agli Zelanti, cioè a quel gruppo di Cardinali che, per essersi distinti nella resistenza a Napoleone, ora tenevano banco e dettavano legge.
I loro maggiori esponenti erano Pacca e Rivarola, uomini senza dubbio coraggiosi e risoluti, ma di cui la persecuzione aveva acuito l’odio verso ogni novità fino a renderlo patologico.
Appena rientrati a Roma al seguito di Pio VII, (Pacca e Rivarola) si erano messi a cancellare tutto ciò che avevano fatto i francesi. Al posto delle leggi semplici e chiare ch’essi avevano introdotto sia nel campo penale che in quello civile e amministrativo, reintrodussero quella jungla di norme contraddittorie e di fori privilegiati che lasciavano il cittadino all’oscuro dei propri diritti e che avevano sempre fatto di quello Pontificio lo Stato Italiano più disordinato, inefficiente e arbitrario.
Lo stesso D’Azeglio, che in quel momento si trovava a Roma, e che non si può certo tacciare di giacobismo, annotava scandalizzato: “Tutto fu rimesso com’era temporibus illis. Vidi tornare il Bargello colla corte, i birri, il cavalletto, ecc. ecc.”.
Invano il Consalvi riferiva da Vienna nei suoi rapporti che di queste dissennate misure Metternich si faceva forte per persuadere gli altri soci del Congresso che il Governo Pontificio con la sua retriva ottusità avrebbe finito per sollevare le violente reazioni dei sudditi. Pacca e compagni persistevano nella loro opera.
Quando, al termine della sua missione, Consalvi tornò da Vienna con le Legazioni in tasca, mise a frutto il successo per riprendere in mano il potere e governarlo in maniera più ragionevole.
Egli capì che quelle Provincie non si potevano trattare come le altre, dato il loro superiore livello economico e sociale, consentendo loro di conservare in gran parte gli Istituti giuridici e amministrativi introdotti da Napoleone.
Poi ottenne dal Papa un Motu Poprio che, col pretesto dell’unificazione legislativa, estendeva questo criterio a tutti gli Stati.”
Così la dissennata opera degli Zelanti venne bloccata e in certi campi addirittura capovolta.
Per esempio vennero riconosciute le alienazioni dei beni ecclesiastici compiute nel periodo francese, venne mantenuta la revoca delle giurisdizioni baronali, cioè del diritto dei nobili a istituire loro propri tribunali, e venne abolita la tortura.