1803, il Cardinale tra l’incudine ed il martello

26 OTTOBRE 1803
IL CARDINALE TRA L’INCUDINE ED IL MARTELLO
Il caso Vernegues
(e la tratta degli schiavi)
Ecco un altro esempio di “storia sconosciuta” ai più.
I protagonisti di questo importante episodio sono un certo Vernegues, cittadino francese, che attenta alla vita dell’Imperatore e che chiede ed ottiene la cittadinanaza russa; l’Imperatore Napoleone, che ordina al Papa di arrestare il Vernegues; il Papa, ovvero il Cardinale, che non sa che pesci pigliare; il Cardinale Fesch, zio dell’Imperatore, che butta benzina sul fuoco contro il Cardinale; lo Zar Alessandro che, offeso, rompe definitivamente i rapporti diplomatici con lo Stato Pontificio.
Un bel guazzabuglio, che, come ho già fatto precedentemente con altri episodi, ce lo facciamo raccontare direttamente dall’interessato, che ammette, già all’inizio del racconto, di essere stato sconfitto dagli eventi.
Mai credo che vi sia stato affare più disgraziato di quello del Vernegues. Questo affare fu disgraziatissimo nel suo principio, nel suo corso tutta intiero e nel suo stesso fine.”
Trovo bellissimo l’inizio del racconto. Come ho già detto il Cardinale avrebbe dovuto fare lo scrittore.
Ci sono veramente alcune cose umane, nelle quali nè la previdenza nè la precauzione nè la regolarità e saviezza della condotta, nè la diligenza nè la avvedutezza nè la destrezza nè la delicatezza e i riguardi, insomma niun presidio, niuno sforzo dell’umano ingegno, possono vincere la forza del destino o, a dir meglio, impedire che avvenga ciò che una superiore Providenza per i suoi sempre giusti, benchè non conosciuti fini, vuole o permette che accada.
Il fatto del Vernegues ne fu una luminosa prova. È impossibile dopo molti anni rammentarsi di tutte le particolarità di un tal fatto, le quali tutte furono altrettante riprove di ciò che si è osservato qui sopra; ed anche rammentandosene, sarebbe cosa troppo lunga il riferirle, ma quella porzione che se ne riferirà, sarà più che sufficiente a provare l’assunto.
Fu verso il 26 o 28 di ottobre de1 1803, se non erro, che giunse a Roma con un corriere straordinario al Card. Fesch, Ministro di Francia, l’ordine il più pressante del Primo Console di domandare al Governo Pontificio l’arresto e consegna immediata del Cav. di Vernegues, emigrato francese, di cui quel Governo disse avere le prove in mano che aveva attentato ed attentava alla vita del Primo Console e che era alla testa di una grande cospirazione, della quale interessava sommamente al Governo di conoscere tutte le fila.
La qualità del delitto, di cui il Vernegues era accusato, cioè di delitto di Stato per insidia alla vita del Sovrano stesso, non lasciava dubbio alcuno, secondo il comune diritto delle genti e i doveri reciproci che si debbono i Sovrani fra loro, fondati anche sull’utile proprio, alla esecuzione della domanda del Governo Francese, con cui il Pontificio era in pace e buona armonia.
Quindi, fu dato ordine al Governatore di Roma di far seguire il di lui arresto, asserendo il Card. Fesch, che era in Roma, come vi era veramente. Ma qui incominciò appunto la prima fatalità di questo disgraziatissimo affare.
Chi il crederebbe? Benchè il Vernegues, ignaro allora delle ricerche fatte di lui, non si nascondesse punto come si facesse anzi vedere nelle assemblee e conversazioni publiche, pure il cosi detto Barigello di Roma, che era quello che aveva la direzzione di questa parte della Police e che era stato incaricato dal Governatore del di lui arresto, non seppe trovarlo.
O fosse la diversità della lingua, che, ignorata dai subalterni del Barigello e storpiando essi il di lui nome, rende infruttuose le loro ricerche, o fosse altra fatalità, che ciò produsse, il fatto è che il Governatore riferi che il Vernegues non era in Roma e il Governo diede al Card. Fesch questa risposta.
Cosi non ebbe luogo allora quell’arresto, che in quella epoca poteva farsi senza il minimo inconveniente, giacchè il Vernegues in quella epoca altro non era, che un Francese.
Ma le ricerche che andò facendo dal canto suo per ritrovarlo il Card. Fesch, il quale per gli ordini pressantissimi del Primo Console si dava il più gran moto per tale oggetto (diffidando egli o della abilità della Police del Governo pontificio per trovarlo o della buona volontà per consegnarlo), fecero arrivare all’orecchio del Vernegues le ricerche, ch’egli faceva di lui.
Invece di sottrarsene col partire da Roma, egli preferì di farsi forte con una qualificazione, che trattenesse il Governo Pontificio dal porre la mano sopra di lui.
Era egli stato in Russia, dove aveva contratte delle aderenze alla Corte, e parmi, se non erro, che avesse anche servito per qualche mese in un Corpo ausiliario Russo nelle prime guerre dei Russi e alleati contro la Francia.
Erano in Roma due Ministri di Russia. Uno era il Conte Casini, Ministro Russo presso il Papa; l’altro era il Conte di Lizachevicz, Ministro Russo presso il Re di Sardegna, che, perduti i suoi Stati del Piemonte, si era rifugiato in Roma.
Fra questi due Ministri Russi passava una antica e grande inimicizia. Il Lizachevicz era sommamente temuto dal Casini, del quale era un quotidiano delatore presso la sua Corte; oltre ciò il di lui carattere intrigante e maligno e le riprove da lui datene nel precedente suo Ministero in Genova lo rendevano temibile non solo al Casini, ma ancora a chiunque aveva relazioni con lui e la disgrazia di averlo in Capo.
Fu a un tal’uomo, e non al Casini, che si affidò il Vernegues; e, manifestategli le ricerche che di lui faceva il Governo Francese, fece scrivere da lui alla Corte e dimandare un Brevetto di naturalizzazione Russa con la facoltà di mettere la Coccarda di quella Nazione.
Il Lizachevicz, intrigante, come si è detto, per natura, e bramoso di farsi un merito a danno del Casini, col dimostrare alla Corte che la sua vigilanza era stata maggiore di quella del suo avversario nell’informarla di ciò che accadeva ad uno che l’aveva altre volte servita o che almeno aveva delle relazioni in Pietroburgo, abbracciò alacremente la occasione e scrisse alla Corte e impetrò il Brevetto di Nazionalità, che desiderava il Vernegues.
Costui si era tenuto nascostissimo nell’intervallo, onde non solamente il Governo Pontificio, ma lo stesso Card. Fesch, dopo qualche ricerca, si convinse che realmente egli non fosse in Roma.
Fu ai 21 di dicembre che giunse a Roma da Pietroburgo la risposta e il Brevetto richiesto. Allora il Vernegues, credendosi sicuro sotto quel palladio e stimando che il Governo Pontificio non avrebbe osato di arrestare uno con la Coccarda Russa, incominciò a farsi vedere in qualche luogo, munito di quella Coccarda, con cui bravava il pericolo.
Non passarono due giorni che il Card. Fesch, il quale costantemente continuava le sue ricerche, venne a sapere la di lui esistenza in Roma e, immediatamente verificato il luogo della sua abitazione, lo manifestò al Governo Pontificio e rinovò vivissimamente la istanza dell’immediato arresto e della consegna.
Il Governo, ch’era ignaro di tutto, commise di nuovo l’arresto al Governatore di Roma. Ciò avvenne nel di 23 di dicembre.
Il Governatore riferì nella mattina del di 24 che, avendo saputo dalle spie che il Vernegues aveva la Coccarda Russa, aveva sospeso di arrestarlo, per sentire su di ciò le intenzioni del Governo.
Riferitosi ciò al Papa e prevedute le conseguenze disgustose, che potevano nascere dall’arresto, e conoscendo dall’altro canto che, avvisando segretamente il Vernegues di sottrarsi con la fuga, egli non vi si prestarebbe, credendosi sicuro sotto lo scudo della Coccarda Russa, e che anzi non guardando il segreto di tale avviso comprometterebbe con la Francia il Governo Pontificio con sommo suo danno in si delicato affare, in cui trattavasi della vita del Primo Console; nella mancanza di ogni risorsa e di ogni mezzo di evasione per il conflitto di tali fatalissime circostanze, non si vide dal Papa altro mezzo che quello di rivolgersi al Card. Fesch medesimo; e facendogli sentire la difficoltà che presentava all’arresto la Coccarda, di cui il Vernegues era fornito, si procurò di farlo desistere dalla dimanda, almen per allora, onde avere qualche spazio di tempo per trovare il modo d’uscire d’incastro.
Ma il Card. Fesch, malgrado che il Papa eccitasse in lui tutti i pensieri e riguardi che poteva suggerirgli la sua qualità anche di Cardinale per non mettere in si brutto cimento la S. Sede, a cui così strettamente apparteneva, aveva ordini troppo stretti e troppo pressanti, per poter prendere nulla sopra di se in si delicato affare nè usare del minimo arbitrio; e d’altronde vide egli pure che la pazzia e insolenza del Vernegues nel non prestarsi a una fuga, gli toglieva ogni modo di favorire il Papa, anche volendo, giacchè rimanendo in Roma il Vernegues, alla vista di tutti i Francesi consapevoli della domanda del loro Governo, sarebbe egli stato costretto a far l’indomani ciò che non facesse in quel giorno, o sarebbe stato accusato al suo Governo, non facendolo.”
Purtroppo, a questo punto, non si può non interrompere il racconto. Mi colpisce il fatto che il Cardinale, pur essendo prigioniero in Reims e pur essendogli il Fesch nemico personale, nel caso Vernegues riesce ad ammettere l’impossibilità da parte del Fesch di comportarsi diversamente. La sua grandissima onestà morale gli fa onore!
Se non fosse che il racconto è molto importante anche dal punto di vista storico, mi fermerei volentieri qui. Per cui andiamo avanti:
Nel ricusarsi egli pertanto alli officii con lui pratticati (che furono caldissimi), non lasciò al tempo stesso di far valere le giuste ragioni che assistevano la domanda, la qualità cioè del delitto di cospirazione contro la vita del Primo Console, di cui era colpevole il Vernegues, le di cui prove erano in mano del suo Governo, alle di cui positive asserzioni, secondo i doveri reciproci fra i Sovrani, non poteva non credersi; il pericolo estremo, in cui era la vita del Primo Console, Finché l’arresto e la consegna del Vernegues non troncasse i fili della cospirazione e li facesse tutti conoscere; i doveri comuni fra i Sovrani in tale sorta di delitti e di pericoli, quando sono in pace e buona armonia fra loro; le conseguenze, delle quali il Papa si rendeva responsabile, ricusandosi a si giusta istanza; la futilità dell’impedimento, che si affacciava, cioè della Coccarda Russa inalberata dal Vernegues, si perché la di lui sudditanza originaria, essendo Francese, prevaleva sempre alla ascitizia, si perché questa era stata impetrata in fraudem e posteriormente al delitto, si perché non era presumibile che la Corte di Russia, la quale era in pace con la Corte di Francia, volesse sostenere uno che attentava alla vita del Capo della medesima e mancare cosi al più stretto dei doveri reciproci fra i Sovrani, si perché finalmente, se anche volesse la Russia mancarvi, il torto era dal canto suo, nè vi era ragione che esimesse mai qualunque estero, quando commette un delitto fuori di Stato, del che si vedono tutto giorno gli esempii anche nei delitti comuni e molto più in tale sorta di delitto.
Tutte queste ragioni erano verissime, alla riserva di quella della prevalenza della sudditanza originaria alla ascitizia, perché nel caso delli emigrati Francesi, questi erano stati dichiarati dalla legge non più Francesi; ma poco significava il non esser buona questa ragione, quando erano buonissime tutte le altre.
Il Card. Fesch avendo conchiuso che, se il Governo Pontificio non faceva seguire l’arresto in quella stessa notte e quindi la consegna dell’arrestato egli non poteva dispensarsi dall’inviare nell’indomani un corriere a Parigi dando conto che si era trovato in Roma il Vernegues, ma che il Governo Pontificio non aveva voluto arrestarlo nè consegnarlo ad onta di tutte le anzidette ragioni per un indebito riguardo alla Coccarda Russa impetrata con frode e senza che quella Corte sapesse il di lui delitto e la richiesta fattane dalla Francia, si vide che non vi era più che sperare da quella parte e che bisognava bere il calice amaro.
Ma il riguardo che si volle avere, per quanto fosse possibile, alla Corte di Russia, fece tentare un altro mezzo per esimersi, se era possibile, da quell’arresto e consegna.
Io mi condussi in persona dal Ministro di Russia Conte Casini, ch’era, come ho detto, il Ministro accreditato presso la S. Sede; e, avendolo messo al giorno di tutto l’affare, gli dissi che io ero autorizzato dal Papa a proporgli di far fuggire immediatamente da Roma il Vernegues, acciocchè, quando a notte avanzata il Governo mandarebbe ad arrestarlo, non lo trovasse più in Roma.
Quantunque questo partito non lasciasse di esporre il Governo Pontificio ai risentimenti del Card. Fesch e della sua Corte, che ben’avrebbero compreso che il Governo aveva avvisato il Vernegues e fatto evadere, pure si arrivò a preferire al di lui arresto anche questo proprio danno, contandolo per minore di quello dell’arresto medesimo e sperando di poi cavarsene in qualche modo.”
Qui debbo però constatare che il Fesch, il nostro Cardinale ed il Papa non si misero d’accordo su questa possibilità ed ottima scappatoia. Il Fesch, pur essendo anch’egli Cardinale e membro del Sacro Collegio dello Stato Pontificio, agli occhi del Papa era decisamente un Ministro di un altro Stato e quindi inaffidabile! In altre parole un avversario dello Stato Pontificio! Ma vediamo come andò a finire.
Il Casini si protestò gratissimo all’offizio pratticatogli dal Governo e al riguardo, che ad onta del proprio danno usava verso la Corte di Russia, e assunse l’incarico di far subito partire il Vernegues, alla di cui casa si condusse immediatamente.
Ma chi lo crederebbe? Il Vernegues si ricusò alla partenza, resistendo ostinatamente alle persuasive e alle pressure del Casini, che gli dimostrava la imposibilità di garantirlo, e giunse all’audacia di minacciare il Casini e dirgli che il Governo Pontificio non osarebbe di arrestarlo con la Coccarda Russa, ma che, se l’osasse, egli sarebbe difeso dal Lizachevicz, il quale avrebbe anche informata la Corte del procedimento contro di lui, per non averlo difeso.
Il Casini giunse a minacciarlo che lo avrebbe fatto condur via a forza dai suoi domestici per non fare accadere quello che poi accadde.
E così veramente egli avrebbe dovuto fare con quel pazzo e temerario e lo avrebbe fatto, se non avesse temuto il Lizachevicz, come poi confessò al Governo Pontificio.
Ricusatosi dunque ostinatamente il Vernegues alla fuga e mancato il coraggio al Casini di costringervelo a forza, il Governo Pontificio si trovò privo di ogni risorsa per ricusarsi all’arresto di uno, che il Ministro di Francia sapeva esistere in quel giorno in Roma e che era dimandato per un delitto della natura anzidetta e la di cui domanda era assistita dalla ragione, secondo i principii riconosciuti.
Tutto quello che rimase a poter fare al Governo per dimostrare alla Russia, per quanto poteva, i suoi più estesi riguardi, fu di limitarsi all’arresto e negare la consegna, benchè prevedesse che non avrebbe potuto, per effetto delle stesse ragioni, nemmeno da queste esimersi alla lunga, ma sperò che l’intervallo somministrarebbe qualche risorsa e che intanto da questo stesso rimarrebbe convinta la Russia, che si era fatto a riguardo di lei quello che era possibile a farsi, anche a costo del proprio rischio.
Essendosi dunque ricusato il Vernegues, come si è detto, alla evasione, benchè insinuatagli dallo stesso Ministro di Russia, (e questa fu un’altra prova della disgrazia che sempre accompagnò questo affare, di trovarsi cioè un temerario ed un pazzo che preferisce alla fuga il farsi arrestare; cosa, di cui non poteva dubitare dopo le dichiarazioni fattegli dal Casini, ma egli credeva che verrebbe rilasciato subito per opera del Lizachevicz, qualora l’arresto seguisse), fu arrestato in quella stessa notte e condotto nel Castello S. Angiolo.
Nella mattina seguente fu data parte al Card. Fesch del di lui arresto, ma gli fu significato contemporaneamente (e tutto ciò con Nota Offiziale) che quanto il Governo Pontificio aveva creduto di prestarsi ad una misura di precauzione e conservatoria, come era l’arresto, per così assicurare la vita del Primo Console, altrettanto non credeva di prestarsi alla consegna; e si aggiunse che il Governo Francese trasmettesse a Roma le prove del delitto dell’arrestato, acciò la di lui causa fosse giudicata dal Sovrano, nel di cui territorio era stato preso.
II Card. Fesch fece le più forti insistenze perché il Vernegues fosse subito consegnato, ma inutilmente.
Intanto il Governo Pontificio spedì un corriere a Pietroburgo, commettendo al Nunzio di rappresentare tutto il fatto a quella Corte e di far valere presso la medesima le ragioni, che avevano renduto impossibile il dispensarsi dall’arresto (tacendo però la offerta fatta di far evadere l’arrestato, per non compromettere il Casini, con cui si era di ciò trattato confidenzialmente), e commettendogli di far valere ancora il riguardo avuto alla Corte col negare alla Francia la consegna dell’arrestato, aggiungendo però che era impossibile il potersi ricusare a tal consegna alla lunga contro le ragioni che la favorivano, concludendo perciò che o la Corte di Russia non si interessasse di tal consegna, privando prima il Vernegues della fraudolentemente ottenuta Nazionalità Russa, ovvero assumesse per mezzo del suo Ambasciadore in Parigi la trattativa dell’affare con il Primo Console, con cui la Russia allora si trovava in pace.
Il corriere Pontificio giunse prima di quello spedito dal Casini, che portava i dispacci non di lui solo, ma quelli ancora del Lizachevicz.
La relazione fatta dal Nunzio al Primo Ministro in Pietroburgo ebbe l’esito il più favorevole. Egli disse che il Governo Pontificio aveva ragione e che la Corte di Russia; era soddisfattissima dei riguardi e considerazione dal suddetto Governo a lei dimostrati, e concluse che avrebbe data questa risposta officialmente fra due o tre giorni, acciò potesse il Nunzio rispedire il corriere a Roma, abbisognandogli (egli aggiunse) quel poco spazio di tempo, per togliere al Vernegues nelle forme la Nazionalità Russa ed il Brevetto che aveva ottenuto con frode.
E ciò dicendo non lasciò di scagliarsi contro gli intrighi di alcuni delli emigrati Francesi, che compromettevano, disse egli, i Governi, dove si rifugiavano.
Questi sentimenti di soddisfazzione della condotta tenuta in Roma sull’oggetto in questione furono anche effetto della favorevole relazione data dal Casini, il di cui corriere giunse poco dopo il Pontificio, la quale relazione del Casini prevalse presso quel Ministero alla sfavorevolissima e malignissirna relazione data dal Lizachevicz.
Il Nunzio aspettava ogni giorno la desiderata risposta officiale, per fare ripartire il corriere.
Ma che? La stessa disgrazia, che aveva accompagnato fin dal principio questo sciagurato affare, accompagnandolo anche allora, fece che appunta in quei giorni medesimi accadessero due disgraziatissime combinazioni: una delle quali fu il cambiamento del Primo Ministro in Pietroburgo, che fu disgraziato e rimpiazzato da altro soggetto, e l’altra fu la notizia arrivata in quello stesso tempo a Pietroburgo di un altro arresto fatto seguire in Sassonia dalla Francia di un altro Francese nazionalizzato Russo, cioè del famoso Conte d’Entragues.
Il nuovo Ministro, che succede al disgraziato, pensando diversamente da lui e irritato dalla contemporaneità dei due casi, si prestò più alle insinuazioni maligne del Lizachevicz che a quelle del Casini, onde inviò inaspettatamente al Nunzio una risposta officiale nella quale dichiarava che la Corte di Russia compativa le circostanze, per cui il Governo Pontificio si era trovato nella necessità di eseguire l’arresto del Vernegues e che non se ne chiamava offesa, ma aggiungeva che si chiamarebbe offesa della consegna, se questa fosse eseguita, volendo che la causa del Vernegues fosse giudicata in Roma e dichiarando, al tempo stesso, di non voler prender parte alcuna nell’affare per mezzo del suo Ambasciadore in Parigi.
Questa risposta fu un colpo dolorosissimo al Governo Pontificio, che si vide, come un debole agnello in mezzo a due grandi mastini, sacrificato al puntiglio e allo sdegno che ambedue covavano l’un contro l’altro, ben conoscendo che inevitabilmente doveva esserne la vittima.
Non sarebbe possibile di tutte qui riferire le cure e fatiche e le molle messe in opera dal Governo Pontificio per trarsi da tale incastro il men male che fosse possibile.
Si chiamò in soccorso la ragione, la commiserazione, le preghiere, gli officii di altre Corti (come quelli dell’Austria con la Russia e della Spagna con la Francia), ma tutto inutilmente.
Si spedi un secondo corriere in Russia portatore di una ragionata Memoria in cui si provava fino alla evidenza che, nel caso di cui si trattava, la qualità del delitto e le altre ragioni accennate di sopra, assistendo la pretensione della Francia, era impossibile al Papa il ricusarsi alla consegna del Vernegues la quale ogni giorno più gli si chiedeva vivamente e imperiosamente da chi aveva le sue armate alle porte di Roma.
E, nel caso che non si gustassero queste ragioni, si implorava nella Memoria la compassione e la generosità della Russia e si rammentavano quei meriti, che presso la medesima aveva il. Papa per ottenerla.
Contemporaneamente si era spedito a Parigi, facendo valere presso il Primo Console (cui scrisse il Papa stesso) non meno il merito dell’arresto eseguito, che tutti gli altri meriti precedenti e segnatamente quello recente del Concordato concluso con tanta di lui soddisfazione; e si implorò egualmente la di lui compassione e generosità, acciocchè non volesse porre il Papa alle prese con la Russia con tanto danno, che poteva risultare in quei Stati al Cattolicismo, pregandolo perciò di contentarsi che la causa del Vernegues si giudicasse in Roma, come la Russia proponeva.
Si resistè intanto col più forte petto ai quotidiani assalti e minaccie del Ministro Francese ( stiamo parlando sempre del Fesch!) e della di lui Corte medesima, per aspettare il ritorno dei secondi corrieri spediti a Pietroburgo e a Parigi e gli effetti delle mediazioni interposte.
Infelicemente queste furono inutili, egualmente che le spedizioni sopraccennate. La Corte di Russia fu immobile come uno scoglio e diede una risposta sfavorevolissima a ciò che si bramava dal Papa.
Cosi pure fece la Corte di Parigi, la quale per non aderire alla istanza del Papa di lasciar giudicare l’affare in Roma, si fece forte della impossibilità di inviare a Roma tutto l’occorrente non solo relativamente alle cause, ma anche alle persone delli e testimonii e Correi che dovevano confrontarsi per li esami e scoperta di una cospirazione si vasta, come diceva.
Infine, il Primo Console dichiarò che, se non si fosse consegnato il Vernegues senza altro ritardo, avrebbe fatto marciare sopra Roma una Divisione della sua Armata e lo avrebbe preso con la forza e di più si sarebbe presa la dovuta soddisfazzione della ingiusta negativa.
Ridotte a tali estremità le cose, non rimase altro partito, che quello di fare la giustizia, come suol dirsi, e mettersi per il resto nelle mani della Providenza, nella buona coscienza di nulla avere da rimproverarsi. Nel caso concreto, attese le circostanze della cosa, la ragione assisteva la Francia.
Può, senza timore di mentire, chiamarsi in testimonio il Cielo, che questa considerazione, cioè che la ragione era dalla parte della Francia, e non il timore della esecuzione delle minaccie soprariferite (benchè tutto persuadeva a non esporre la Dignità Pontificia ad essere violata con un publico insulto nè lo Stato alle conseguenze di una strepitosa soddisfazzione, subito che il rifiuto non era assistito dalla ragione), fu ciò che determinò finalmente il Governo Pontificio alla consegna, dopo consumate tutte le dilazioni possibili ed esauriti tutti i possibili mezzi per evitarla.
Dopo dunque più mesi di inutili e amarissime trattative, il Vernegues, che fino allora era stato detenuto nel Castello S. Angiolo, trattato sempre a tutte spese del Governo Pontificio e coi maggiori riguardi, fu estratto dal Castello per essere scortato da un distaccamento Pontificio e consegnato ad un distaccamento Francese al confine di Pesaro.
Si fece partire contemporaneamente un corriere per Pietroburgo, dando parte di ciò e giustificando un tal passo con le più convenienti ragioni e più ancora con i motivi di una irresistibile necessità, implorando di nuovo la compassione e la generosità di quell’Imperadore per un fatto che non proveniva certamente dalla volontà di offenderlo e che era stato protratto a un segno, che nella debolezza e situazione del Governo Pontificio pareva impossibile.
Ma i nemici di Roma essendo prevalsi presso quella Corte, non solo non se n’ebbe alcuna buona risposta, ma fu congedato colà in due giorni il Nunzio e fu dichiarato, che tutte le relazioni con Roma erano cessate.
Quanto ciò addolorasse il Papa, è facile imaginarlo. Tutti però lo compatirono e lo riguardarono come sacrificato alla occulta animosità, che divorava i due Governi Francese e Russo, benchè apparentemente fossero in pace, la quale però fu poi di una durata assai breve.
Tutti diedero ragione al Governo Pontificio, censurandolo però di un solo sbaglio, quello cioè di non essersi tratto d’imbarazzo col far fuggire il Vernegues prima dell’arresto. Ma il publico non sapeva (nè il Governo poteva dirlo), quanto era falsa questa censura e quanto aveva fatto il Governo per fare eseguire quella fuga, di concerto col Ministro Russo medesimo, benchè inutilmente per effetto della pazza temerità del Vernegues e del maligno orgoglio del Lizachevicz.”
Il Cardinale, rivelando i tentativi di aver voluto far fuggire il Vernegues per trarre d’impaccio il Governo Pontificio, completa la lacuna della storia ufficiale. Ed aggiunge qualcos’altro:
Ma il fin qui detto non presenta ancora nel suo pieno la fatalità che costantemente accompagnò questo disgraziato affare. Ho detto che fu disgraziatissimo nel suo principio, nel suo intiero corso e nel suo fine ancora.
Mi manca di produrre la prova di questa ultima cosa e vado a farlo.
Il Primo Console, a cui il Papa era andato ripetendo ogni giorno caldissimi officii per rimuoverlo dall’esiggere la consegna del Vernegues, nè fu finalmente commosso e, veduto un giorno il Card. Legato (il Card. Caprara) al Circolo, lo chiamò da parte e gli disse, che la situazione del Papa gli faceva compassione, onde che, senza rimuoversi dall’esiggere la consegna del Vernegues, perché voleva vincere il punto con la Russia, gliene bastava però l’apparenza; e che perciò facesse sapere al Papa che facesse partire il Vernegues da Roma sotto la scorta del distaccamento della sua Truppa per essere consegnato alla Truppa Francese al confine di Pesaro, ma che prima di giungervi, quando fosse in Loreto, lo facesse fuggire, del che egli non si sarebbe risentito ed avrebbe accettato questa scusa per buona.
Chi lo crederebbe?
Il Card. Caprara, invece di spedire immediatamente a Roma un corriere, il quale sarebbe giunto tre o quattro giorni prima della partenza del Vernegues ed avrebbe messo il Governo Pontifico in situazione che la Russia potesse credere che, nella necessità di aver apparenza di soddisfare al Primo Console, la evasione del Vernegues da Loreto fosse stata un effetto di un volontario riguardo del Governo pontificio verso di lei (del che essa sarebbe stata appagatissima), il Card. Caprara, dico, sottilizzando al suo solito e malissimo a proposito su ciò che gli aveva detto il Primo Console e temendo che una cosa detta in voce potesse poi negarglisi, chiese al Ministro Talleyrand che gli fosse detta in iscritto e, non avendolo ottenuto (com’era naturale), non volle arrischiare, come poi disse, sopra un semplice detto in voce la spedizione, a cui il Primo Console lo aveva autorizzato, ma diede conto a Roma per la via della posta (che vi giunse molti giorni dopo la partenza del Vernegues) di una cosa si essenziale, da lui dipinta nel suo dispaccio come poco importante, perché non era in iscritto.
Come potrà negarsi dopo un fatto simile, che l’affare del Vernegues fosse stato perseguitato sino alla sua ultima fine da quella stessa massima fatalità, che lo aveva perseguitato nel nascere e nel proseguimento?
Niuno potrà certo dopo tutto ciò non riconoscere, che quell’affare fosse disgraziatissimo quant’altri mai. Ed io aggiungerò ancora, che continuò ad esserlo anche, dirò cosi, dopo le sue ceneri.
Quando il Papa andò molto tempo dopo a Parigi per incoronarvi l’Imperadore Napoleone, avendo colà saputo che il Vernegues vi era acora strettamente detenuto, colse il propizio momento per chiederne all’Imperadore Napoleone la libertà e la ottenne.
Quindi, fatto venire a se il Vernegues,lo fornì di una buona somma di denaro, oltre le più cortesi accoglienze, e gli diede una lettera per l’Imperadore Alessandro, presso di cui il Vernegues si rendeva.
Nella lettera il Papa informava l’Imperadore Alessandrò della libertà ottenuta al Vernegues e lo pregava caldamente di far cessare la interruzione delle comunicazioni con Roma e a ristabilire la primiera amicizia.
L’Imperadore Alessandro ne fu commosso e fece anche la risposta, che si seppe indirettamente che era quale poteva desiderarsi.
Ma o fossero le arti dell’Arcivescovo di Mohilow e dei nemici di Roma, che prevalessero anche allora presso l’Imperadore e i suoi Ministri; o fossero i legami che poi la Russia contrasse con l’Imperadore Napoleone, il quale, avendo sempre veduto di malissima voglia la unione di Roma con la Russia, distogliesse dalla riunione l’Imperadore Alessandro e il suo Ministero, o fossero tutte due insieme le cagioni anzidette, il fatto è che la lettera del Papa nominata di sopra rimase sempre senza risposta e le comunicazioni della Corte di Russia con Roma non si riaprirono mai, benchè non si lasciasse mai di fare nuovi tentativi, per tutto il tempo che scorse fino alla detronizzazione del Papa e sua prigionia.
Cosi l’affare del Vernegues continuò ad essere fatale a Roma anche dopo le ceneri.
Ma, andiamo a vedere se vi è qualche riscontro storico a quanto ci ha raccontato fin’ora il Cardinale. Ho trovato una lettera di Napoleone, inviata al Fesch il 13 gennaio del 1804, che ne parla espressamente.
Paris, 13 janvier 1804, Au Cardinal Fesch
Monsieur le Cardinal Fesch, j’ai été satisfait d’apprendre l’arrestation de Vernègues. Il est convenable qu’il soit remis sans délai aux premiers postes français à Rimini et conduit, sous bonne et sûre escorte, à Paris. On ne doit attacher aucune importance à la démarche qui a été faite par les Russes; d’abord, parce qu’elle n’est pas approuvée par l’empereur; mais il sera possible que quelques intrigants de ce cabinet, gagnés par l’Angleterre, veuillent se mêler de ce qui ne les regarde pas. Le moyen d’éviter les discussions est de le faire partir sur-le-champ. La Russie est hors de la sphère de l’Europe, et, indépendamment que Vernègues est français, cette affaire ne peut rien la regarder.
Nel frattempo, nel 1803, la tratta degli schiavi, che fu abolita in Francia nel 1794 (ma che di fatto continuò ad esistere) dalla Rivoluzione in nome di quelle tre parole tanto care ai francesi ed in seguito mitizzate, fu reintrodotta ufficialmente proprio da Napoleone.