(A29) articolo di Antonio Cederna

(A29)
Canova a Parigi
di Antonio Cederna
sulla “La Repubblica
del 2 febbraio 1993
Il celebre scultore fu il primo in Europa a occuparsi della tutela dei Beni culturali Inviato in Francia nel 1815 da Pio VII, riuscì a riportare in Italia buona parte delle opere trafugate da Napoleone
Negli anni cruciali tra Sette e Ottocento CANOVA è stato non solo la maggiore autorità europea per la conoscenza dell’ arte classica, ma uno dei fondatori dei principi della tutela dei beni culturali; e due sono le sue imprese memorabili. E’ stato lui che, dopo aver collaborato nel 1802 alla stesura dell’ editto di PIO VII sulla conservazione delle opere e dei monumenti, nel 1815 riesce a riportare a Roma i capolavori di scultura e pittura che Napoleone aveva razziato nella fulminea campagna d’ Italia del 1796-97.
«Tutto quello che c’è di bello in Italia sarà nostro», aveva scritto Napoleone al Direttorio. E col trattato di Tolentino impone come contributo e risarcimento al povero PIO VI (che poi sarà deportato e morirà in Francia) la consegna di cento opere: 63 del Vaticano, 20 del Campidoglio, il resto quadri delle chiese romane, tra cui la Trasfigurazione di Raffaello e la Deposizione di Caravaggio.
Tra i maggiori capolavori di scultura il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, le statue colossali del Nilo e del Tevere, la Venere Capitolina, l’Antinoo, il Galata morente, lo Spinario, l’Amazzone.
Il tutto trasportato su carri fino a Livorno, e di qui via mare a Marsiglia e poi, risalendo Rodano, Saone e canali, fino a Parigi.
Qui, il 27 luglio 1798, un’enorme folla assistette al grande corteo (c’erano anche i quattro cavalli di S. Marco, tele di Tiziano e Veronese prelevate dopo il trattato di Campoformio), che ci è descritto dai fratelli Goncourt: un corteo in cui ai ventinove carri di “monumenti divini” seguivano stranamente orsi, cammelli e dromedari.”Mai un imperatore vittorioso” – scrivono i Goncourt – “aveva trasportato a Roma nel suo trionfo una tale armata di siffatti prigionieri”.
Le opere furono trasportate al Louvre, che la Convenzione nel ’93 aveva trasformato in Museo della Repubblica (quest’anno il bicentenario sarà celebrato con il completamento degli ammirevoli lavori per il suo ampliamento), e che allora venne battezzato Musée Napoléon. Tra il 1799 e il 1800 si inaugurarono la Galérie des Antiques e la Grande Galérie coi capolavori della pittura.
E tuttavia, questo ennesimo Sacco di Roma e d’Italia (seguiranno infatti altre spoliazioni a Firenze, Bologna, Parma, Pesaro eccetera) ebbe almeno un effetto positivo: l’editto che nell’ottobre 1802 venne emanato da Pio VII sulla conservazione dei monumenti e delle opere, frutto della collaborazione di personaggi eminenti, da Quatremère de Quincy a E.Q. Visconti, da Carlo Fea (il traduttore della Storia dell’arte antica di Winckelmann) allo stesso Canova, che poco prima era stato nominato Ispettore generale delle antichità e belle arti dello Stato Pontificio. Un editto che nel 1820 diventerà la prima legge della storia d’Italia per la tutela del patrimonio storico-artistico.
Nel primo decennio dell’Ottocento CANOVA va più volte a Parigi per i ritratti di Napoleone primo console e poi imperatore: rifiuta cortesemente l’invito di entrare a far parte della sua corte, e tenta timidamente quanto invano di convincerlo che le opere d’arte formano “catena e collezione“, e quindi è insensato strapparle dal loro luogo d’origine.
Col precipitare degli eventi e la caduta di Napoleone, si pone il complicato problema della restituzione delle opere ai paesi dove maggiore era stato il rastrellamento: oltre all’Italia, i Paesi Bassi e la Spagna.
All’inizio del 1815 su ordine di Pio VII, il Segretario di Stato Cardinale Consalvi, uomo di grande ingegno e cultura, incarica Canova di recarsi a Parigi, col rango di ambasciatore, per recuperare le opere.
Canova ha 58 anni, è uomo mite, amabile e di malferma salute, cerca di sottrarsi all’impegno, ma poi deve ubbidire: l’11 aprile fa testamento e il 28 è a Parigi (cinquanta giorni prima di Waterloo, con il Congresso di Vienna ancora in corso).
Le cose si mettono subito male: solo Gran Bretagna, Prussia e Austria sono favorevoli alla restituzione. Il 19 settembre Canova viene ricevuto da Talleyrand, che rifiuta seccamente.
“Mi sento male e dubito di cadere ammalato”, scrive al suo segretario: ma alla fine del mese Metternich lo autorizza a recarsi al Louvre, dove viene accolto molto male, dal barone Vivant Denon, che Napoleone aveva creato direttore dei musei di Francia, e che era stato il gran regista delle spoliazioni nei vari paesi d’ Europa. Difensore a oltranza del diritto della Francia a tenersi le opere requisite, deride Canova e lo apostrofa così: “Ambassadeur? Vous voulez dire emballeur, sans doute”.
Deve intervenire di nuovo Metternich, Canova ritorna al Louvre e scortato da soldati austriaci e prussiani, comincia e porta a termine il suo lavoro. Delle cento opere requisite col trattato di Tolentino, ne tornano a Roma settantasette; dei 115 quadri prelevati successivamente dagli stati pontifici circa la metà sono recuperati: evidentemente Pio VII vuole usare qualche riguardo a “Sua Maestà Cristianissima” Luigi XVIII.
Il primo convoglio delle opere recuperate parte per l’Italia alla fine di ottobre, trainato da duecento cavalli, e dopo trentacinque giorni, il 4 gennaio 1816, arriva a Roma: un secondo vi arriverà in agosto. Un contributo di 200 mila franchi per le spese viene dato da William Hamilton, sottosegretario inglese per gli affari esteri.
Come Napoleone non aveva potuto assistere al corteo trionfale del 1798, perché partito per la campagna d’ Egitto, così Canova non può assistere al ritorno delle opere a Roma perché parte per Londra, dove arriva il primo novembre del 1815, per ringraziare gli inglesi del loro aiuto.